Ubriachi di Spirito Atti 2:1-36

Molti fatti, come guerre, rivoluzioni o epidemie, lasciano una traccia. Tutti pensano al passato con un prima o dopo la rivoluzione francese, prima o dopo le guerre mondiali, ed ora prima o dopo il coronavirus…

Il passo che leggiamo oggi ci parla di un fatto altrettanto rivoluzionario e sconvolgente, che ha mutato profondamente un certo tipo di relazione, naturale e soprannaturale e che, se guardato dal punto di vista della fede, rappresenta uno dei cambiamenti più importanti della storia. Ha però qualcosa di diverso rispetto agli altri, nel senso che è ben più discreto e meno osservabile, ma se capito per quello che realmente è, determina cambiamenti ancora più profondi. E’ un evento che esplicita bene cosa sia la fede: una cosa che non si dimostra né si tocca, né si vede materialmente, ma che comporta cambiamenti interiori enormi. Si tratta della discesa dello Spirito Santo.

Abbiamo già detto che lo Spirito Santo era già all’opera sin dalla creazione del mondo, eppure in questo momento viene dato in modo ufficiale a tutta la comunità dei credenti, a coloro che si riconoscono come parte del corpo di Cristo e che in quanto corpo vengono uniti e guidati da questo Spirito. Non è un caso che questo evento succeda a Pentecoste, festa ebraica che avveniva cinquanta giorni dopo la Pasqua e che aveva la funzione di commemorare l’alleanza di Israele con Dio presso il Sinai: la festa della vecchia alleanza, del vecchio patto stretto tra Dio ed il popolo di Israele diventa ora il momento di una nuova alleanza che Dio stringe sempre con il suo popolo, ma che si allarga a tutta l’umanità.

Proprio perché è un fatto così importante per chi crede e anche per chi non crede, perché forse riflettendo su questo evento potrebbe trovare la fede, vogliamo considerarne qualche aspetto che anche oggi continua a guidare le comunità cristiane che cercano di vivere guidate da questo Spirito.

1. Lo Spirito e le lingue

Dopo dei segni strani e dei suoni che sembrano vento, ma che i discepoli sembrano avvertire come soprannaturali, ecco il modo del tutto singolare in cui lo Spirito scende sugli apostoli: lingue di fuoco che si poggiano su ognuno di loro ed esplosione linguistica. Gli apostoli, per lo più popolani senza istruzione, parlanti di aramaico, si mettono a parlare in modo tale da essere capiti da persone provenienti da zone lontane, e la lista dei luoghi indicati da Luca tende a rappresentare la totalità della terra conosciuta al tempo. E queste persone ovviamente ne rimangono stupefatte. È senza dubbio un fatto miracoloso che colpisce i presenti, e che come ogni miracolo oltre a stupire e dimostrare la potenza di Dio ha un significato molto profondo: perché questo miracolo che riguarda proprio la lingua, il parlare? A mio modo di vedere, il significato di questo miracolo riguarda proprio il senso della venuta dello Spirito: lo Spirito di Dio “riempie” gli uomini lavorando in loro, prima convincendoli del loro peccato, e poi portandoli alla conversione ed al pentimento, per poi cambiarli. Ma per fare questo si presenta come colui che è in grado di COMUNICARE chiaramente e profondamente con gli uomini, non solo nella loro lingua, ma addirittura nel loro dialetto. Qualcuno ha notato che in fondo non c’era bisogno che gli apostoli parlassero in quelle lingue, perché verosimilmente queste persone residenti a Gerusalemme sapevano il greco e l’aramaico ed avrebbero capito in qualche modo. Ma io credo che il miracolo sia proprio qui, nella volontà di Dio di mostrarsi profondamente vicino ad ogni uomo, al punto di potergli dire: guarda, mi esprimo persino nel tuo dialetto, nella tua lingua madre che è quella con cui meglio riesci ad esprimerti e capire. La discesa dello Spirito santo sulla terra è in primo luogo il miracolo della possibilità di una comunicazione profonda con Dio che non fuoriesce dagli schemi logico-linguistici di una cultura, ma che usando quegli schemi trasmette qualcosa di soprannaturale. Ed è un messaggio valido ancora oggi: Dio parla e comunica e fa lo sforzo di venire fino a noi, ai nostri linguaggi, alle nostre particolarità culturali. Se in Babele Dio aveva punito gli uomini disunendo la loro lingua perché si univano per una finalità vanagloriosa ed orgogliosa rispetto a Dio, a Pentecoste Dio invita gli uomini ad un nuovo patto con Lui, che assicura la possibilità di una comunicazione profonda con Lui e, di conseguenza, di una comunicazione profonda tra uomini, in un superamento delle barriere culturali nell’unica nuova umanità creata dallo Spirito.

La società in cui avviene questo miracolo era multietnica, come vediamo dal gran numero di persone presenti. Anche la nostra società di oggi tende a diventarlo sempre di più. C’è chi ha paura di questa diversità e chi invece da questa è entusiasmato. La ricchezza culturale è indubbiamente una ricchezza, ma in molti casi diventa anche un ostacolo e le difficoltà che spesso le diverse comunità incontrano ad integrarsi ne sono la prova. Il miracolo che abbiamo qui ci incoraggia ad una profonda comunicazione con Dio e sulla base di questa ad un abbattimento di barriere tra entie diverse. La chiesa può e deve mostrarsi modello di convivenza non pacifica ma amorevole tra etnie diverse. Io sono un po’ contrario alle cosiddette chiese etniche: perché grande sfida che ci pone questo passo, quella di non costruire mai chiese fatte di una sola categoria di persone ma di persone diverse che parlano una stessa lingua. La lingua dello spirito.

2. Spirito e vino

Se il miracolo delle lingue ci stupisce, c’è un altro fatto che mi lascia altrettanto stupito: leggiamo che tutto l’evento ha dei tratti soprannaturali che possiamo capire dalle frequenti espressioni: “come di…”. Il suono è: “come di vento” (v.2), le lingue sono: “come di fuoco” (v.3). Ci sono elementi che sembrano naturali, che potrebbero rimandare a fenomeni perfettamente conosciuti, come il vento ed il fuoco, eppure hanno qualcosa che va al di là della natura. Per gli apostoli si tratta di un vero miracolo e per chi ascolta “le grandi cose di Dio” nella propria lingua si tratta di un segno potente, che li porta ad interrogarsi: “ma che significa tutto ciò?”. Si rendono conto di vivere qualcosa di straordinario, ma non lo sanno inquadrare fintanto che Pietro non li aiuta con una spiegazione opportuna: eppure, alla fine del racconto, leggiamo che alcuni, pur vedendo esattamente le stesse cose, li prendono per ubriachi. Dicevamo all’inizio che i grandi fatti dell’attualità sono davanti agli occhi di tutti. I grandi fatti della fede, come anche la resurrezione, hanno diversi testimoni, ma non si impongono sulla scena come fatti incontrovertibili. Molti li osservano e se ne prendono gioco, senza troppi problemi, imputando al vino i presunti segni miracolosi. Non c’è bisogno di arrivare all’illuminismo per ridicolizzare la fede, ci hanno già pensato al tempo di Gesù. Eppure proprio da questo argomento, da questa accusa di ubriachezza, vorrei trarre una sfida provocatoria. Quando si alza un po’ troppo il bicchiere, si finisce per avere meno controllo su di sé ed in questa maggiore precarietà si allentano le barriere. Certo, si rischia di commettere sregolatezze o errori, ma talvolta sul piano delle relazioni umane è anche possibile che ci sia più franchezza o più convivialità… Così che chi è un po’ brillo da un lato cerca di controllarsi, per non fare cose di cui poi potrebbe pentirsi, dall’altro però si lascia un po’ andare, magari parlando di più con chi non avrebbe parlato, o dicendo cose vere che non avrebbe detto (in vino veritas). Ebbene, forse si potrebbe pensare ad una situazione simile davanti ad esperienze forti di fede. Vedere un’assemblea di persone che parlano con Dio, pensare anche di poterlo fare, o ancora avvertire una qualche presenza forte che potrebbe fare pensare a Dio, può lasciare sorpresi, come se si fosse brilli di spiritualità. Si può resistere, ricercando le proprie certezze nella solidità dei propri ragionamenti: oppure ci si può lasciare un po’ andare, scoprendo magari elementi di verità in una dimensione che non avevamo voluto vedere. Credo che questa esperienza potrebbe proprio essere un invito ad “ubriacarci dello Spirito santo”, anziché del vino, e che sentire parlare delle grandi cose di Dio possa gettare sulla nostra vita nuove luci. Ci possiamo ubriacare di Dio anche se lo conosciamo da tanto, e da tanto camminiamo con lui, magari pensando che ci può sorprendere in un modo nuovo, diverso da quello che ci eravamo aspettati fino a quel momento. Gli apostoli stessi sono sorpresi, e ci vuole la saggezza di Pietro per ricondurre il miracolo ad una chiara profezia. Ma diciamocelo ancora: se vogliamo una vita “ripiena di spirito”, dobbiamo mettere in conto di lasciarci ubriacare dallo Spirito santo, che potrebbe portarci in una dimensione che non ci aspettiamo e che ci farà conoscere Dio meglio di quanto non lo conosciamo già!

3. Spirito e senso

Bisogna ora però domandarsi cosa sia successo. O meglio: che significato assume quello che è successo alla luce di tutta la Scrittura, che come abbiamo visto guida il cammino della chiesa primitiva, come guidava quello del popolo di Israele. In parole molto semplici Pietro non fa altro che spiegare due concetti, servendosi di citazioni bibliche che sono il criterio primo di verità per quel popolo, e per chi anche oggi si rifà alla Scrittura come ultimo criterio della verità su Dio. È semplicemente successo che Cristo era veramente il messia ed il Signore. Che i salmi che Davide ha scritto che parlano di immortalità e di resurrezione, non erano da riferirsi a Davide, ma ad un messia che doveva venire, e che ora è venuto! E che per quanto gli interlocutori di Pietro lo abbiano ucciso, è risuscitato e manifesta la sua potenza in fatti come questo. In altre parole Pietro dice che tutto era previsto: la promessa di un messia, di un re secondo la stirpe di Davide che avrebbe restaurato il regno di Israele, è arrivata! Gli ultimi tempi sono arrivati, o meglio, sono cominciati! Insomma: tutte le aspettative che un ebreo di quel tempo poteva avere, in termini religiosi, politici, identitari sono state soddisfatte da Dio! Il senso della vita di un ebreo di quel tempo è pienamente compiuto e pieno! Bisogna sapere cogliere il senso di quello che è successo e non banalizzarlo come una forma di ubriachezza: è arrivato il tempo in cui un messia regnerà: ma non è un capo politico, è un capo che regna sui cuori delle persone e che afferma un regno spirituale più forte dei regni politici. Questo messia è il Signore, il kurios, colui che gli ebrei identificavnao com JHVH, è proprio lui che si è incarnato e rivelato, ma che è stato messo a morte! Bisogna prendere atto del crimine e capire che colui che contro cui si è andati, era colui che ci veniva incontro.

Anche oggi il mondo è pieno di persone che hanno aspettative, che sperano in un mondo più giusto, in un senso della vita, in un miglioramento della loro vita. Forse pensano a varie incarnazioni di vari tipi di messia, che possono prendere le forme più disparate. Messia politici, messia ideologici, messia terapeutici. Il libro degli Atti oggi ci ricorda che Gesù è il messia che ognuno aspetta, e che è il vero messia e Signore che sa soddisfare le aspettative che tutt’oggi abbiamo. Ci ricorda anche che come umanità abbiamo messo a morte il messia, e se non lo abbiamo fatto fisicamente, lo abbiamo fatto rifiutandolo, scegliendo messia alternativi che non hanno portato da nessuna parte e che non possono offrire la salvezza. Ci ricorda che Gesù siede ora alla destra del padre, occupa cioè una posizione di preminenza, di onore, e che è lui che sparge lo Spirito santo.

Il Gesù che hanno ucciso è Signore e Cristo.

Il Gesù che anche noi abbiamo ucciso, è Signore e Cristo, e ci invita oggi ad ubriacarci dello Spirito che ha voluto offrire all’umanità. AMEN