Di fronte allo specchio del Vangelo – Matteo 21:23-32

Di fronte allo specchio del Vangelo

Una delle obiezioni che fanno spesso le persone quando si parla di cristianesimo è la seguente “Ci sono tante persone che pur non credendo in Cristo, si comportano meglio di presunti cristiani”. Questa purtroppo è una triste realtà. In un certo senso ci mettiamo di fronte allo specchio e ci rendiamo conto di non essere sempre in grado di praticare quello che professiamo.

Allo stesso tempo il problema di questa obiezione è che essa è incentrata su quello che le persone fanno, quello che noi vediamo delle persone fare, come agiscono, come amano o non amano, come perdonano o non perdonano. Ma non è da quello che uno fa, che uno mostra, che una persona è giudicata da Dio (questo non vuol dire, ovviamente, che i “frutti” della nostra vita non possano essere indicativi della nostra natura, la Bibbia ce lo ricorda tante volte!). Quando ci mettiamo di fronte allo specchio di Dio non viene mostrato quello che gli altri vedono, ma il nostro cuore, la nostra essenza.

Quando giunse nel tempio, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si accostarono a lui, mentre egli insegnava, e gli dissero: «Con quale autorità fai tu queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» 24 Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una domanda; se voi mi rispondete, vi dirò anch’io con quale autorità faccio queste cose. 25 Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?» Ed essi ragionavano tra di loro: «Se diciamo: “dal cielo”, egli ci dirà: “Perché dunque non gli credeste?” 26 Se diciamo: “dagli uomini”, temiamo la folla, perché tutti ritengono Giovanni un profeta». 27 Risposero dunque a Gesù: «Non lo sappiamo». E anch’egli disse loro: «E neppure io vi dico con quale autorità faccio queste cose.

28 «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Avvicinatosi al primo, disse: “Figliolo, va’ a lavorare nella [mia] vigna oggi”. 29 Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”; ma poi, pentitosi, vi andò. 30 Avvicinatosi all’altro[j], disse la stessa cosa. Egli rispose: “Vado, signore”; ma non vi andò. 31 Quale dei due fece la volontà del padre?» Essi [gli] dissero: «Il primo». E Gesù a loro: «Io vi dico in verità: i pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio. 32 Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui.

 

Stiamo giungendo alla fine del nostro percorso nelle parabole di Gesù. In queste settimane noterete degli elementi comuni fra le storie raccontate da Gesù verso la fine del suo ministerio, prima della morte sulla croce.

 

Vorrei che notassimo alcune cose insieme, quindi tenete aperte le vostre bibbie nel capitolo 21 di Matteo.

 

Innanzitutto Gesù è da poco entrato a Gerusalemme, montando un asino, con le folle che gridavano dicendo “Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (9). Poco dopo Gesù è entrato nel tempio di Gerusalemme, scacciando i venditori. Questi episodi avevano sconvolto, irritato e indignato i capi dei sacerdoti e i farisei e lo scontro con Gesù diventa sempre più marcato. è in questo clima ostile, di scontro che si inserisce il filone di parabole che stiamo studiando. Parole che, come dice Matteo nel versetto 45, erano rivolte “ai capi dei sacerdoti e i farisei – i quali- udite le sue parabole, capirono che parlava di loro; e cercavano di prenderlo, ma ebbero paura della folla, che lo riteneva un profeta” (45).

 

Questa forte frizione tra Gesù e i farisei si nota anche nella prima parte del brano che abbiamo letto oggi. I capi religiosi non avevano accettato il lavoro profetico di Giovanni il Battista, che era venuto per annunciare l’arrivo del Messia e il bisogno del ravvedimento, allo stesso modo in cui non stavano accettando Gesù, il Messia annunciato da Giovanni.

 

A questo punto Gesù racconta una breve parabola, dagli elementi abbastanza chiari. Un uomo ha due figli, e ad entrambi chiede di andare a lavorare nella vigna. Il primo non risponde bene all’ordine del padre ma poi, pentitosi, cambia idea e fa quello che il padre gli ha detto di fare. Il secondo, invece, sembra ben disposto ma alla fine non ubbidisce al padre. A questo punto Gesù fa una domanda molto specifica: chi fra i due figli ha fatto la volontà del padre? Quello che ha obbedito a voce o quello che ha obbedito con i fatti?

 

La spiegazione offerta da Gesù chiarisce subito il significato della parabola. Il figlio che dice di no al padre ma poi va comunque a lavorare, non rappresenta tanto noi quando diciamo di no ad un  nostro genitore, o al nostro capo a lavoro per poi fare comunque quello che ci è stato richiesto. E nello stesso modo l’altro figlio non rappresenta tanto noi quando ci impegniamo a fare qualcosa e poi non la facciamo. Credo che per queste situazioni ci sono altri testi nella Bibbia che ci aiutano a sapere come comportarci. La Bibbia ci dice di rispettare ed ubbidire sia ai nostri genitori che ai nostri datori di lavoro (Efesini 6:1-5) e che non dobbiamo promettere cose che poi non facciamo “Le labbra bugiarde sono un abominio per il Signore, ma quelli che agiscono con sincerità gli sono graditi.” (Proverbi 12:22).

 

La domanda e la spiegazione di Gesù ci dimostrano che questa parabola non ha a che fare con il nostro comportamento, ma bensì con qualcosa di molto più profondo.

 

Il primo figlio rappresenta gli esattori delle tasse e le prostitute, i peccatori per eccellenza nel sistema religioso, culturale e sociale dell’epoca. Ma queste persone non vengono giudicate in base al loro peccato, ma in base al pentimento, al cambiamento che c’è stato nella loro vita. Queste persone hanno accettato il messaggio di Giovanni prima, e di Gesù poi.  L’altro figlio, invece, rappresenta i farisei e i capi religiosi. Ma, di nuovo, non è il loro stile di vita a essere ripreso, ma l’attitudine del loro cuore. Queste persone sono condannate non perché le loro azioni fossero sbagliate, ma perché il movente che li spingeva a comportarsi così era sbagliato.

 

Il messaggio di Gesù è diretto e chiaro, e non voglio girarci attorno. La posta in gioco è alta: gli uni hanno diritto ad entrare nel regno di Dio, gli altri no. Gli uni riceveranno il regno di Dio, mentre agli altri verrà tolto. Gesù ha detto ai suoi contemporanei, e ci dice oggi attraverso la sua Parola, che ci sono due categorie di persone: coloro che fingono di essere in pace con Dio e coloro che invece sono in pace con lui.

 

Coloro che fanno finta, che si illudono, che solo all’apparenza sono virtuosi  sono contraddistinti da tre caratteristiche:

 

  • La mancanza di pentimento
  • La mancanza di giustizia
  • La mancanza di fede

 

29 Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”; ma poi, pentitosi, vi andò.

La mancanza di pentimento è una delle differenze tra i due fratelli. Il secondo fratello non si pente mai di quello che sta facendo, non realizza che il suo modo di fare è giusto e bello solo all’apparenza, non è cosciente della propria colpevolezza di fronte al padre.

 

2 Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia,

Il secondo problema del secondo fratello è la sua mancanza di giustizia. Questo fratello pensa di farla franca, dicendo di sì al padre senza avere il desiderio di veramente ubbidirgli. Pensa di essere giusto, ma è condannato dalle bugie che dice agli altri e a se stesso.

e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto

Infine il terzo elemento che condanna il secondo fratello è la mancanza di fede, non avendo creduto che quello che il padre gli ordinava di fare fosse la cosa migliore per lui, non ha creduto all’autorità del padre ma pensava di potersi fare beffe di lui, di sapere lui come dover gestire la propria vita.

 

Come ho detto prima, non si tratta tanto di cose che facciamo, ma bensì di cose che siamo e crediamo. Un fariseo non era migliore di una prostituta solo perchè all’apparenza si comportava meglio e al tempo stesso una prostituta non era più giusta del fariseo solo perché i suoi peccati erano evidenti a tutti.

 

E allora come giudichiamo la nostra vita? Come si applica questa parabola alla nostra vita spirituale, alla nostra identità, al nostro desiderio di essere parte del regno di Dio?

 

Se vogliamo veramente esaminare la nostra vita dobbiamo ribaltare completamente le mancanze del secondo fratello e riconoscere che abbiamo

  • Bisogno di pentimento
  • Bisogno di giustizia
  • Bisogno di fede

 

Questo cambiamento di paradigma avviene attraverso il lavoro dello Spirito Santo nelle nostre vite, infatti è lo Spirito Santo che convince il mondo “quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.” (Giovanni 16:8).

 

Una persona entra a far parte della famiglia di Dio perché:

  • riconosce che la sua vita, il suo agire, i suoi motivi, la sua identità sono tutti stati contaminati dal peccato. Questa persona riconosce, usando le parole di Davide, di essere “stato generato dell’iniquità,mia madre mi ha concepito nel peccato.” (Salmo 51:5) Riconosce di trovarsi in una situazione che non può risolvere da solo, riconosce che qualcosa deve cambiare nella sua vita.
  • sempre attraverso il lavoro dello Spirito, questa persona riconosce che non può presentarsi come giusto di fronte a Dio. Riconosce che può anche ingannare gli altri, come facevano i farisei, ma non potrà mai ingannare il Padre eterno, creatore e conoscitore di ogni cosa. Riconoscere che anche lui rientra nell’affermazione biblica secondo la quale “non vi è nessun giusto, neppure uno.” (Romani 3:10). Giusto di fronte a Dio non vuol dire bravo, più bravo degli altri, o meno peggio degli altri. Vuol dire essere senza peccato. Siccome nessuno di noi può presentarsi davanti a Dio affermando di essere perfettamento santo, l’uomo che si è pentito può accedere alla giustizia di Gesù, che ha pagato una pena che non gli spettava. In questo modo abbiamo pace con Dio, perché siamo giustificati per mezzo di Cristo (Romani 5:1)
  • Per poter accedere alla giustizia di Dio c’è una sola cosa che una persona che vuole essere del Regno può e deve fare: credere. Non deve mostrarsi giusto, non deve comprarsi la giustizia con opere di bene fine a se stesse, non deve compiere qualcosa di miracoloso. Deve solo credere. Credere vuol dire ammettere il proprio peccato, riconoscere di aver bisogno una giustizia perfetta e accettare quella che è stata messa a disposizione dal sacrificio di Cristo sulla croce.

 

Come esseri umani abbiamo la tendenza ad auto-giustificarci, a dire che in fondo il nostro modo di vivere non è troppo sbagliato ne tantomeno peccaminoso. Siamo portati a convincere gli altri e convincere noi stessi che non abbiamo bisogno di niente. I farisei per esempio facevano affidamento nell’essere figli di Abramo e nella loro obbedienza alla leggi di Mosè. Il Vangelo ci dice il contrario. Lo specchio del Vangelo svela la vera natura della nostra vita e rivela quello che c’è veramente dentro di noi. Espone i nostri limiti, le nostre mancanze, i nostri errori. Mostra che non abbiamo tutto sotto controllo come ci piace far credere agli altri, ci ricorda che abbiamo bisogno di aiuto. Ma il Vangelo non fa questo lavoro di presa di coscienza della nostra condizion per abbatterci, per scoraggiarci. Tutto il contrario! Lo specchio del Vangelo fa questo lavoro offrendoci anche la soluzione di cui necessitiamo, la speranza di cui abbiamo bisogno. A motivo di quella speranza i pubblicani e le prostitute, che vivevano una vita straziata dal peccato e dalla mancanza di speranza, si stavano pentendo, stavano abbracciando la giustizia e stavano credendo. Quella speranza è Gesù.

 

Credo che questa parabola di Gesù e questo messaggio possono rientrare nella categoria di messaggi “evangelistici”, nel senso che presentano verità centrali del vangelo che devono essere capite da coloro che vivono in opposizione a Dio. Se non fai parte della famiglia di Dio, ti invito a riflettere su queste parole, a lasciare che il Vangelo metta a nudo la tua natura e il tuo bisogno di un Salvatore, ti invito ad accettare l’offerta di grazia di Gesù.

 

Al tempo stesso questo messaggio è evangelistico anche per i credenti, perché anche da credenti è facile iniziare a credere che non abbiamo bisogno di pentimento, che non abbiamo bisogno di giustizia e che non abbiamo bisogno di credere. Invece queste tre cose devono essere sempre presenti, un sincero pentimento che ci riporti a Cristo, una giustizia fondata solamente sul sangue di Cristo e non sulle nostre opere buone (quante volte andiamo in chiesa, quanto preghiamo, quante persone nel bisogno aiutiamo) e credere che Cristo è l’unico Signore meritevole di essere il centro della nostra vita.