Matteo 5: 1-10. Le beatitudini. Introduzione. Poveri in spirito, afflitti, mansueti.

Matteo 5:1-10 – Le beatitudini

1 Gesù, vedendo le folle, salì sul monte e si mise a sedere. I suoi discepoli si accostarono a lui, 2 ed egli, aperta la bocca, insegnava loro dicendo:
3 «Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.
4 Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati.
5 Beati i mansueti, perché erediteranno la terra.
6 Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta.
8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
9 Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli.

Siamo davanti ad uno dei discorsi più conosciuti di Gesù, primo dei 5 discorsi che danno struttura al vangelo di Matteo e che occuperà ben 3 capitoli. Proprio per la sua importanza è un discorso su cui si è molto parlato nella storia della chiesa, riuscendo a dire cose molto belle come anche cose assolutamente fuorvianti. Non sappiamo se queste furono le testuali parole di Gesù o se Matteo abbia potuto fornirci una sintesi di discorsi più lunghi. Sta di fatto che abbiamo una serie di massime, o di comandamenti, alcuni dei quali piuttosto corti che necessitano di spiegazione, di contesto e di comprensione, proprio per non essere fraintesi.

  1. Per chi non è il discorso sulla montagna?
    Cominciamo per via negativa a dire per chi non è il sermone sul monte, proprio perché dall’errore sui destinatari derivano molti degli errori di interpretazione che sono stati fatti a proposito di questo messaggio. Non abbiamo la presunzione di sapere più di altri e quindi cerchiamo di limitarci leggere quello che è esplicitamente scritto nel testo:

Gesù, vedendo le folle, salì sul monte e si mise a sedere. I suoi discepoli si accostarono a lui
Non è per l’umanità (le folle)
Le folle rappresentano nel nuovo testamento l’umanità fatta di ingenuità, di povertà, di malvagità, di indifferenza, insomma, quella massa eterogenea e indefinibile costituita da tutti gli uomini messi insieme. Notiamo che qui Gesù vede le fosse e deliberatamente si allontana, si reca in un luogo appartato, probabilmente le pendici di lago di Galilea, e istruisce i suoi discepoli.
È molto importante capire che questo discorso non è rivolto nel suo insieme a tutti gli essere umani per creare una sorta di modello di comportamento ideale che una volta seguito alla lettera garantisce il cielo. Le teologie del social gospel neglia nni ’60 hanno seguito questo orientamento individuando in forme di impegno politico le massimo del sermone sul monte. Il vangelo però non è affatto un programma di azione o la nuova edizione dei 10 comandamenti, da applicare su vasta scale come le direttive dell’agenda 20/30. Per quanto sia utile e opportuno dibattere su argomenti come il pacifismo, non possiamo tout court prendere un’affermazione come “porgi l’altra guancia” e utilizzarla come argomento per condannare qualunque tipo di guerra, fosse anche per difendersi o difendere uno stato. Ce lo dice il destinatario, che esplicitamente non sono le folle, ma i discepoli.
Non descrive condizioni del carattere
Altro fatto importante è capire che il sermone sul monte non è una descrizione delle caratteristiche psicologiche o morali di persone che meriteranno il regno di Dio. Si pensi ai mansueti, o agli afflitti, che enunciate tra le beatitudini in questo modo potrebbero sembrare delle semplici condizioni di carattere. Potremmo pensare che una persona che ha subito infinite sciagure, ingiustizie e persecuzioni, in seguito alle quali è triste e afflitte, venga qui incoraggiata a dormire sonni tranquilli perché Gesù promette che: “sarà consolata!”. Ma questa è una versione in salsa cristiana del concetto indiano di karma, per cui in base a ciò che una persona ha sperimentato in questa vita si reincarnerà in una gerarchia diversa. Può essere un concetto che affascina qualcuno, ma non ha niente a che vedere con il senso del sermone sul monte. Non si parla di condizioni caratteriali, o di buone educazioni che ci danno meriti. Ma di un’istruzione che i discepoli dovranno assimilare e fare propria.
Non sono istruzione automatiche
Ultimo aspetto importante è che queste beatitudini non comportano alcun automatismo rispetto alle promesse che fanno. Potremmo applicare alla lettera tutti i precetti che vengono dati in questo bel discorso, senza tuttavia viverne lo spirito. Tornando al controverso porgere l’altra guancia, se qualcuno mi punta un mitra e sono disarmato è inevitabile porre l’altra guancia, ma questo non mi fa obbedire allo spirito di questo comandamento.
Il sermone è per i discepoli.
Il sermone è quindi una descrizione di quello che sarà alla fine del viaggio di un discepolo – uno che segue – il suo carattere. Il sermone sul monte descrive come deve essere fatta una persona che si dice cristiana. È quindi una sorta di specchio per ogni persona che viene in chiesa perché ci chiede costantemente di vedere se il nostro rapporto con Dio produce o meno i frutti che vediamo descritti. Dire che non è per l’umanità, che non sono comandamenti, non significa sminuirlo o banalizzarlo, al contrario. Significa capire che questo sermone è uno strumento con cui la chiesa deve costantemente confrontarsi, usandolo come uno specchio, e quando la chiesa vede che la sua immagine non è quella descritta nel sermone, deve fare mea culpa e tornare indietro, mettendosi ai piedi di Dio e chiedendo di essere istruito.
Questo sermone parla ad ognuno di noi perché ogni suo singolo comandamento è un piccolo test che ci serve a capire qual è l’ideale a cui tendiamo, e quanto cammino abbiamo fatto. Ci sono molti bei libri dedicati al solo sermone (John Stott, Subilia), e noi cercheremo nell’insieme dello studio del vangelo di Matteo ci dedicarli il tempo dovuto.

  1. Le beatitudini.
    Beati voi! Diciamo spesso, per le affermazioni più banali, come: “Sai domani vado al mare”, riposta: “Beato te! Il termine esprime felicità, gioia. Ci viene detto che saranno felici, contenti, gioiosi coloro che hanno imparato certe caratteristiche. Sono caratteristiche non riservate a degli iniziati, ma a coloro che vogliono realmente seguire il regno.
    Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.
    Un giorno durante la proiezione di un film che rappresentava un personaggio un po’ svitato un mio amico mi disse: vedi, è un povero di spirito, intendendo con questo termine: “Scemo, poco intelligente”. Questa è una delle accezioni che si è maggiormente diffusa nella nostra cultura cattolica, e che fa dei semplici, degli ingenui una categoria privilegiata capace di ereditare il regno dei cieli. La verità espressa da Gesù è ben diversa e niente meglio di un verso di Isaia ci aiuta a capirla:
    15 Infatti così parla Colui che è l’Alto, l’eccelso,
    che abita l’eternità, e che si chiama il Santo. «Io dimoro nel luogo eccelso e santo,
    ma sto vicino a chi è oppresso e umile di spirito per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare il cuore degli oppressi.

Il termine “umile” e il termine “povero” sono spesso usati in maniera analoga nelle Scritture, e per capire cosa significa “poveri di spirito” dobbiamo pensare proprio a questa umiltà. Il prerequisito per essere felice, per essere un discepolo, è proprio quello di essere umile. Di sapere di essere un povero quanto allo spirito. Il punto di partenza della fede, del discepolato, del cammino con Dio è proprio questo: considerarsi una nullità quanto allo Spirito. Sapere di essere “vuoti” e di avere bisogno di essere colmati dallo Spirito. Giovanni parlerà di “nascere di nuovo” spesso sentiamo nelle Scritture parlare di “ripieni di spirito”, termine che è usato molto nel libro degli Atti che ci racconta la storia della chiesa. Ma non si può essere “pieni di Spirito” senza riconoscersi “vuoti di spirito”. Mancanti davanti a Dio.
Purtroppo si viene spesso davanti a Dio stra-pieni di qualcosa. Di alte convinzioni su noi stessi, di orgoglio, di qualità caratteriali… Chi crede deve in primo luogo svuotarsi del suo spirito reale o presunto per essere riempito dallo Spirito di Dio, che è l’essenza del regno dei Cieli. Perfino Gesù si è abbassato a diventare un uomo spogliando se stesso, svuotandosi del suo Spirito e diventando carne di peccato. Bisogna quindi diventare poveri di spirito, vendere i nostri vanti, rinunciare a tutte quelle caratteristiche e titoli che ci rendono grandi per entrare nel regno dei cieli.

4 Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati.
Abbiamo già detto che il regno dei cieli non è un posto in cui succede semplicemente il contrario di quello che è successo nella vita terrena. Quindi non si tratta qui di persone che avendo subito diverse sciagure ora sono consolate. Anche qui parliamo di un tipo di afflizione spirituale, che non ha a che vedere con le sciagure umane che possono capitarci.
Dobbiamo però cercare di definirla. In genere l’afflizione non è una caratteristica che viene ricercata ed esaltata. Si pensi al medio evo, definito età oscura proprio perché eccessivamente incentrata sul cordoglio, sul pentimento, di contro al Rinascimento, periodo di gioia, di euforia, di scoperte. Pensiamo alla nostra società: nessuno sarebbe attratto da un incontro o da una riunione in cui si piange e basta in cui si soffre, mentre tutti andremmo volentieri ad una festa dove c’è euforia, brio, divertimento!
Proviamo però a pensare ad un fatto singolare: quante volte vediamo nel Nuovo Testamento Gesù che ride e si diverte? Quante volte invece lo vediamo piangere? Nel caso di Lazzaro e su Gerusalemme. Pensiamo ancora a Isaia 53 che ci descrive Gesù come un uomo di dolore. Mai vorrei trasformare la chiesa in un luogo di afflizione e tristezza, in cui si piange e basta e non si ride né si fa ironia. Tuttavia proprio perché siamo in un’epoca carnevalesca (definizione di Umberto Eco) che trova sempre modo di festeggiare e carnevalizzare, al punto che i riti di inversione come il carnevale non hanno più senso, forse dobbiamo anche pensare a dei momenti in cui facciamo cordoglio, siamo a afflitti. Da cosa e per cosa? Dalla povertà spirituale del mondo, e dal suo peccato. E ancora prima dai nostri personali peccati e mancanze davanti a Dio.
La beatitudine dell’essere povero di Spirito, ha come risultato un’afflizione sul nostro stato di peccatori mancanti. Credo che chi si è convertito lo ha fatto non perché era felice e non sapeva chi ringraziare, ma perché si è riconosciuto mancante davanti a Dio. Ma questo fa soffrire, di una sofferenza sana e utile.
Nel regno dei cieli questa sofferenza troverò consolazione
5 Beati i mansueti, perché erediteranno la terra.
Possiamo facilmente renderci conto di quanto rivoluzionaria sia questa affermazione. Se penso a chi erediterà la terra, penso a chi ha più forza. A chi ha un esercito più potente, più armi, più territorio e popolazione da impegnare. Non certo a chi è più mansueto.
Rispetto alla nostra miseria possiamo accettarla e metterla nelle mani di Dio, oppure assecondarla e ribellarci. I mansueti non sono persone dal carattere arrendevole, o persone indolenti che non hanno voglia di fare niente. Sono persone che sapendo quale sia la loro miseria spirituale, rimangono calmi, forti nella loro fede, e non rispondono al male col male.
Implicazione: una volta che sappiamo di essere peccatori, facciamo cordoglio. Se ci viene fatto notare qualche nostro errore, l’istinto sarebbe di ribellarsi. La mansuetudine è il contrario, ed è l’accettare la riprensione fraterna. I martiri sono mansueti, non sono certo deboli.