Atti 6: La crescita della chiesa è un problema? Gestire la complessità


Il termine “crescita” ha quasi sempre connotazioni positive: è l’ossessione dei genitori che hanno dei bambini e che vogliono vederli “crescere” bene, è l’ossessione degli economisti che ogni giorno ci ricordano di quanti punti percentuali cresce il PIL di un paese, e quando pensiamo alle chiesa è l’ossessione degli evangelisti, che sognano a tutti i costi di vedere le chiese crescere e moltiplicarsi. E il libro degli Atti insiste sull’idea di crescita fornendoci numeri sull’aumento di quelli che credono dopo diversi fatti miracolosi o predicazioni.

Di conseguenza noi associamo alla crescita della chiesa un’immagine sempre positiva, ma il primo verso del capitolo che studiamo oggi getta una luce diversa su questo fenomeno: siccome la chiesa si moltiplica e cresce, “sorse un mormorio da parte degli ellenisti”… La crescita della chiesa significa aumento del numero ed aumento della complessità di una chiesa, e questa complessità va gestita. Questo capitolo del libro degli Atti è uno di quelli che ha maggior interesse per istruirci sul come gestire una chiesa, è quello in cui scopriamo che la crescita è una cosa bellissima e questo viene confermato alla fine, ma che inevitabilmente pone dei problemi.

I gruppi. Qualche informazione importante sui gruppi di quella chiesa che ci aiuteranno a capire meglio il passo. L’insieme delle persone che fa parte della chiesa può essere chiamata discepoli, termine usato ora per la prima volta nel libro degli atti e che assume il senso tecnico di coloro che seguono Gesù. Tra questi si distinguono i 12 che sono gli apostoli, testimoni oculari della resurrezione, che hanno Poi ci sono una serie di gruppi che preesistevano alla conversione delle persone: ci sono gli Ebrei, che sarebbero ebrei di lingua aramaica che avevano delle loro sinagoghe in cui si parlava aramaico; ci sono gli ellenisti, che erano sempre ebrei, ma di lingua greca e che erano tornati a Gerusalemme dal mondo della diaspora, ed anche loro avevano delle sinagoghe in cui parlavano in greco; i sono poi anche i “proseliti” come Nicola, che sono dei greci che hanno cominciato a seguire la fede ebraica e che in seguito si sono convertiti. Quanto basta per capire che con il numero aumenta anche la varietà della composizione della chiesa e da questo inevitabilmente nascono problemi. Sta alla chiesa decidere se questi problemi debbano essere un’arma in mano a Satana per bloccare la crescita la chiesa, oppure una sfida che la farà crescere ancora di più… Satana ha già provato in tre modi a fermare la chiesa: con le autorità giudaiche che hanno provato a tappare la bocca agli apostoli. Non ci è riuscito! Con un dissidio interno dovuto ad Anania e Saffira che hanno anteposto i loro interessi personali e il loro orgoglio all’interesse comune: non ci è riuscito! Ora prova con le vedove, una categoria debole, che si sente privata dei propri diritti: non ci è riuscito!

Anche la chiesa di oggi può decidere se essere ostacolata nella sua crescita o se trasformare i problemi concreti che non mancheranno in opportunità di crescita.

Quali soluzioni si sono trovate?

  1. Soluzione 1: Non sminuire il peso della parola

Il problema che si pone è di ordine sostanzialmente pratico. Un gruppo ritiene che le loro vedove siano trascurate nelle mense. Se facciamo un piccolo salto indietro notiamo che gli apostoli non si occupavano solo della predicazione, ma anche di distribuire i beni (4:35) che venivano portati per essere messi in comune. Questo sicuramente provocava problemi di amministrazione e di gestione. Avrebbero potuto continuare a fare i factotum e ad occuparsi delle tante altre cose pratiche che inevitabilmente si sarebbero aggiunte durante l’ulteriore crescita della chiesa. In fondo la pratica è importante, e tutti sentiamo che è fondamentale agire e non solo predicare… In realtà si rendono conto che la vita della chiesa dipende dalla predicazione della parola e dalla preghiera, e che tolto questo motore propulsore la chiesa muore. La soluzione quindi non è di aumentare il loro tempo per risolvere una questione pratica ma di cercare altri, senza intaccare la predicazione della parola.

Questo principio riguarda tutti noi anche oggi, sia predicatori che ascoltatori della predicazione. Se un predicatore ha tempo o no per pregare per meditare la parola studiando ed approfondendola, dipende da lui e da come gestisce il suo tempo. Dalle sue priorità, da cosa sceglie di fare. Ma dipende anche da chi ascolta, e dagli sforzi che fa per sottrarre peso e carico di lavoro a chi ha il peso di predicare. Ho sentito raccontare di un pastore la cui moglie, al tempo dei telefoni fissi, gli filtrava le telefonate durante le ore della mattina, per permettergli di dedicarsi alla preparazione del sermone. Ho visto nella nostra stessa chiesa delle persone dire: è inutile che i pastori gestiscano le riunioni di preghiera, possono farlo anche altri, in modo da liberarli da incombenze. Abbiamo tutti il dovere di aiutare e stimolare chi predica a formarsi e a non ripetere sempre le stesse cose. Questo significa avere una visione comune perché qualcuno sia dedito alla predicazione e alla preghiera, attività che devono essere strettamente unite e laddove la seconda manchi la prima non sarà efficace. Ricordiamo che non si tratta di selezionare un lavoro speciale e migliore di altri, ma soltanto di preservare un nervo vitale assieme ad altri del corpo chiesa.

  1. Soluzione 2: partecipare tutti

Oltre ad essere importante preservare persone che si dedichino alla predicazione e alla preghiera, è importante notare come il processo per trovare una soluzione implichi da un lato l’ampliamento di persone che hanno delle responsabilità e dall’altro la partecipazione di tutti nel processo di scelta. La prima cosa è abbastanza normale ma ci fa comunque capire che i 12 non sono un gruppo chiuso che cerca di accaparrarsi tutto il potere per gestire in modo verticista il funzionamento della chiesa. La seconda ci mette in mostra una specie di forma di “democrazia” certamente non nel senso moderno, ma con il principio di far esprimere dalla base le persone che riceveranno delle responsabilità. Si notino le tappe:

  • Tutta la moltitudine viene convocata: non solo uno dei gruppi, non solo i più intelligenti e capaci di risolvere problemi, ma tutti perché il problema è di tutti e tutti devono sentirsi implicati
  • Fratelli, cercate di trovare 7 uomini: quindi il compito di trovare i 7 è dato a tutti. Questo numero era quello usato nelle sinagoghe per dare compiti speciali e viene dato alla moltitudine. Hanno votato? Si sono incontrati per decidere? Ognuno ha espresso la sua opinione? Si sono fatti avanti su base volontaria quei sette? Tutto questo non lo sappiamo, ma sappiamo che tutti hanno partecipato e questo è il principio che bisogna ritenere.
  • La proposta piacque alla moltitudine. E anche qui potrei rifare la lista qui sopra per capire come si capì che la proposta piacque, ma mi limito a dire che c’è un plauso da parte della moltitudine. Non è più una folla indistinta che fa scelte arbitrarie: è il gruppo dei discepoli che ha una responsabilità.

Credo sia molto importante tenere presente tutto ciò nella chiesa di oggi quando ci si pongono problemi di governo, di guida e di conduzione di chiesa. Ci sono chiese in cui si cerca una totale democraticità, altre in cui sembra che faccia tutto il pastore e che decida tutto. Io qui vedo una via di mezzo tra un gruppo guida che propone e affida incarichi, e ma non lo fa senza una larga partecipazione che implica la moltitudine nei processi di scelta. È vero che gli apostoli non sono stati scelti da una base, ma da Gesù stesso… Ma è vero anche che i 12 sono un gruppo a parte storicamente definito che cessa con il cessare dell’esistenza di testimoni oculari della resurrezione. I principi adottati qui, lasciano pensare che anche nella scelta di chi insegna ci debba essere una partecipazione.

  1. Soluzione 3: criteri spirituali per scegliere le persone

Trattandosi di un problema pratico, ci si aspetterebbe che il criterio di scelta usato per gestirlo sia in primo luogo di tipo tecnico: chi è che sa organizzare bene i gruppi, chi ha doni di amministrazione, di gestione, di autorità per farsi rispettare… A ben guardare si tratta di un gruppo abbastanza numeroso, che oltrepassa le 5000 persone, di cui si sa poco, ma che non deve essere stato facile gestire. Dai requisiti richiesti per le persone che devono servire alle mense, stranamente, non compare nessuna delle caratteristiche tecniche sopraelencate. Si richiede che le persone

  • abbiano buona testimonianza: cioè che si dica del bene di loro. Persone non discusse, che non hanno dato luogo a scandali, a problemi
  • Ripieni di spirito: il tema della pienezza di spirito è centrale in questa prima parte del libro degli Atti e fin dalla pentecoste contraddistingue uno stato che fa che una persona non abbia semplicemente delle buone qualità umane, come il criterio precedente, fatte di gentilezza, educazione, disponibilità, apertura e simili. Chi è ripieno di Spirito ha un legame speciale con il Signore, che ha trasformato la sua vita, rinnovandolo e rendendolo libro aperto che parla di Dio. Non è immediato per me capire perché ci vogliano queste qualità per servire le mense, ma sicuramente l’idea è che è molto meglio che ci siano persone forse non superorganizzate e abilissime nel garantire un servizio funzionale ed ineccepibile ma capaci di porsi con amore, con qualità divine piuttosto che persone capaci, ma magari presuntuose o arroganti che una volta svolto il servizio se ne vantino o lo facciano pesare sugli altri.
  • Sono anche pieni di sapienza, quel misto di conoscenza della scrittura e di saggezza che uniti rendono le persone capaci di trovare buone soluzioni tanto per situazioni spirituali, quanto per problemi di tipo pratico.

Possiamo anche notare che in seguito sia Stefano che Filippo (degli altri non sappiamo) si distinguono per opere che vanno ben al di là del servizio alle mense e che riguardano sia segni e prodigi che annuncio della parola. Tanto basta per spiegare che quello che si svolge in chiesa non ha mai un carattere solo tecnico. Di qualsiasi lavoro si tratti, dal servizio eventuale ad una mensa, alla predicazione, è sempre un lavoro che implica la testimonianza, il servizio la diakonia, il nome dato è qui quello di diaconi, cioè servitori per gli altri.

Conclusione

Il versetto 7 scioglie la preoccupazione nata all’inizio: se alla crescita della chiesa si opponeva un tumulto, questo tentativo di Satana di bloccare la crescita è sventato e la chiesa continua a crescere. La parola di Dio è annunciata e si convertono anche i sacerdoti, quelle autorità religiose che avevano tentato di fermarla. A noi tutti sta davanti la sfida: vogliamo una chiesa che cresce? Seguiamo i principi che abbiamo trasformiamo gli ostacoli in occasioni di crescita