Giusti davanti agli uomini o giusti davanti a Dio? Luca 16, 15-31

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Il passo letto oggi potrebbe sembrare una collazione di testi disparati. Uno sguardo attento mostra tuttavia la sua profonda unità, e l’importanza di considerare bene il contesto di ognuna di quelle sequenze che, purtroppo, si presentano come graficamente separate nelle traduzioni che leggiamo. Queste sequenze parlano in effetti di giustizia, di validità della Legge e dei Profeti, di divorzio, e di inferno e paradiso; tuttavia non credo che Gesù voglia lanciare dei piccoli spunti di riflessione su temi molto grossi. Mi pare piuttosto che questi temi non siano altro che esempi di un ulteriore tema ancora più profondo che troviamo ben sintetizzato nel v. 15:

 

“Vi proclamate giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso davanti agli uomini è abominevole davanti a Dio”.

 

Il discorso prende spunto dall’amore dei farisei per il denaro, che li porta a ridere della parabola del fattore infedele. In questa parabola Gesù ridimensiona molto la potenza del dio Mammona – denaro e beni materiali – che i farisei, e non solo loro, dimostrano di adorare, e lo mette in opposizione al Dio vero: non è possibile servirli entrambi. Ma è uno spunto: il vero problema dei farisei non è solo e soltanto l’amore per il denaro, tema su cui il vangelo di Luca insiste fino allo sfinimento; il problema è ancora più profondo ed è quello della ricerca dell’approvazione. I farisei cercano il plauso degli uomini e fanno quindi una serie di cose che agli uomini piacciono per essere approvati, cioè considerati giusti. Ma la brama di approvazione da parte degli uomini, li porta inevitabilmente a diventare sordi e ciechi alle cose di Dio, incapaci di capire i suoi tempi, il senso delle sue parole scritte o portate da altri.

Noi che leggiamo oggi, facciamo bene a riesaminare tutta la nostra vita, a chiederci davanti a chi vogliamo essere giusti nei vari contesti in cui si articola la nostra esistenza. Un passo celebre dell’Antico Testamento, I Samuele 16,7, viene a rinforzare questa idea. Nella scelta del re Saul, Dio ricorda a Samuele: “Non badare al suo aspetto né alla sua statura, perché l’ho scartato; infatti il Signore non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell’uomo. L’uomo guarda all’apparenza, ma il Signore guarda al cuore”. L’aspetto, la forma, l’immagine hanno un ruolo preponderante nella nostra società al punto che trascurarli del tutto potrebbe diventare controproducente anche per la proclamazione del vangelo. Procediamo però consapevoli che l’attenzione che poniamo all’approvazione degli uomini, all’essere giusti davanti a loro, diventa facilmente un peccato che ha le inevitabili conseguenze che Gesù illustra con tre diverse accentuazioni.

Noi oggi come le persone del tempo di Gesù dobbiamo porci un obiettivo diverso: essere giusti davanti a Dio, che vede nei cuori e non nelle apparenze. Perché solo l’approvazione di chi ci ha creati costruisce una vita “ricca” nel senso del vangelo.

 

  1. Cecità escatologica: non cogliere i tempi di Dio.

I farisei sono grandi studiosi delle Scritture ed hanno avuto il privilegio di vivere in un tempo in cui sono successe cose epocali per chi guarda la storia con gli occhi delle Scritture. Per uno storico che non è interessato all’azione di Dio nel mondo i fatti significativi del mondo che vale la pena di datare riguardano l’avvicendarsi di grandi civiltà, come la caduta dell’impero romano, le invasioni barbariche, la scoperta dell’America, le guerre… E per chi fa storia è cruciale saper collocare questi fatti su una scala temporale, cosa che tristemente molte giovani generazioni oggi fanno fatica a fare. Chi guarda invece il mondo con gli occhi delle Scritture dovrebbe avere un occhio particolare per i fatti fondamentali accaduti al tempo di Gesù: per quella comunità era chiaro che non c’erano profeti. Lo si legge in un libro scritto dopo Malachia e prima dei vangeli, come il libro dei Maccabei, che attesta proprio della mancanza di profeti (I Maccabei 4, 46, o 9,27: “Ci fu grande tribolazione in Israele, come non si verificava da quando fra loro erano scomparsi i profeti”; 14,41). Con Giovanni è successo qualcosa di straordinario: è finita l’epoca della legge e dei profeti ed è iniziata la predicazione del Regno! È arrivato finalmente un profeta che annuncia la venuta del messia, e che proclama quel regno non politico, non violento, non statalista, non materiale atteso da secoli. È arrivato ma i farisei non l’hanno visto, non si sono resi conto del cambiamento di epoca. Non si sono resi conto che quella legge che loro osannano non era che un mezzo provvisorio per contenere il peccato, rivelare l’incapacità umana di essere giusti, ed indicare gli standard divini, e che ora la predicazione del Regno renderà possibile la pratica di quella legge grazie ad un rapporto diretto con lo Spirito di Dio e non per virtù proprie. Non passerà nel senso che il suo contenuto è sempre valido, ma non è più il principio che giustifica davanti a Dio, che adesso è costituito dall’entrata nel Regno. L’incontro con Gesù non ha sconvolto la vita dei farisei, e la resistenza opposta al messia è stata tale che chi vuole entrare nel regno deve lottare, fare degli sforzi.

 

Anche la nostra generazione deve fare i conti con questa scelta: scegliere l’approvazione degli standard umani o quella di Dio. Scegliere se il tempo in cui viviamo è un momento di un infinito piuttosto vago che possiamo chiamare post-modernità, che non si sa bene dove andrà, in preda ai terroristi e alle decisioni di pochi leader mondiali, oppure se è un tempo compreso tra la venuta di Cristo e l’attesa di un suo ritorno dopo la sua resurrezione che Dio guida e determina con un senso molto preciso e nel quale c’è spazio per scegliere tra la vita e la morte, tra Dio e il niente, tra la giustizia umana e quella divina… È una scelta che facciamo anche noi. Non per metterci a fare speculazioni ridicole sul giorno esatto in cui Cristo tornerà, ma per ricordare di continuo che il messia crocifisso è risorto e tornerà a giudicare i vivi ed i morti. È un discorso che chi vuole essere approvato dagli uomini fa bene ad evitare. Non così chi invece vuole essere approvato da Dio.

 

  1. Cecità ermeneutica: distorcere la Scrittura a proprio piacimento.

 

Sebbene il problema del divorzio sembri completamente avulso dal discorso che Gesù sta portando avanti, il fatto che si stia parlando di approvazione e di legge e profeti spiega la sua totale pertinenza in questa sede. I farisei nel loro desiderio di essere approvati dagli uomini passano per degli esperti di giustizia, in quanto lettori della Torah, fonte della giustizia nel mondo giudaico. Questa Torah non è più il principio di giustificazione, come Gesù ha appena detto, ma ciò che rivela di Dio non passa! Non passano neppure gli standard morali che impone agli uomini, e che non si desumono dalla semplice lettura di un versetto, ma vanno più a fondo. Ecco che allora il passo relativo al divorzio non è che un esempio di come i farisei, pur rispettando la lettera della legge ne tradiscono lo spirito che sarà invece pienamente valido nel Regno! I farisei, dalla lettura della Torah si sentono liberamente autorizzati a ripudiare mogli di cui si sono annoiati, in virtù di una concessione di Mosè che altrove (Mt 19) Gesù dice essere dovuta alla durezza dei loro cuori; così facendo trattano le mogli un po’ come delle proprietà, denari o beni di cui disporre a proprio piacimento, violando sia i profeti che incoraggiano a tenere le mogli della propria giovinezza (Malachia 2,14), sia la genesi che sottolinea la parità dei sessi e la divinità dell’unione. Ecco allora che una conoscenza parziale ed interessata della Scrittura, diventa una cecità che nasconde lo spirito stesso della legge pur essendo nel pieno rispetto delle regole. Il Regno di Dio non si contenta di vedere le regole formali soddisfatte; il Regno di Dio va a vedere le intenzioni del cuore, che possono essere perverse anche quando le regole formali sono rispettate. Per questo Gesù altrove aggiunge che commette adulterio anche chi desidera una donna in cuor suo, senza unirsi fisicamente a lei (Mt 5,28).

 

Non credo che questo passo serva a dire se il divorzio è consentito o meno, ma piuttosto è un esempio per mostrare che la Legge mosaica permetteva qualcosa che gli stessi profeti non permettevano e che il Regno rilancia con forza. Proprio per questo credo si possa fare qualche considerazione sul modo in cui vengono gestiti i divorzi oggi. Metto subito in chiaro che sono convinto che ci sono casi in cui il divorzio è possibile, e persino auspicabile. È importante però stare attenti a non ricreare delle regole utili a mettere a posto le coscienze che non tengono conto delle intenzioni del cuore. Esempio: capita di sentir dire: “Il tale e la tale si sono divorziati. Comunque lei lo ha tradito, quindi lui è libero di risposarsi”. Questo può anche essere formalmente vero, ma prendere il tradimento di per sé come una garanzia per risposarsi è molto rischioso. Qualcuno stanco della propria moglie o del proprio marito potrebbe sperare di essere tradito per liberarsene in modo conforme alle regole… potrebbe ancora sentirsi dalla parte della ragione e mancare di riconoscere i suoi errori che possono aver portato l’altro a tradirlo… Insomma, ieri come oggi, accontentarsi del rispetto delle regole è un grosso errore. Il nostro Dio, ancora una volta, ci chiama a vivere in un regno dove ciò che conta sono le intenzioni del cuore che nessuno vede se non lui stesso, e davanti a cui vogliamo cercare di comparire giusti.

 

  1. Cecità all’evidenza

In questo contesto la parabola del ricco e Lazzaro è una specie di epilogo che riprende più temi e ribadisce un concetto ormai chiaro: la brama di approvazione da parte degli uomini rende sordi e ciechi agli appelli del regno…

Il dramma di questo uomo è la sua cecità rispetto a tutto: la porpora e il bisso, tessuti preziosi che lo rendono giusto davanti agli uomini, pieno di benedizioni materiali, non gli fanno vedere la condizione di Lazzaro, un povero che si nutre dei suoi resti; non si rende neppure conto che i cani sono più sensibili di lui. In fin dei conto non si rende conto di quanto è povero davanti a Dio e per questo finisce nell’Ades, a patire tormenti. Ma anche da morto è cieco! Si illude che Lazzaro possa ancora essere un suo subordinato che gli porta da bere. E nonostante da morto potrebbe ricordare ciò che sa della Legge e dei profeti, chiede che suo padre e i suoi fratelli siano avvisati, come se non lo fossero già dalla stessa Legge e profeti. Da cui la risposta categorica di Abramo: se non ascoltano quelli non ascolteranno neppure un risuscitato. Lazzaro ed i suoi familiari sono talmente ciechi e sordi che anche un miracolo non li convincerebbe. La loro visione del mondo è talmente sclerotizzata da renderli insensibili persino a fenomeni soprannaturali come la resurrezione di un morto.

 

Nel mondo di oggi il 10% degli uomini detiene il 90% della ricchezza mondiale. Senza alcun dubbio questa parabola interessa queste persone, che tuttavia non penso siano qui nella mia chiesa. Cosa mi dice a me allora? Credo che oltre alla ricchezza materiale di questo ricco, la nostra società occidentale, per altro spesso opulenta, abbia anche altri mezzi per acciecare. Siamo acciecati dalla convinzione di aver capito tutto della vita, di poter gestire le società, di risolvere scientificamente malattie e catastrofi e politicamente guerre e disastri. In realtà un attacco di terroristi ci spiazza e ci rendiamo conto della nostra fragilità. Nella parabola Lazzaro diventa una specie di tipo che anticipa Cristo; lui non risorge, ma ci sarà veramente uno che esce dal mondo dei morti, che non dice cose diverse da quelle che dicono la legge e i profeti. Noi oggi abbiamo avuto l’annuncio di Cristo, risorto dai morti. La nostra visione del mondo, fatta in parte di confort, materialismo, opulenza ed in altra parte di certezze scientifiche e razionali ci permette di ascoltare il messaggio di questo Risorto? Quando le fondamenta sono scosse, come in questi tempi, riusciamo ad ascoltare o siamo come i fratelli di Lazzaro che non ascoltano né Legge e Profeti né un eventuale risorto?

Vogliamo essere giusti davanti agli uomini, conformi ai criteri di accettabilità del nostro mondo o osare di essere giusti davanti a Dio, annunciando il Regno di Gesù che dice che la vera ricchezza è la cittadinanza del Regno e non i beni del paese in cui siamo?

Stefano Molino