La conversione : in cosa consiste ?
Introduzione
Nello scorso studio abbiamo insistito sulla necessità della conversione per tutti: non ci sono persone che nascano già credenti, e per ognuno di noi, che si provenga da una famiglia religiosa o da una famiglia atea, è necessario un momento in cui la fede diventa reale.
Oggi vogliamo vedere in cosa consista questo processo della conversione, cercando di analizzarne le componenti profonde. Forse termini come «analizzare» o «componenti» possono spaventare qualcuno che storce il naso quando sente termini quasi scientifici essere applicati alle cose dello spirito; la mia intenzione non è quella di scomporre la conversione ed osservarla come un oggetto da laboratorio, ma più semplicemente di osservare quello che i diversi testi biblici che raccontano conversioni, o che esortano alla conversione, hanno in comune. È infatti importante che quando oggi predichiamo la conversione in un mondo molto diverso da quello in cui l’ha predicata Gesù, o i profeti dell’Antico Testamento o Paolo, essa sia il più possibile uguale nei suoi contenuti a quella conversione di cui ci parla la Bibbia, nostra norma di fede. Non certo perché quei tempi o quelle persone fossero migliori, ma perché se crediamo in quel Gesù di cui le Scritture testimoniano, è attraverso queste che vogliamo scoprire e capire il modo in cui ci si relaziona a Lui.
Tra i numerosissimi testi che parlano di conversione ne ho scelti quattro che hanno il pregio di condensare il poche parole quelle che a me paiono componenti essenziali della conversione, oltre ad essere testi che riguardano momenti storici diversi: il primo è del IX secolo avanti Cristo ed è una visione avuta dal re Salomone; il secondo racconta la predicazione di Giovanni battista, e e il terzo l’inizio della predicazione di Gesù, e si completano; il quarto, lo troviamo in un discorso difensivo di Paolo davanti al re Agrippa, quindi racconta fatti avvenuti 20-30 anni dopo quelli dei vangeli.
2 Cronache 7, 12-14. 12 Poi il SIGNORE apparve di notte a Salomone, e gli disse: «Ho esaudito la tua preghiera, e mi sono scelto questo luogo come casa dei sacrifici. 13 Quando chiuderò il cielo in modo che non ci sarà più pioggia, quando ordinerò alle locuste di divorare il paese, quando manderò la peste in mezzo al mio popolo, 14 se il mio popolo, sul quale è invocato il mio nome, si umilia, prega, cerca la mia faccia e si converte dalle sue vie malvagie, io lo esaudirò dal cielo, gli perdonerò i suoi peccati, e guarirò il suo paese.
Marco 1, 15-16. Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo: 15 «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo».
Luca 3, 8 «Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento, e non cominciate a dire in voi stessi: “Noi abbiamo Abraamo per padre!” Perché vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere dei figli ad Abraamo.
Atti 20, 19 Perciò, o re Agrippa, io non sono stato disubbidiente alla visione celeste; 20 ma, prima a quelli di Damasco, poi a Gerusalemme e per tutto il paese della Giudea e fra le nazioni, ho predicato che si ravvedano e si convertano a Dio, facendo opere degne del ravvedimento.
1. Ravvedimento, pentimento: «se il mio popolo, sul quale è invocato il mio nome, si umilia… /ravvedetevi»/ che si ravvedano
Il primo elemento costitutivo di tutte le conversioni che troviamo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento è l’idea di ravvedimento, di pentimento. L’Antico Testamento parla di umiliazione, il nuovo di ravvedimento o pentimento. L’idea è quella di rendersi conto di essere in una condizione di errore, di sbaglio, di peccato che viene definita senza mezzi termini come tale. Ravvedersi significa chiedere perdono, riconoscere il proprio errore e volersene allontanare. Significa guardare bene dentro se stessi, avere l’onestà con se stessi e la lucidità di capire cosa non va. Significa prendere atto che nessuno nasce santo e perfetto e che tutti abbiamo bisogno di chiedere perdono a Dio perché la nostra vita, a conti fatti, ha diversi comportamenti ed azioni che non sono quelle che Lui vorrebbe.
Questo non è scontato, ed implica alcune cose.
Primo non è scontato perché non tutti conosciamo bene cosa Dio voglia da noi. I testi letti parlano di persone che vivono in una cultura profondamente condizionata dalla Legge di Dio, derivata dalla Scrittura, quindi termini come «umiliarsi», «convertirsi», «pentirsi», vengono compresi molto chiaramente dai destinatari. Nella storia biblica è capitato anche che in certi periodi il popolo ha dimenticato gli insegnamenti del suo Dio, perdendo l’idea di cosa fosse giusto e cosa sbagliato; celebre è l’episodio del re Giosia che una volta riscoperta la legge cerca di ripotare il popolo a standard morali più vicini a ciò che Dio chiedeva. Se l’idea di pentimento si è potuta offuscare nella storia biblica, questa è ancora più fluida in una società come la nostra che attraversa, nel mondo occidentale, da circa 50 anni una fase di forte permissivismo e di tentativo di rendere quasi tutto legittimo. A questo si oppone un moralismo che spesso è solo semplice critica, giudizio e presunzione. Credo che l’unica «ricetta» efficace per potersi rivolgere al nostro mondo sia quella di riprendere in mano la Bibbia e leggere cosa piace e cosa non piace a Dio. Non è questa la sede per redigere liste di errori, peccati e cose che non piacciono a Dio, ma credo che una lettura della Bibbia attenta, unita ad un esame sincero di noi stessi, porti necessariamente a riconoscere che anche le migliori persone che conosciamo, quelle che non vivono una vita fatta di egoismo, violenza, ingiustizia e furto, quelle che magari si danno fa fare per gli altri, che aiutano e cercano di essere «persone per bene», se passate al vaglio di ciò che Dio chiede da noi, si renderanno conto di doversi ravvedere, pentire. Ci sono pentimenti da azioni sbagliate, ci sono pentimenti dal semplice ed importantissimo fatto di vivere in modo indipendente da Dio, autonomo cioè che è legge a se stesso. Inoltre non è scontato pentirsi, perché ammesso che capiamo da cosa, non è facile perché siamo orgogliosi, e non è facile accettare di aver sbagliato, capito, male o di esserci fatti di noi un’idea troppo alta. Il nostro io è grosso, ed è spesso un grosso ostacolo alla conversione.
In questa idea di ravvedimento il termine ebraico shuv, che significa «tornare» aggiunge un significato ulteriore. Il popolo di Israele aveva un patto Dio, e quando lo violava Dio non annullava il patto, ma aspettava che «tornasse». Ogni uomo è creato da Dio, ed in modi diversissimi, siamo tutti chiamati a «tornare» dal nostro creatore da cui ci siamo allontanati.
2. Che si convertano a Dio : cerca la mia faccia/ credete al vangelo/si convertano a Dio
Il secondo elemento costitutivo della conversione è quello che in diversi modi possiamo chiamare fede. Cercare la faccia di Dio, credere al vangelo, convertirsi a Dio sono espressioni sinonimiche che indicano tutti l’idea di rivolgersi a Dio, di tornare a lui. La prima componente è segnata da un elemento doloroso, il fatto di riconoscere il proprio errore, mentre la seconda parte è fatta di abbandono fiducioso, di accoglienza, ma anche di convinzione forte, di scelta determinata. Credere significa essere certi di cose che non si vedono, secondo la formula dell’autore dell’epistola agli ebrei (Ebr 11), avere una totale convinzione della potenza di Dio, e della sua capacità di risollevarci dalla componente del ravvedimento. Chi si sente in torto per qualcosa potrebbe passare la vita a battersi il petto per gli errori commessi, ma la fede invece è quella forza che ci fa credere che Dio perdona, che Dio non è lì per giudicarci o per buttarci giù, ma per risollevarci, per riconciliarci con lui.
È bene precisare in cosa sia la fede: sicuramente è una fede nel fatto che Dio, che è invisibile, ci sia, esista e sia presente in mezzo a noi. Ma questa fede è comune a tutte le religioni, per lo meno quelle monoteiste, o quelle che credono che esista un essere supremo. Oltre all’idea che ci sia un Dio, la fede cristiana vive nella convinzione che questo Dio si sia manifestato in Gesù Cristo che è Dio stesso, e che il perdono dei peccati per i quali è necessario il ravvedimento in ogni conversione, è possibile grazie a Lui. Grazie a Gesù che ha pagato per i nostri errori morendo sulla croce al nostro posto. È un’idea su cui si può e si deve dire molto, ma qui mi limito ad accennarla: è Dio che ci perdona, morendo al nostro posto, non possiamo fare niente che meriti il perdono di Dio.
L’apostolo paolo ricorda agli Efesini : «Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. 9 Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; 10 infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo» Efesini 2,8-10.
Capire questo significa quindi entrare in un rapporto di profonda comunione con Dio, un rapporto di amicizia, di fiducia profonda, in cui ogni momento si capisce quanto grande sia il suo perdono, e quanto larga la sua bontà.
In questi due elementi, profondamente legati, ci sono tutte le complesse dinamiche di cui è fatta la mente umana: ci sono emozioni, ci sono scelte razionali, ci sono elementi di impegno legati alla volontà, ci sono percezioni spirituali della grandezza del Dio che sta sopra di noi e che opera in nostro favore. Tutto questo ci serve a capire che la conversione non ha niente a che vedere con la religione, con i riti, con quelle strutture umane che nei secoli gli uomini hanno inventato. Conversione è puro rapporto con Dio, è fare i conti con lui, e capire e capirlo. Questa verità è attuale ieri, oggi e lo sarà tra migliaia di anni. Il nostro secolo materialista deve scoprire la gioia della conversione capendo che non significa entrare in chiesa e smettere di vivere, ma piuttosto iniziare a vivere davvero in una dimensione nuova.
3. Si converte dalle sue vie malvagie/ Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento /Facendo opere degne del ravvedimento
La conversione non è qualcosa di teorico, o di mistico che si vive solo tra l’uomo e Dio. In tutti i passi che parlano di conversione c’è una chiara esortazione a cambiare abbandonando qualcosa di sbagliato per fare qualcosa di nuovo. La visione di Salomone parla di convertirsi dalle vie malvagie, quindi da comportamenti che non piacciono a Dio e che di conseguenza distruggono l’uomo. Salomone è consapevole di quante volte il popolo di Israele si è sviato dagli insegnamenti di Dio e di quante ancora si svierà, e in questa visione avverte che dopo essere tornati a Dio bisogna cambiare. Convertirsi effettivamente significa cambiare, ed i passi del nuovo testamento letti mettono l’accento sulla parte positiva di questo cambiamento: fare opere degne del ravvedimento! Giovanni Battista le elencava semplicemente invitando a condividere vestiti, e cibo, come anche a smettere di rubare, estorcere, frodare.
Non ci si può pentire, dire di avere una grande fede e continuare a vivere come si viveva prima. Una conversione implica questo terzo aspetto, il risvolto pratico, le scelte quotidiane in accordo con la volontà di Dio, una vita che non ha più al centro il solo idolo di noi stessi, ma che è fatta di amore, di condivisione, di allontanamento dal male. Alcuni provengono da un passato terribile, forse di dipendenza, di droga di delinquenza; altri semplicemente di egoismo, di attenzione solo per se stessi, di freddezza rispetto a Dio e agli altri; altri dal aver vissuto in modo religioso, seguendo delle pratiche e dei riti che odoravano di Dio, ma che non erano Dio… I frutti degni di ravvedimento sono fatti in armonia con Gesù, pensati e fatti grazie al suo consiglio e alla sua presenza, pieni di un amore reale, sincero. Non hanno niente delle buone opere ipocrite fatte per ottenere qualcosa, ma nascono dal desiderio di obbedire in tutto e per tutto a Dio e di servire coloro che Egli ha creato. Tornare a Lui nuovamente, per essere ciò per cui Egli ci ha creati.
Conclusione
Quando si fanno delle analisi come questa inevitabilmente si dà l’impressione di uno schema molto rigido, quasi, di nuovo, che la conversione sia una sorta di processo chimico che può avvenire solo in un certo modo. Credo sia importante dire che se abbiamo distinto queste componenti per capire bene, queste rimangono sempre strettamente legate, e potrebbero andare in un ordine diverso da quello presentato. Qualcuno reso sensibile dal desiderio di aiutare gli altri, potrebbe sentirsi incapace di dare un vero aiuto se non raccomandando la fede, e sentirsi infine in obbligo di ravvedersi… Ma al di là dell’ordine in cui queste componenti accadono è fondamentale ricordare che, se vogliamo una conversione autentica, devono esserci tutte e tre, e se una manca la conversione è monca.
Una conversione senza pentimento, rischia di essere una bella scelta, solo intellettuale, non diversa da quella che si fa per un prodotto al supermercato che preferiamo ad altri, o dalla scelta per un ideale politico.
Una conversione senza fede, produrrebbe una vita fatta di sensi di colpa forse tradotti in un’enormità di buone opere per espiare questi sensi di colpa, ma piena di ovvia frustrazione.
Una conversione senza frutti e degni del ravvedimento è una conversione solo intellettuale o mistica che perde il contatto con il mondo e con gli altri.
La vera conversione è una dinamica in cui pentirsi, credere, ed agire vivono strette insieme nell’amore per Dio e per gli altri.