Gesù, il pane della vita
Vorrei parlare di un tema di cui noi italiani parliamo spessissimo, ma non sempre pensandolo come buona notizia, come qualcosa su cui Dio ha da annunciarci qualcosa. Vorrei parlare di MANGIARE! Lo farò prendendo il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, dove si parla appunto di cibo: siamo all’inizio del vangelo di questo vangelo e Gesù, benché non abbia fatto moltissime cose, si è già reso noto per alcune sue affermazioni forti, come quella di non dare importanza al sabato, di essere uguale al padre, e per alcuni miracoli relativi agli alimenti: ha infatti mostrato competenze enologiche trasformando l’acqua in vino e gastronomiche permettendosi di invitare a cena su un prato un gruppetto di 5000 persone… Competenze davvero miracolose se pensiamo che per questi 5000 aveva solo 5 pani e due pesci, e che nondimeno è avanzato un sacco di cibo. Ora, proprio alcune delle persone che hanno mangiato e probabilmente altre che hanno sentito dire di lui, trattandosi di folle, cercano di seguirlo nei suoi spostamenti da una riva all’altra del lago di Galilea, dalle città di Tiberiade e Capernaum. Leggo a partire dal momento in cui lo trovano:
22 Il giorno seguente, la folla che era rimasta sull’altra riva del mare si rese conto che là non c’era altro che una sola barca e che Gesù non vi era salito con i suoi discepoli, ma che i discepoli erano partiti da soli. 23 Altre barche, intanto, erano giunte da Tiberiade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie. 24 La folla, dunque, quando ebbe visto che Gesù non era là e nemmeno i suoi discepoli, montò in quelle barche, e andò a Capernaum in cerca di Gesù. 25 Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei giunto qui?» 26 Gesù rispose loro: «In verità, in verità vi dico che voi mi cercate, non perché avete visto dei segni miracolosi, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati. 27 Adoperatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà; poiché su di lui il Padre, cioè Dio, ha apposto il proprio sigillo». 28 Essi dunque gli dissero: «Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» 29 Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». 30 Allora essi gli dissero: «Quale segno miracoloso fai, dunque, affinché lo vediamo e ti crediamo? Che operi? 31 I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, come è scritto:
“Egli diede loro da mangiare del pane venuto dal cielo”».
32 Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico che non Mosè vi ha dato il pane che viene dal cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane che viene dal cielo. 33 Poiché il pane di Dio è quello che scende dal cielo, e dà vita al mondo».
34 Essi quindi gli dissero: «Signore, dacci sempre di questo pane».
35 Gesù disse loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete. 36 Ma io ve l’ho detto: “Voi mi avete visto, eppure non credete!” 37 Tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori; 38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39 Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quelli che egli mi ha dati, ma che li risusciti nell’ultimo giorno. 40 Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
41 Perciò i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane che è disceso dal cielo». 42 Dicevano: «Non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre? Come mai ora dice: “Io sono disceso dal cielo”?»
43 Gesù rispose loro: «Non mormorate tra di voi. 44 Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non lo attira; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45 È scritto nei profeti:
“Saranno tutti istruiti da Dio”.
Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Perché nessuno ha visto il Padre, se non colui che è da Dio; egli ha visto il Padre. 47 In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna. 48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. 50 Questo è il pane che discende dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivente che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò per la vita del mondo è la mia carne».
52 I Giudei dunque discutevano tra di loro, dicendo: «Come può costui darci da mangiare la sua carne?»
53 Perciò Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui. 57 Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me. 58 Questo è il pane che è disceso dal cielo; non come quello che hanno mangiato i padri e sono morti; chi mangia di questo pane vivrà in eterno».
59 Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga di Capernaum.
Conosco libri che cercano di stabilire quale sia la corretta alimentazione biblica e che esortano i credente ad essere un esempio in ambito di buona alimentazione, ma quello che imparo da questo passo sul cibo mi sembra ben più profondo ed importante di una dieta che qualsiasi buon nutrizionista potrebbe raccomandare.
Vorrei capire qualcosa da questo testo ponendomi tre domande, a cui provo a dare una risposta.
1. Domanda: perché Gesù ha moltiplicato i pani sfamando la folla. se poi ha dovuto chiarire che il problema non è mangiare? (26-27)
Avrebbe potuto invitarli a digiunare, visto che l’importante è il cibo che non perisce, invece li ha prima saziati, poi ha detto loro che quel che conta è un altro tipo di cibo, senza sminuire l’importanza di essere sazi. Credo che la risposta sia che Gesù capisce appieno il bisogno fisico della fame e non lo disprezza, anzi lo risolve. Non è andato a predicare cibo spirituale agli affamati, ma ha detto che se alla fame c’è soluzione, non c’è soluzione alla fame di Dio, se non mangiando il vero pane della vita. In altre parole se Gesù predica a delle folle che ha prima sfamato è perché considera quelle persone nella loro interezza. Non sono solo animali che hanno istinti di fame da saziare, come potrebbe pensarli una concezione materialista della vita, né puri spiriti che vivono di meditazione, ma unità di corpo e di spirito che hanno entrambi i bisogni e Gesù si preoccupa di entrambe le componenti.
Per la maggior parte di noi, fame non è un problema attuale, perché viviamo in una società in cui produciamo cibo in eccesso e ne buttiamo via molto, quindi pochi di noi hanno provato realmente il problema della fame. Anzi oggi si osserva che gli obesi sono più degli affamati e questo anche in paesi poveri. Le mamme italiane sono ossessionate dal far mangiare i bambini come se morissero se non mangiano ogni giorno almeno 5 volte. Traduciamo spesso questa nostra condizione con il termine BENESSERE. Forse dovremmo inventare un neologismo e dire che al massimo viviamo nel BENAVERE.
È interessante osservare che se Gesù ha detto a degli affamati che avevano bisogno di un cibo che non perisce e che dura in vita eterna (27) questa esortazione oggi è valida dieci volte tanto! Se pensiamo di aver risolto tutto avendo il piatto pieno e godendoci la nostra cucina italiana ci sbagliamo! Al di sopra della fiorentina, della ribollita e del Chianti c’è un cibo che non perisce e che dura in vita eterna, ed è quello che va ricercato.
Oggi come ieri, chi vuole seguire Gesù ha un compito duplice: da un lato, deve evitare la tentazione di limitarsi a dare del pane a persone che hanno fame, curandosi solo del cibo materiale senza ricordare che quella condizione prelude ad una fame spirituale più grave; come se la degenza in cui si trovano garantisse loro la salvezza e il favore di Dio. Abbiamo un dovere di mantenere integro l’uomo parlando allo stomaco e allo spirito.
Dall’altro, abbiamo il gran compito di ricordare a noi stessi e al mondo in cui siamo che ha fame anche se non lo sa! E come quelle mamme che inseguono i figli per la casa per imboccarli a tutti i costi, dovremmo fare con la società che ci circonda, che si nutre di cibo-spirituale-spazzatura e proporre in tutti i modi possibili ed immaginabili di proporre il cibo che non perisce, che si trova alla mensa di Gesù. Il compito dei credenti è sfamare in entrambi i sensi.
La prima riflessione su ciò che la Bibbia dice del mangiare è quindi che Gesù precisa che il problema non sta nel non mangiare, ma sta nella relazione con Dio, e nonostante ciò dà da mangiare. «Adoperatevi per il cibo che non perisce»
2. Per le due domande successive: la prima legittima, come operare; la seconda meno: un segno miracoloso se l’hanno appena visto? (28-33)
Siccome Gesù ha suggerito di «adoperarsi» per il cibo che non perisce che viene dato da lui, perché Dio gliene ha dato facoltà, capiscono che non si tratta più di mangiare, ma di avere in qualche modo a che fare con Dio, quindi chiedono cosa devono fare per Dio. «Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» Domanda legittima, probabilmente onesta. La risposta di Gesù tuttavia contrappone al loro desiderio di «fare», la strada più ardua del «credere». E nella fattispecie, «credere» in lui. A questo punto chiedono un segno miracoloso. Qui mi chiedo se siano stupidi, se siano in cattiva fede, o se vogliano mettere Gesù alla prova, e probabilmente c’è un po’ di tutto: se hanno appena visto una moltiplicazione di cibo per 5000 persone, che altro vogliono? Forse è un pretesto per ottenere una seconda moltiplicazione di cibo e rimangiare, oppure hanno sete di effetti paranormali e vogliono vedere la manna che piove dal cielo anziché il normale pane e pesce moltiplicato in un prato… Forse entrambe le cose… Sta di fatto che davanti alla necessità di fermarsi e vedere in un uomo come loro il SIGILLO del padre, il SEGNO del Padre, e quindi rapportarsi a Dio con la FEDE, preferiscono due strade alternative: quella di lanciarsi a fare qualcosa nell’illusione di essere poi graditi a Dio, e quella del sensazionale, che ammette di credere solo a condizione di vedere cibo che piove dal cielo.
Gesù controbatte dicendo che invece di fare bisogna credere in quel semplice uomo che hanno davanti e che ciò che hanno davanti che non è appariscente è pane sceso dal cielo. L’incarnazione di Dio in un uomo è il vero segno miracoloso, non la moltiplicazione, né la manna. Il v. 40 dice che Chiunque contempla il figlio e crede in lui ha vita eterna» Il paradosso di queste persone è che hanno davanti il miracolo e non lo vedono!
Visto che si parla di nutrirsi, dobbiamo porci questa domanda: di cosa si nutre la nostra fede?
Si nutre per sfamarsi di segni straordinari, ha bisogno di vedere il pane che scende dal cielo, ha bisogno di vedere risultati, gente sfamata miracolosamente, altrimenti vacilla o ancora si nutre di FARE qualcosa per Dio, altrimenti non è soddisfatta per niente?
Oppure si nutre della presenza di Dio nella quotidianità, nell’esercizio di una fede continua che crede in colui che è sceso dal cielo e lo contempla semplicemente, e da questo trae forza per FARE e OPERARE, anche se non VEDE segni eclatanti, anche se non ottiene guarigioni. Anche se non è saziata. Chiediamoci se crediamo anche quando non abbiamo strafatto per Dio e ci siamo limitati ad accettare ciò che egli ha fatto per noi. Sicuramente molti di noi si danno da fare per la propria chiesa, (cosa importantissima), altri si adoperano per accogliere, aiutare, organizzare culti. Altri cercano giustamente di sentire Dio, di «sentire» il soprannaturale, da fare delle «esperienze». Di cosa è fatto il nostro «operare per Dio»? Gesù oggi ci ricorda che qualsiasi cosa facciamo questa deve nutrirsi di un rapporto diretto e semplice con lui, che tiene conto di Dio nella quotidianità, nelle piccole e grandi scelte, nella vita di famiglia come di chiesa.
Il riflessione che traggo sul mangiare è che la relazione con Dio non è fatta di sforzi o di effetti paranormali, ma di fede, di credere il Dio che si manifesta nella quotidianità.
3. Domanda 3. Che significa «Io sono il pane della vita. Chi crede in me…Perché non avremo più fame? Imparare a mangiare con Gesù.
Ci sono chiari riferimenti in questo passo al libro del profeta Isaia, che nel capitolo 55 diceva: «1O voi tutti assetati venite all’acqua,chi non ha denaro venga ugualmente;comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. 2Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. 3Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide.
È forse ora di uscire dalla metafora e capire cosa essa significhi: il pane, almeno in quella società, era l’elemento essenziale, quello che bastava a fare un pasto. Cosa significa quindi nutrirsi del pane della vita? Significa relazionarsi con Dio, trovare pace con lui, ed entrare con lui in un patto. Di questo patto di cui ha parlato non solo Isaia si riparla abbondantemente nel nuovo testamento. Nei racconti della cena, un ulteriore cibo rappresenta il patto: il vino è il sangue del patto. Mangiare il pane della vita significa essere invitati da Dio a tavola a mangiare con lui, dopo aver stretto con lui un patto. Patto di sangue frutto di un sacrificio fatto da Dio per noi. «51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Gesù ci sta invitando a considerare la vita spirituale come un pasto. A molti potrebbe sembrare un’immagine triviale, riduttiva, irriverente per Dio, ma è proprio quella che Gesù ha scelto. Possiamo pensare a quanta importanza diamo noi italiani all’invitarci per un pasto. Il condividere cibi è molto bello e le belle discussioni sembrano ancora più interessanti se accompagnate da buoni cibi. Il Signore ci invita a considerare il nostro rapporto con lui proprio come un pasto piacevole, che vorremmo prolungare, in cui troviamo sazietà, ma anche gusto, in modo gratuito e continuo. Avrei qualche difficoltà a pensare questo pane disceso dal cielo come un pasto da consumare in solitudine e silenzio. Mi sembra molto più adatto ad un pranzo comunitario in cui la presenza degli altri è fondamentale. Non a caso Gesù prima di presentarsi come pane ha messo insieme 5000 persone facendole mangiare insieme, come anche ha consumato la cena non da solo con ogni singolo discepolo, ma insieme a tutti. Mangiare il pane disceso dal cielo in due parole significa avere comunione con Dio, e comunione con gli altri che mangiano questo pane. Si tratta dei fondamenti della vita, perché senza l’uno dei due la nostra vita è squilibrata.
Per la nostra vita questa immagine così poco spirituale ha alcune implicazioni importanti:
1. Ci insegna che il rapporto con Dio è necessario. Esattamente come non possiamo vivere senza cibo e laddove questo scarseggi si soffre di malnutrizione fino a morire, ugualmente senza Dio (e gli altri) nella vita, senza il pane Gesù, si muore… Si vive una vita malnutrita che manca di punti di appoggio essenziali. I nutrizionisti potrebbero prolungare la metafora, pensando alla necessità di proteine, di vitamine, di grassi essenziali, di sali… Il pane Gesù è l’elemento essenziale senza cui la vita deperisce fino a morire. Mangiamo il pane Gesù e offriamo il pane Gesù!
2. Ci insegna che il rapporto con Dio dà vita eterna. Il cibo «normale» ha qualche cosa di dinamico, perché fa crescere i bambini, fa andare avanti gli adulti, dà energia per lavorare, per muoversi, per vivere. La relazione con Dio prolunga la nostra vita dinamica in eternità! È un cibo eterno che dura e che fa durare! Il nostro rapporto con Dio non è una spiritualità vaga che va molto di moda oggi che mi fa sentire meglio o mi eleva da una vita piatta, facendomi provare emozioni forti. È una relazione che prolunga ciò che nella vita è bello e buono nell’eternità, come anche le relazioni di amicizia e amore che posso avere con gli altri. La cena del Signore, che consumiamo ogni domenica, ci ricorda proprio che aspettiamo di mangiare nuovamente con Gesù ne regno dei cieli, cioè nell’eternità e insieme agli altri.
3. Infine il pasto Gesù è piacevole. Se Giovanni si limita a menzionare il pane, il passo di Isaia, a cui Giovanni allude, parla di latte, di vino, di cibi succulenti. E l’atmosfera dei 5000 che mangiamo sa di festa. La relazione con Dio è una gioia, e credo che se ci piace così tanto mangiare insieme, fare le agapi nelle chiese, che sono una bellissima abitudine che va coltivata e portata avanti, invitarci a cena o a pranzo, questo è perché un pasto consumato insieme, in qualche modo prelude a quel clima di comunione che ha portato Gesù a dire, che un giorno mangeremo insieme nel regno dei cieli. Nella nostra chiesa abbiamo preso l’abitudine di mangiar insieme in tutte le riunioni infrasettimanali, e questo ha molto rinsaldato la comunione ed è diventata una gioia per tutti, bambini compresi.
Gesù ha salutato i discepoli con una cena, e li ha ritrovati da risorto con una cena. Sarà un caso?