La fede può spostare i monti? Matteo 17; 14-23.

14 Quando tornarono tra la folla, un uomo gli si avvicinò, gettandosi in ginocchio davanti a lui, 15 e gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio, perché è lunatico e soffre molto; spesso, infatti, cade nel fuoco e spesso nell’acqua. 16 L’ho condotto dai tuoi discepoli ma non l’hanno potuto guarire». 17 Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me». 18 Gesù sgridò il demonio e quello uscì dal ragazzo, che da quel momento fu guarito.19 Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché non l’abbiamo potuto cacciare noi?» 20 Gesù rispose loro: «A causa della vostra poca fede; perché in verità io vi dico: se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: “Passa da qui a là”, e passerà; e niente vi sarà impossibile. 21 [Questa specie di demòni non esce se non per mezzo della preghiera e del digiuno».]22 Mentre essi percorrevano insieme la Galilea, Gesù disse loro: «Il Figlio dell’uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini; 23 essi lo uccideranno e il terzo giorno risusciterà». Ed essi ne furono molto rattristati.

La discesa dal monte della trasfigurazione ricorda ai discepoli che lo scenario da loro visto, con Gesù Mosè ed Elia è un’anticipazione di quella che sarà la gloria futura. Prima di raggiungerla c’è da fare un cammino che non sarà fatto solo di momenti contemplativi e sereni, ma anche di sofferenza e difficoltà: sarà un cammino che passa per la croce. Si tratta di camminare in mezzo ad un regno che è in mano al principe di questo mondo e l’episodio di cui abbiamo appena letto ne è un esempio. La domanda che questo episodio suscita è la seguente: se vogliamo vedere un mondo diverso, un mondo trasfigurato, un mondo che venga sottratto dal dominio dei demoni, e diventi sempre più regno di Dio, su cosa deve basarsi la nostra fede?

1. Territori occupati da Satana

Il passo ci descrive il dolore di un uomo che chiunque sia genitore può capire perfettamente, quello provocato dalla sofferenza di un figlio. Siamo tutti capaci di resistere in qualche modo alla sofferenza, ma non possiamo sopportare di vedere soffrire i nostri figli. Questo ragazzo di cui si parla si autodistrugge, perché questo demone che lo possiede lo spinge al suicidio, buttandosi nel fuoco o nell’acqua.

Si tratta di un fenomeno che, se non vediamo e non leggiamo esattamente nelle stesse forme, possiamo comunque riscontrare in diverse tendenze all’autodistruzione come il suicidio, l’uso di droghe, o il fascino delle challenge che spingono adolescenti a rischiare la vita, fino ad arrivare proprio al suicidio. Non le chiamiamo con lo stesso nome e sui giornali non vengono definite forme di possessione demoniaca, ma qual è il lavoro dell’avversario di Dio se non quello di distruggere la vita che Dio ha creato e di rovinarla nel modo più perverso possibile?

Possiamo dunque dire che i discepoli non appena scendono dal monte della trasfigurazione si trovano confrontati all’impero del mondo, all’impero di Satana che ha il suo potere che tiene prigioniere molte persone in forme diverse. Ci sono molti studi psicologici che cercano di capire le cause dell’autodistruttività, l’impulso al thanatos, è uno dei fattori fondanti della psicanalisi freudiana, ma la lettura che ne dà la Bibbia ci dice chiaramente che si tratta di forme in cui Satana detiene abusivamente delle persone.

Cogliamo un primo incoraggiamento ad osservare bene il mondo che abbiamo intorno. Mi è capitato la settimana scorsa di uscire di casa dopo alcuni giorni durante i quali per malattia non ero potuto uscire e di essermi imbattuto in 4 o 5 persone tutte visibilmente devastate da qualche male. Non riconoscevo quasi il mio quartiere che in genere è un quartiere abitato da persone molto normali e questo mi ha fatto riflettere. L’immagine che ho della mia città è quella di una città piuttosto tranquilla con gente che sta mediamente bene, ma vedere queste persone disadattate mi ha fatto pensare a quanto lavoro c’è: c’è un Regno di Dio che va affermato in mezzo alle tenebre. Ci sono numerosi genitori che soffrono perché i loro figli stanno male, e altri che stanno male loro stessi e hanno bisogno di regno di Dio.

2. La riconquista (rabbiosa) del regno.

Davanti all’incapacità dei discepoli è indiscutibile che Gesù si arrabbi. Sono quei momenti in cui il figlio di Dio sembra veramente perdere la pazienza perché le parole che usa sono dure: generazione incredula e perversa, fino a quando vi sopporterò! Certo le si possono dire con tono affettuoso e bonario, oppure tuonando come il profeta Elia da poco rievocato, ma si tratta comunque di parole dure. Perché tanta durezza? In meno di un minuto Gesù risolve il problema sottraendo terreno a Satana ed affermando con potenza il regno di Dio, cioè la libertà di vivere, di godere della vita creata da Dio.

AMiracolo e riconquista. A questo punto i discepoli, forse perché si vergognavano, prendono Gesù in disparte e chiedono spiegazioni. E la spiegazione di Gesù è semplice: a sentirla dire in greco sembra una diagnosi medica: “OLIGOPISTIA”. Fede piccola, mancanza di fede… Mancano di fede, quindi non possono fare niente. Ricordiamoci bene che in Mt 10 era stata data loro autorità sui demoni ed erano tornati sorpresi di essere riusciti ad avere tanto successo! Perché ora non riescono? Dobbiamo ipotizzare che ci sia stato un deciso cambiamento di atteggiamento da parte dei discepoli nel loro modo di fare. Fare miracoli non significa fare cose anormali, cose al di fuori dalla norma, ma riguadagnare il terreno che Satana ha preso. C’è molta differenza tra la fede e la magia, tra la fede e l’ottimismo, e tra la fede e l’illusione. La fede non si interessa a fare cose straordinarie per il gusto di farle, come un prestigiatore, né si interessa di esercitare un potere sul mondo modificandolo per trarne gloria. La fede significa riporre totalmente la propria fiducia in Gesù e lasciarlo operare nell’affermazione del regno. I discepoli probabilmente avevano cominciato a confidare in loro stessi, nelle loro capacità, in un modo meccanico o magico di guarire le persone perdendo di vista la prospettiva del regno con conseguente esaltazione del gesto liberatorio in sé. Questo non solo non riesce a liberare dai demoni con successo, ma non riconquista alcun territorio al regno. Se pensiamo a questo passo in questi termini ci rendiamo conto che il punto centrale non è tanto l’aspetto straordinario del miracolo, ma nel progredire verso Gerusalemme liberando e affermando il regno.

B. Poca fede o piccola fede? Se si è riposta veramente e totalmente la fede in Gesù, non c’è bisogno di chissà quale fede. Basta una piccola fede, poca fede. Ma riposta nel posto giusto. E qui è importante capire che la fede non si può quantificare! Cosa significa avere tanta, fede, poca fede? La fede c’è o non c’è, quindi ne basta pochissima, per fare cose enormi. Se cominciamo a quantificare la fede, cadiamo in una trappola che ci fa credere che la fede sia uno sforzo, una capacità psicologica di credere con forza, una virtù personale legata all’autoconvincimento. Ma questa non è la fede! La fede è credere in Gesù, avere con lui una relazione profonda e questa profondità non si può misurare. Riconoscere Gesù signore della vita e della salvezza, e re del regno che si sta affermando che scaccia le forze demoniache è la fede. L’errore dei discepoli probabilmente è proprio nel non aver considerato questo. Il v. 22 non compare in molti manoscritti e non voglio prenderlo come troppo sicuro. Tuttavia la vera preghiera e il vero digiuno non sono tecniche per ottenere qualcosa ma atteggiamenti di totale dedizione a Dio. È probabile che i discepoli li abbiano trascurati, che si siano messi ad urlare ai demoni o abbiano ricorso ad altro, piuttosto che a una piccola fede riposta interamente in Gesù.

C. Ma questa fede può veramente spostare i monti? È una metafora? È vero? La moderna tecnologia scavando tunnel, sollevando collinette e spostando monti ha già fatto questo. Del resto è un passo che mi ha sempre fatto ridere perché mi diverto ad immaginare cosa succederebbe se i credenti si mettessero a pregare intensamente tentando di spostare chi il monte Bianco, chi l’Everest, chi il Kilimangiaro… ne deriverebbero delle catastrofi ambientali incredibili, terremoti, morte ecc. quindi preghiamo piuttosto che mai debba capitare che a qualcuno venga in mente di spostare i monti. Ci rimane il senso metaforico, per cui la fede ci permette in effetti di fare cose impossibili ed è un senso sicuramente presente. Potremmo prendere un foglio e una penna e scriverci sopra quante cose molto semplici potremmo fare che non facciamo pensando che stiamo riconquistando terreno del regno. Quante semplici azioni che coinvolgano amici per iniziative che li porteranno a conoscere il vangelo: piccoli incontri di lettura, qualche semplice gioco, una passeggiata… Niente di straordinario, ma vissuto con la prospettiva del regno. E da qui ovviamente cose più grandi, senza escludere esorcismi e guarigioni.

C’è però un altro senso che va colto in questo passo. Il monte per eccellenza è per chi va verso Gerusalemme il monte del tempio. Per gli ebrei la fede si esercitava nel tempio, nel riporre importanza in quel luogo in cui di rappresentava la presenza di Dio. Non c’è più bisogno di quel tempio perché Gesù è qui e quel tempio non ha più senso. Si può tranquillamente “spostare” il monte di Sion perché la fede va riposta solo e totalmente in Gesù. Questa è la fede che sposta le montagne. La fede che rende superfluo ogni costrutto e gesto umano e che ci invita a incontrare Dio in Gesù.

3. Il regno e la croce.

La parte finale del passo ci rassicura. La rabbia manifesta di Gesù non lo ha portato a rifiutare i discepoli a, scacciarli e le parole: “fino a quando dovrò sopportarvi” non hanno affatto significato che il loro cammino insieme fosse ormai finito. Gesù riprende, ma non rigetta. Corregge, ma non rinnega. Nella fase finale dell’episodio vediamo ristabilita quell’atmosfera di fiducia iniziale, vissuta sul monte della trasfigurazione. Nel contesto di questa pace Gesù ribadisce una verità già detta durante la confessione di Pietro: Gesù dovrà soffrire. I discepoli non riescono a farsene una ragione, non piaceva a Pietro e non piace al gruppo che è rattristato. Le aspettative di un gruppo di discepoli che vanno verso Gerusalemme, la città del Re, con un re sono gloriose, non sono certo di sofferenza. È un messaggio che i discepoli faticano a capire, ma è il messaggio della croce. La gloria futura significa croce. La fede che sposta i monti, che rende vano il monte di Gerusalemme, è una fede che si prepara a soffrire. La sfida per i discepoli è abbandonare i loro sogni di gloria, per abbracciare sogni di costruzione del regno nella sofferenza, ma nella comunione con Gesù.

Cosa sogniamo dalla vita? Di regnare in pace con Gesù? Di non avere troppe noie e troppe difficoltà? Di non dover incontrare delle persone prese da tentazioni di autodistruzione? Io confesso che spesso sogno questo, di poter stare in pace e divertirmi. Eppure il cammino verso Gerusalemme ci chiama ad altro. Ci chiama a guardare il mondo che ci circonda, a renderci conto di ciò che vi avviene per predicare e affermare il regno.