Introduzione: perché questa parabola?
Abbiamo letto finora numerose parabole che hanno come tema il denaro, o meglio il suo uso. Il denaro vissuto come problema, quindi l’eccessivo amore per questo, o il suo uso disonesto, non vanno del resto mai da soli e in questa parabola Gesù mette in luce altri problemi che si vanno ad aggiungere a quello del denaro. I farisei a cui la parabola è rivolta non solo usano male il denaro: non sanno usare né il denaro, né la legge, ed usano l’uno e l’altra per farsi vedere dagli uomini. É quanto Gesù dice abbastanza chiaramente nei vv. 14-18 che precedono la parabola:
I farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si beffavano di lui. 15 Ed egli disse loro: «Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio.
16 La legge e i profeti hanno durato fino a Giovanni; da quel tempo è annunciata la buona notizia del regno di Dio, e ciascuno vi entra a forza. 17 È più facile che passino cielo e terra, anziché cada un solo apice della legge.
18 «Chiunque manda via la moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; e chiunque sposa una donna mandata via dal marito, commette adulterio.
Si tratta di problemi che non riguardano certo solo i farisei di quel tempo: in mezzo a quella società religiosa c’erano persone che avevano fede e cercavano Dio, altrettante avevano altri dei dai cui cercavano riconoscimento: il denaro, o ciò che dicono gli altri, il proprio benessere individuale – che spinge a mandare via facilmente mogli fastidiose. La parabola che andiamo a leggere è un forte avviso contro queste divinità che hanno ancora oggi un potere incredibile: ci acciecano, facendoci perdere il senso profondo della vita.
La barabola: Luca 16, 19-31
19 «C’era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente; 20 e c’era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri, 21 e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri. 22 Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto. 23 E nell’Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; 24 ed esclamò: “Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell’acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma”. 25 Ma Abraamo disse: “Figlio, ricòrdati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. 26 Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi”. 27 Ed egli disse: “Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento”. 29 Abraamo disse: “Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli”. 30 Ed egli: “No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno”. 31 Abraamo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita”».
1. Ciechi di fronte alla realtà
La storia inizialmente ci presenta Lazzaro ed il ricco in vita, in una situazione calma e tragica al contempo. Il ricco ha beni in abbondanza e pensa soprattutto a due cose: a divertirsi, alcuni traducono “banchettando”, e a vestirsi bene con vestiti molto cari, quindi a farsi approvare dagli altri. Nella mentalità del tempo un ricco era considerato oggetto di benedizioni da parte di Dio (il vangelo della prosperità non ha inventato niente), e quindi vuoi per i moti possedimenti, vuoi per i vestiti da ammirare, vuoi per i banchetti che offriva, il ricco viveva soddisfatto delle sue ricchezze.
Alla porta della sua casa giaceva Lazzaro che si accontentava di raccattare il cibo caduto dalle ricche tavole del ricco, e a cui si interessavano soltanto i cani – non mi è chiaro se per aiutarlo leccandogli le ferite o se per infastidirlo.
Il tragico di questa situazione sembra essere nella perfetta incomunicabilità tra i due mondi. Tutto va avanti come se la situazione fosse normale e Lazzaro, pago dei suoi beni è letteralmente accecato rispetto alla condizione di Lazzaro. Lo vede, ma probabilmente non ci trova niente di male.
Non ci vuole molto ad osservare che una simile situazione esiste ancora oggi, in modo pressoché simile. Nelle ricche metropoli occidentali capita spesso di vedere persone che rovistano nelle spazzature pubbliche tentando di recuperare un po’ di quel cibo che altri hanno buttato via (ricordo sempre che in Italia buttiamo via circa 5,5 milioni di tonnellate di cibo l’anno), o che mondialmente la forbice tra chi mangia si diverte e sta bene e chi muore di fame è andata negli anni aumentando, nonostante il miglioramento delle condizioni di vita di tante società.
Un elemento che dobbiamo prendere in considerazione da questa parabola è il potere accecante del denaro. Quell’idolo che ha portato il ricco a costruirsi un impero, a vivere per i vestiti e non a vestirsi per vivere, alla ricerca esclusiva del divertimento lo ha accecato. L’opulenza in cui viviamo ci può facilmente accecare, fino a farci perdere il contatto con la realtà, senza farci vedere che alle periferie del mondo si soffre, si sta male e non si mangia. Senza questa presa di coscienza la parabola ci sembrerà una storia antica, mentre è una parabola paradigmatica che vale per ogni tempo.
2. Ciechi di fronte al futuro.
La seconda parte della parabola si colloca nella morte. Riprende alcuni elementi dell’immaginario ebraico che consideravano due zone possibile: l’Ades, luogo di sofferenza, il seno di Abramo, luogo di pace. Non troviamo mai in altre parti della Scrittura che morti e vivi comunichino, o che esista questo abisso che separa i due mondi, ma non andiamo a cercare in una parabola elementi per definire la dottrina, e cerchiamo di cogliere il suo insegnamento.
Qui la cecità del ricco si mostra ancora più profonda. Dalle due domande che fa non ha capito che “è finita la pacchia”: pensa di poter chiamare Abramo padre, perché ne è geneticamente discendente, e pensa ancora che il rapporto gerarchico per cui lui ricco poteva chiedere ad un povero come se fosse il suo servitore personale di andare a prendergli da bere non sussiste più. Non ha capito che con la morte i suoi “beni” sono finiti. L’amore per i beni materiali e per l’approvazione degli altri non gli fa vedere che la fama di ricco e la vita biologica non durano per sempre. È morto, e non se ne rende conto, ed essere figlio di Abramo in quanto ebreo. Ovviamente si tratta di una parabola che qui ha del surreale, perché non sappiamo cosa dicano i morti.
Ma questo deve aprire gli occhi a molti di noi rispetto alla propria morte spirituale che rende incapaci di scegliere per il futuro. La parabola ci dice chiaramente che una volta morti non c’è più scelta! Non si passa dall’inferno al paradiso implorando dopo la morte il favore di Dio o di altri. È bene gridarlo ad alta voce in un paese come l’Italia, in cui il cattolicesimo legittima eresie che fanno credere che dopo la morte ci siano una serie di altre opzioni, come il purgatorio. I condoni fiscali, o la “pace fiscale” le fanno i governi. Dio ci chiama invece a scegliere oggi: se l’amore per quei beni terreni che possediamo o vorremmo possedere, o ancora l’interesse per lo sguardo che gli altri hanno su di noi, dominano la nostra vita, non saremo in grado di vedere i futuro, cioè l’eternità. Non ci interesserà perché prevalgono quei beni caduchi e temporanei che abbiamo qui ed ora, e che finiranno.
3. La cecità di fronte alla Scrittura: La legge e i profeti.
La seconda domanda che pone il ricco rappresenta il culmine della sua cecità. Vorrebbe che Lazzaro andasse ad avvisare la sua famiglia perché possano salvarsi, visto che ha capito che non ha fatto una bella fine. Ma ancora una volta è cieco: l’avviso contro la morte spirituale, contro l’adorazione di false divinità che portano alla morte (soldi ed approvazione degli altri), non si trova nei miracoli e nelle manifestazioni sensazionali: non c’è bisogno di vedere dei morti risorgere… è già chiaro nelle Scritture, sintetizzate con l’espressione: La legge e i Profeti. L’accusa che Gesù sta rivolgendo ai suoi connazionali è profetica e molto forte, in quanto egli risorgerà e tanti non crederanno in Dio né si ravvederanno pur avendolo visto. Ma prima ancora ci mostra la cecità di quest’uomo che, proprio come i suoi famigliari, ha la Legge e i Profeti a disposizione. In questi ha imparato che c’è un solo Dio, che Dio non guarda agli occhi ma al cuore, e che è fondamentale amare il prossimo come se stesso. Ma i suoi idoli non gli fanno vedere la portata di tutto ciò.
Questo arriva diritto anche a noi facendoci riflettere sulla nostra comprensione della Legge e dei Profeti. Ai farisei serviva per legittimare una teologia della prosperità, la possibilità di facili divorzi: a noi cosa serve? Questa parabola ci vuol fare capire che Legge e Profeti, quindi Scritture, che puntano interamente a Cristo hanno un potere infinito! Il potere di farci scoprire la vera vita, la vita che Dio ha creato e pensato per noi. Il potere di risuscitare la nostra condizione di morti spirituali, facendoci risorgere ad una nuova vita in cui la gioia per nutrire i Lazzari che incontriamo diventa anche la nostra gioia. La vita come schiavi di idoli di prosperità e benessere, non è una vera vita. La vita come schiavi dello sguardo degli altri, non è una vera vita.
Forse nessuno di noi vorrebbe la vita di Lazzaro. Come nota finale vorrei far notare che la logica della parabola non è quella di una sorta di contrappasso per cui viene benedetto dopo la morte perché è stato povero e viceversa il ricco è condannato perché ricco. Il centro della Parabola è l’ascolto di legge e profeti. Lazzaro li ha ascoltati nonostante la sua povertà, pertanto meglio la sua vita con Dio, che quella del ricco senza. Il ricco è condannato perché non li ha ascoltati. Il nostro sforzo sarà quello di una vita come quella del ricco se quella ricchezza serve ad aiutare e a diffondere Legge e profeti, ma che è come quella di Lazzaro quanto all’ascolto, e alla fede nel Dio di Abramo, che è realmente risuscitato.