La comunione ai tempi del corona-virus

È normale che ultimamente proliferino scritti con qualsiasi titolo seguiti dalla locuzione: «Ai tempi del coronavirus», per cui abbiamo «la chiesa», «la fede», la lode e via dicendo ai tempi del coronavirus. Voglio aggiungere a questo una mia riflessione sulla comunione ai tempi del coronavirus. Le situazioni nuove ed insolite ci costringono sempre a ripensare la nostra vita, e spesso determinano eventi inaspettati: persone che non hanno mai scritto e che si mettono a scrivere, persone che non si sentivano da tanto tempo e si ritrovano, vicini che non si erano mai osservati ed ora si incontrano semplicemente affacciandosi dalla finestra.

Come tutto, anche la fede e i modi in cui si esprime subiscano uno shock che le costringe a ripensarsi e forse a scoprire altri aspetti. Come molte famiglie riscoprono la gioia di essere sempre insieme, così a me, come parte di una famiglia spirituale, la chiesa, mi è venuto da domandarmi cosa ne sia della comunione fraterna in questi tempi in cui siamo forzosamente separati e la mia riflessione si appoggerà su alcuni passi della Scrittura.

1. Comunione nello Spirito

Salmo 133.
Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!
2 È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste. 3 È come rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion. Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre.

A cose normali il commento di questo salmo viene usato per insistere sull’aspetto materiale della comunione, sul fatto di essere insieme, del passare del tempo insieme, magari mangiando e trascorrendo del tempo e non limitandosi a parlare di una comunione spirituale che potrebbe sembrare solo teorica. Eppure oggi che la condivisione materiale di luoghi, cibi, e momenti è impossibile proprio questa privazione del corpo ci spinge a rivalutare l’elemento spirituale della comunione. La comunione di cui parla il salmo è fondata su un legame fraterno, e questo legame fraterno si vive nello Spirito.

Giovanni 14, 17: lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.

1 Giovanni 3, 24: Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

Non è facile parlare dello Spirito perché proprio la sua natura lo rende evanescente e immateriale e quindi abbiamo difficoltà a rappresentarcelo. Ci può aiutare un’immagine: oggi che siamo separati e segregati forzatamente cerchiamo di tenerci uniti con mezzi tecnologici che riescono ad inviare onde elettromagnetiche con cui ci vediamo e ci parliamo. Ha del miracoloso ma in fondo è semplicemente il risultato di secoli di ricerca scientifica ed applicata. Ebbene, potremmo dire che i cristiani, ben prima della tecnologia avevano un qualcosa che li teneva uniti pur non essendo presenti fisicamente. Lo Spirito di Dio. Proprio ora, viste le distanze, avvertiamo con più forza quanto la nostra comunione deve essere fondata su questo Spirito. La confondiamo facilmente con la simpatia, con la sintonia, con l’affinità caratteriale, ma il fatto che oggi ci incontriamo qui insieme significa che indipendentemente dalla realtà virtuale c’è una realtà spirituale che niente e nessuno può toglierci: è lo Spirito di Dio che dimora in chi crede. In questi giorni in cui potranno mancarci agapi, cene, riunioni in cui fisicamente siamo insieme, concentriamoci sull’unità che abbiamo grazie allo Spirito che fonda un’unità ben più solida che quella data dalla sola presenza fisica. Lo spirito è simile al respiro: pensiamo a questa immagine: lo spirito è una specie di respiro comune della chiesa, che unita in un corpo respira con un solo soffio.

2. Comunione nella preghiera

1 Tessalonicesi 1, 2:  Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente 3 memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. 

Questo momento di reclusione non è uguale per tutti noi. Alcuni si trovano a non lavorare più, ad avere più tempo di prima, altri invece, con i prodigi dello smart working, hanno più da fare che prima, perché devono imparare a usare nuove metodologia e si trovano continuamente davanti ad uno strumento che invade tutte le sfere della vita. Certamente ognuno di noi non ha più dei tempi di spostamento, visto che dobbiamo stare chiusi in casa, e comunque la maggior parte di noi non può adoperarsi concretamente per gli altri. Dobbiamo limitare i contatti e quindi l’intervento concreto resta al personale medico, o a chi lavora in settori ritenuti necessari. Ovviamente tutti possiamo fare donazioni, sostenerci moralmente chiamandoci e parlando, ma credo che si debba porre una grande attenzione alle potenzialità della preghiera. Chi si trova ad avere più tempo non trascuri la possibilità di investire in preghiera. Il passo appena letto mostra che le preghiere da lui rivolte a Dio Padre, per i tessalonicesi hanno motivazioni estremamente concrete: perfino al fede è legata all’impegno, e l’amore si traduce in azione. Ma Paolo a distanza non può far altro che pregare per loro, ed è una pratica che ritroviamo in tutte le sue altre lettere, non solo qui don i tessalonicesi. Mio padre non può camminare per strada e si è messo a camminare sul tetto della sua casa a Roma, facendo 10.000 passi che equivalgono a 6-7km. Se noi non possiamo più adoperarci per gli altri, soccorrere qualcuno materialmente, rivalutiamo l’importanza della preghiera. Preghiamo gli uni per gli altri, preghiamo per le famiglie che hanno avuto vittime, per i malati, per gli operatori della sanità. Riconquistiamo tempo alla preghiera gli uni per gli altri, rafforzando la nostra comunione a distanza attraverso il ponte che lo spirito crea e la preghiera alimenta, e forse un giorno sarà una disciplina che questo tempo di segregazione ci avrà insegnato.

3. Comunione nella croce

1 Corinzi 10, 16.  il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17 Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane.

Dopo alcuni culti senza la cena del Signore abbiamo pensato che sarebbe stato meglio reinserire la cena del Signore. Certamente il corpo che prendiamo non è unico, ed il sangue non è più in un unico calice, ma ognuno se lo prende da solo a casa sua. Eppure, pane e vino, sebbene diffusi in varie parti della terra sono la stessa sostanza e lo stesso segno di una stessa realtà. Con ancora più forza rendiamoci conto che la nostra unità, il nostro stare insieme, il nostro essere chiesa si fonda su una sofferenza dolorosa ed espiatoria che ha permesso alla vita spirituale di sbocciare. Ma con quella sofferenza rappresentata, significata, dal calice e dal pane noi abbiamo comunione. Significa che ne facciamo parte, che devono essere diventate una parte di noi. C’è quindi comunione tra di noi solo e soltanto se abbiamo parte con quel sangue e con quel corpo, se ci siamo uniti a Cristo nella sua morte e resurrezione. Questo è ciò che rende possibile la nostra comunione. Oserei dire che la nostra comunione non è spontanea, diretta, immediata, ma è mediata da Cristo. Possiamo avere tanti tipi di comunioni di altro tipo, di affetto, di simpatia, di affinità di interessi, e magari di abitazione, come la comunione di chi abita nello stesso condominio. Ma il pane e il vino ci ricordano che la nostra comunione è possibile anche quando non siamo fisicamente insieme, perché dipende da un atto passato, che unisce nella morte di Cristo tutti coloro che riconoscono la sua morte.

4. Comunione nell’attesa

Salmo 133:
Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore; voi che state nella casa del Signore durante le notti. 2 Alzate le mani verso il tempio e benedite il Signore. 3 Da Sion ti benedica il Signore, che ha fatto cielo e terra. (Attesa lieta)

Salmo 6, 4:  L’anima mia è tutta sconvolta, ma tu, Signore, fino a quando…? (Attesa sofferente)

Ognuno di noi ogni giorno ascolta televisione, radio e internet per sapere quando questo tempo finirà e per ora le previsioni non sono affatto certe. I due passi che abbiamo letto evocano due momenti di attesa, uno più lieto, l’altro più inquieto, ma entrambi lasciano intravedere una grande speranza nel Signore. Nel salmo si racconta la notte dei servitori del tempio che aspettano l’arrivo del mattino e passano il tempo nelle benedizione del Signore, occupazione piacevole. Nel salmo 6 il salmista è invece triste e angosciato e si chiede quanto debba aspettare per vedere la fine della sua sofferenza. Entrambi sperano nel Signore.

Sono salmi che riprendono scenari che potremmo ritrovare facilmente anche oggi: ci sono persone che in questo tempo approfittano di un po’ più di calma, che vengono pagati anche se non vanno a lavorare o hanno spazi ampli, giardini, terrazzi dai quali si godono un po’ di serenità invece della corsa continua a cui si è talvolta sottoposti. Altri invece soffrono. Non hanno lavoro, sono fermi a casa, non hanno da mangiare. Alcuni hanno fatto notare che sono diminuiti i crimini, ma sono aumentate le violenze tra le mura domestiche; Kekeli ha ricevuto la telefonata di un ragazzo che non potendo più lavorare non è pagato, non ha da mangiare né può pagare l’affitto…

Come credenti, indipendentemente da quale sia la situazione in cui ci troviamo, dobbiamo cogliere la dimensione dell’attesa presente in entrambe. Questo momento ci deve far riflettere che la nostra vita è una vita in attesa. Non in attesa ansiosa né in attesa angosciata, ma in attesa speranzosa e fiduciosa di un ritorno. Stiamo aspettando il ritorno alla normalità che auspichiamo più veloce possibile. Possiamo auspicare con altrettanta forza il ritorno di Cristo? Imparare ad aspettare ci fa riflettere che il Signore ha previsto un ritorno ancora più importante. Non un ritorno alla semplice normalità, ma un ritorno di Cristo, che sarà un ritorno della stra-ordinarietà, per entrare in un nuovo mondo in cui la normalità sarà la vita con Dio. Cogliamo quindi il senso dell’attesa che viviamo, per vivere in modo ancora più serio e profondo l’attesa ultima di Cristo. In questo tutta la chiesa mondiale deve avere comunione, perché è l’appuntamento ultimo che ha ognuno di noi.

Che il Signore ci dia di vivere questa interruzione della comunione fisica come un momento per rinsaldare la comunione che abbiamo nello Spirito, nella preghiera, nel sangue e nel corpo, e nell’attesa di Cristo.