Relazioni e rivoluzioni

Colossesi 3:18-4,1

Il passo che studiamo oggi rientra nel genere dei codici morali, in voga al tempo di Paolo e dai contenuti non dissimili. Si tratta di insegnamenti che mirano a consolidare certe strutture sociali e che hanno in vista l’ordine della società e in questo caso della chiesa.

Visti gli abusi che molte delle categorie più forti hanno imposto alle più deboli un simile passo viene considerato da alcuni conservatore, e volto a mantenere l’ordine stabilito, con il rischio di perpetrare delle strutture ingiuste. Proprio per questo alcuni ritengono che questi passi non abbiamo più senso. Se l’ordine sociale è cambiato Paolo – sostengono questi commentatori – oggi avrebbe detto altre cose. Altri invece ritengono che un simile passo confermi e legittimi un certo ordine e che vada rispettato alla lettera. Cosa imparare dunque da questo passo? Sono convinto che ogni passo della scrittura vada attualizzato e capito in una certa cultura. Al contempo credo che ogni passo della Scrittura abbia principi immutabili che valgono in ogni epoca, e che abbia sempre qualcosa da insegnarci.

  1. L’abolizione delle strutture del v. 11 e il loro mantenimento

Non dobbiamo leggere questo passo dimenticando quanto Paolo ha detto pochi versetti sopra: il v. 11 dice: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.”. E non dimentichiamo neppure quei passi simili come Galati 3,27- 28: “poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. 28 Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. In Cristo è posta un’eguaglianza totale completa tra categorie che ritroviamo anche nelle gerarchie poste nel passo di oggi. È un principio molto forte che riguarda la nostra posizione davanti a Dio, la nostra dignità e il fine a cui tendere.

Tuttavia, c’è una società con le sue consuetudini, e le sue strutture talvolta buone, talvolta malvagie. Paolo segue in questo un principio che ha seguito in molti altri passi: per quanto alcune strutture potrebbero essere anche ingiuste (si pensi alla servitù), non decide di abbatterle a tutti i costi, ma preferisce raccomandare di rispettarle per evitare scandali. In questo senso, la sottomissione delle donne agli uomini, l’obbedienza dei figli, l’obbedienza degli schiavi, erano atteggiamenti ben visti dalla società, molto stimati in quella società patriarcale. Paolo non ritene opportuno andare contro queste strutture, ma preferisce annunciare Cristo, in cui tutte queste distinzioni crollano, per lasciare che col tempo il sistema evolva.

Questa è solo una premessa, ma ci può già far riflettere. In tanti ambiti siamo animati dal desiderio di fare delle giuste guerre per imporre tale o tal altro principio, mentre l’annuncio del vangelo senza guerre ma come cambiamento dei cuori, può cambiare più in profondità il mondo in cui viviamo.

  1. Le varie categorie: delucidare le richieste.

Non credo di sbagliare se dico che questo passo, assieme ad altri è stato usato in molti casi a sproposito, per legittimare degli abusi. Molti mariti lo hanno usato per ridurre le loro mogli al silenzio in nome di Dio, ed imporre la loro volontà. Molti padri autoritari lo hanno usato per reclamare un’obbedienza cieca e assoluta ai loro figli, spesso più per possessione che per amore. Purtroppo questo ed altri passi sono stati usati da molti cristiani che sostenevano che la schiavitù fosse un’istituzione voluta da Dio. Ci sono trattati teologici scritti in America nell’Ottocento che hanno usato questo passo per mostrare che Dio concorda con la schiavitù, non la mette in discussione, e anzi raccomanda obbedienza ai servi. Potremmo sostenere oggi la stessa cosa? Credo sia difficile. Tutti concordiamo sul fatto che la schiavitù è sbagliata e che è giusto che sia stata abolita. Ma se ammettiamo quezsto, dobbiamo ammettere anche che Paolo si rivolgeva ad una cultura che oggi è cambiata, e quindi dobbiamo poter capire i principi, senza però imporre obbedienze che non hanno senso di esistere. Seppure volessimo banalmente trasporre queste affermazioni al rapporto che c’è tra datori di lavoro e dipendenti, non credo che nessuno raccomanderebbe ai dipendenti cristiani un’obbedienza assoluta…

Ma alcune raccomandazioni potrebbero essere riviste in un altro senso: pensiamo a quel che viene detto ai padri: non vi inasprite. Questo sicuramente era un problema in culture in cui il padre era una figura forte, impositiva, che sentiva con forza il dovere di dover trasmettere un’educazione, una saggezza, delle competenze al proprio figlio. Non so se oggi ci sono così tanti padri che si inaspriscono contro i figli. È vero, spesso perdiamo la pazienza, ma se io dovessi raccomandare qualcosa ai padri sarebbe piuttosto quello di essere presenti, di guidare, di giocare anche con i loro figli, di essere presenti e figure di riferimento. Perché mi sembra che questo sia un problema attuale.

Cerchiamo allora, categoria per categoria, di delucidare le raccomandazioni di Paolo.

  • Donne siate sottomesse ai vostri mariti. Il termine nel greco di quel periodo non ha tanto a vedere con l’obbedienza (come per figli e servi), ma con il rispetto di un certo ordine. Lasciate al marito il suo posto di guida che esso aveva nella società patriarcale. Non è un passo rivolto ai mariti per esigere la sottomissione, ma alle mogli, per evitare che sovvertano con prepotenza la struttura patriarcale. Io non penso che questa sottomissione oggi vada rivendicata negli stessi termini, perché la società è evoluta in un senso più biblico che in passato: si sono realizzati in parte i principi secondo cui: Dio “li creò maschio e femmina” nella perfetta eguaglianza (Gn 1:27) o il passo citato di Galati. Sebbene io ritenga che il patriarcato non sia una buona cosa, esattamente come non lo è la schiavitù, credo che le donne possano imparare molto da questo verso. Perché uguaglianza non vuol dire sopraffazione. Parità non vuol dire litigio e imposizione. C’è qui una raccomandazione a non imporsi che ritengo sia ancora valida e credo che la coppia vincente non sia quella in cui la donna tace e il marito comanda, né quella in cui la donna scalpita e il marito sopporta, ma quella in cui entrambi si confrontano senza forzature.
  • Mariti amate le vostre mogli. In Efesini 5 Paolo si dilunga molto sul parallelo tra Cristo e Chiesa / uomo e donna. Anche questo non è un comandamento rivolto alle donne perché si lamentino dei loro mariti che non le amano, ma un comandamento rivolto ai mariti, che se preso con responsabilità permette, anche in una struttura patriarcale, la sottomissione di cui sopra. Quale donna vorrebbe sovvertire l’ordine di una famiglia in cui si sente veramente amata? Del resto il marito ha una domanda quotidiana da porsi: come faccio ad amare mia moglie, a far sì che si senta amata?
  • Figli obbedite ai vostri genitori. Qui andiamo al di là della cultura e ci avviciniamo al 5 comandamento. È interessante notare che Paolo probabilmente parla anche a dei molto giovani ponendo un principio di rispetto e di onore verso coloro che Dio ha usato per dare la vita. Questo principio viene accompagnato da una raccomandazione ai padri (curioso non alle madri!) di non esasperare. Credo che in questa coppia di comandamenti, entrambi abbiano molto da imparare, perché i figli non diventeranno obbedienti grazie all’imposizione e all’imposizione, ma piuttosto grazie all’amore e all’autorevolezza. Il testo dice poco e non voglio fargli dire di più di ciò che dice, ma credo che una reale paternità sappia porsi come riferimento e guida, e che ai figli viene richiesto di riconoscere l’amore dietro lo sforzo educativo e correttivo dei genitori. Lasciamo perdere i casi particolari in cui questi mancano (genitori che abbandonano o abusano), e guardiamo relazioni normali.
  • Cosa salvare di una raccomandazione relativa ad un’istituzione che oggi, grazie a Dio e grazie anche agli sforzi di credenti e non credenti non esiste più in questa forma? I dipendenti anche al tempo non erano tutti dei servitori e qui si tratta proprio di servitori o schiavi. Curioso che in Colossesi, a differenza di Efesini, Paolo dà molto spazio a questa gerarchia, con molti argomenti. In fondo, si tratta forse del rapporto peggiore dei tre che abbiamo visto. Le coppie esistono ancora, come anche il rapporto tra figli e genitori, mentre una relazione che dia pieni poteri ad un essere umano sopra un altro ha qualche cosa di veramente fastidioso, e tale era la schiavitù al tempo di Paolo. Eppure, proprio per questa relazione Paolo spende più parole per i servitori che non per i padroni. Li esorta a agire non per questi padroni, ma per il Signore. Li esorta a compiere il loro lavoro con giustizia, avendo come fine ultimo il servizio di Dio. Doveva essere difficile per questi servitori mettere in pratica queste parole. Per i padroni invece si trattava di un grande sforzo di auto-controllo, avendo fino a quel momento avuto carta bianca nel trattare i loro servitori. Convertirsi significava trattare i propri servitori con giustizia, senza approfittarne.

Oggi la schiavitù non è legale, ma esistono forme di schiavitù. Esiste in molte fabbriche di paesi in via di sviluppo in cui le persone vengono sfruttate come schiavi. Esiste nelle piantagioni di cacao della Costa d’Avorio con veri e propri sistemi di reclutamento e sfruttamento organizzati. Come si sentirebbero dei ragazzini ridotti in schiavitù a sentire questi comandamenti? Sicuramente è importante lottare contro ogni forma di sfruttamento, e molti passi avanti sono stati fatti in questo senso. Ma il principio di agire nella giustizia e come per il Signore è ancora vivo. Ognuno di noi lavora, e sebbene le circostanze siano diverse vediamo tutti ingiustizie e anomalie nel mondo del lavoro che portano a scoraggiarsi. La Parola del Signore ci esorta ad agire come per il Signore, nella giustizia.

3. La sorpresa: tre immagini della relazione uomo Dio.

Osservando le tre categorie di persone a cui Paolo rivolge raccomandazioni, ho trovato curiosa una cosa che inizialmente non avevo notato: tutte e tre le relazioni esaminate sono utilizzate nella Bibbia come immagini della relazione tra uomo e Dio. Il rapporto tra Gesù e la chiesa è rappresentato come la relazione tra una sposa e uno sposo. Il rapporto tra l’uomo e Dio è rappresentato come quello tra un padre e un figlio. Il rapporto tra uomo e singolo credente è rappresentato come un rapporto tra un padrone e degli schiavi, che da schiavi del peccato sono diventati servi di Dio. Credo che in questo stia la vera grandezza del messaggio e la potenza del vangelo. Gesù ci ricorda che ogni relazione umana è contaminata dal peccato e che i rapporti gerarchici che si instaurano tra esseri umani sono precari e potenzialmente frutto di grandi tensioni. Tutte le relazioni presentate in questo testo sono state nel corso della storia e ancora oggi caratterizzate da violenza, scontri, proteste, omicidi, parricidi e femminicidi, rivolte o abusi (si pensi alla tratta degli schiavi). Ci possono essere anche casi di buon funzionamento, ma la dialettica è stata spesso oppositiva. Il testo di oggi ci viene ad annunciare che queste relazioni possono funzionare alla perfezione se ci mettiamo nella posizione della categoria teoricamente debole, quindi “donna”, “figlio”, “schiavo” e prendiamo Dio come parte forte della relazione. Considerare Gesù come lo sposo della chiesa, come un padre che ci ama, e come un padrone che possiede la nostra vita per il nostro bene, ci fa capire che esiste un modo in cui queste relazioni possono realmente funzionare. La gerarchia in cui Dio comanda è una gerarchia gioiosa.

Non solo. Il testo di oggi ci annuncia anche che se Gesù è il nostro sposo, se Dio è il nostro padre ed è anche il nostro Padrone/Maestro, allora possiamo vivere anche quelle relazioni difficoltose come delle relazioni rinnovate, che non necessitano più di un elemento gerarchico per funzionare. Questo è il principio da trarre, che rimane valido sia che consideriamo le relazioni esaminate come istituzioni ormai sorpassate, oppure che le consideriamo tuttora in vigore. Se ci troviamo a vivere una relazione matrimoniale, o di padre/figlio o di dipendente che per qualche motivo vanno male, ricordiamo queste parole importanti: come servendo il Signore. Ci sono limiti oltre i quali non è giusto subire e sappiamo bene che queste relazioni producono spesso sofferenza. Tuttavia troveremo forza in queste parole, se pensiamo che vogliamo agire non per gli uomini, per contrastarli o compiacerli, ma per il Signore.