Nehemia 2. Cosa ricostruiamo?

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Introduzione: tre mesi di preghiera.

Il primo capitolo del libro di Nehemia si conclude con il protagonista raccolto in preghiera che spera di trovare pietà presso «un uomo». Questo capitolo ci fa capire che quest’uomo è il re Artaserse (464-424 a.C.), capo dell’impero persiano. Ed i primi versi del capitolo ci dicono anche che da quando Nehemia ha pregato per avere pietà presso il re, a quando di fatto ha incontrato il re sono passati circa tre mesi, corrispondendo il mese di Nisan ad un periodo compreso tra marzo ed aprile. La scena si cui si apre questo capitolo, quella del dialogo tra Nehemia il re e la regina è stata preparata da un lungo periodo di preghiera. È un incontro importante, un’occasione importante che Nehemia sa di non poter perdere ed è stato preparato da tre mesi di preghiera e digiuno. È un elemento che ricollega fortemente il primo capitolo con il secondo, mostrando come il quello è causa di questo, e di conseguenza rinverdisce quanto detto la scorsa domenica sull’importanza di una preghiera sentita, costante, e aggiungiamo ora duratura. L’incontro tra Nehemia ed il re ci mostra tuttavia come il Signore sappia andare addirittura al di là della preghiera puntuale di un singolo, e come il suo piano sia più vasto e capace di inquadrare ed abbracciare anche la preghiera di questo singolo, permettendone la realizzazione e il successo. La cornice nella quale Nehemia si muove è infatti quella di un popolo esiliato in terra straniera.

1. Nehemia, coppiere del re. Un modello di integrazione culturale (1-10)

Nella lettura dei primi dieci versetti rimango colpito dal rapporto che sussiste tra Nehemia e Artaserse. Nehemia è coppiere, un ruolo di certa importanza che consiste nel servire il vino, bevanda a cui i re persiano erano particolarmente affezionati. C’è chi ha preceduto l’Italia e la Francia nel mondo antico! Diversi elementi mostrano una certa confidenza tra i due uomini: il re si interroga sulla tristezza di Nehemia, atteggiamento sconsigliabile, in quanto era pericoloso contristare un re nell’antichità. La regina è presente, cosa che fa pensare ad una riunione famigliare. Nehemia non nasconde il suo stato d’animo e si sente libero di parlare, cosa non da poco. Ed il re lo ascolto e gli concede diverse cose: non solo il permesso di ricostruire, ma anche dei materiali, una scorta e delle lettere che lo legittimino davanti ai governatori del posto. Potremmo attardarci a ragionare sul fatto che spesso il Signore ci stupisce dandoci di più di quello che chiediamo, ma preferisco porre l’accento su un altro aspetto: Nehemia è uno straniero che in qualche modo ha fatto carriera. È lì per una punizione divina, per un esilio di 70 anni e come ebreo sente nostalgia per la terra dei suoi avi. Nondimeno nel paese in cui si trova è riuscito ad entrare nei gangli dell’amministrazione, ad inserirsi in un posto che gli consentirà di realizzare i suoi progetti ben più facilmente che se fosse stato un semplice contadino o comunque qualcuno di lontano dal re. Ora, la politica persiana consisteva proprio nel ricercare tra le popolazioni conquistate dei giovani brillanti per coinvolgerli nell’amministrazione e non rendersi nemici. Si pensi anche a Daniele a questo proposito. Tuttavia qualcuno avrebbe potuto rifiutarsi di lavorare con i propri deportatori, mantenendo la propria «purezza» intatta. Nehemia invece svolge il suo lavoro, pur mantenendo la sua identità.

Penso che Nehemia costituisca in questo senso un ottimo modello di rapporto tra figli di Dio e mondo/società. Sa bene di avere dei riferimenti diversi da quelli di Artaserse, di appartenere ad un Dio diverso, ma questo non gli impedisce di lavorare presso di lui. Non ha l’ambizione di prendere il posto del re, né quello di cancellare la sua cultura, assimilandosi ai conquistatori babilonesi. Tiene una saggia posizione di mezzo che gli consente di essere pienamente partecipe del mondo del potere, senza esserne parte.

Penso che questo sia un ottimo modello anche per noi, per le chiese, quando ci poniamo il problema del rapporto con la società in cui siamo, con la politica, con il potere. Molte chiese optano per un allontanamento o una fuga dal mondo, stimando che il regno di Dio è altro e che devono tenersi lontani dalla politica, dai poteri forti, per non contaminarsi. Altri invece optano per l’estremo opposto, tentando di conquistare il mondo al vangelo attraverso vie politiche o tentando di influenzare la società in modo nascosto, manovrando le leve del potere. Il modello di Nehemi mi sembra molto diverso: consiste nell’avere il coraggio di sporcarsi le mani, occupando i posti di potere che Dio ha permesso che vengano occupati; tuttavia da questi posti di potere si cerca il bene del popolo di Dio in modo legittimo, e che avrà ricadute sul bene stesso dello stato. Una Gerusalemme distrutta è peggio per l’impero persiano che una Gerusalemme ben funzionante, che contribuisce economicamente all’impero. Ugualmente oggi uno stato che vede numerosi cristiani impegnati nella sua amministrazione, nel suo funzionamento, avrà certamente qualche vantaggio se questi cercano il bene sia del popolo di Dio – magari proponendo leggi sulla libertà religiosa, sui diritti dei più deboli ecc. – che della società in cui sono. Un popolo che accompagna la propria azione con la preghiera e che non ha paura di instaurare rapporti autentici, veri con le persone in autorità, fino a prendere la stessa autorità. In poche parole un popolo di «coppieri» che non vuole comandare, ma servire alla causa comune.

2. Quello che Dio mi aveva messo in cuore di fare (11-18).

Il modo in cui Nehemia procede è estremamente interessante. Ha cominciato con la preghiera e durante la preghiera ha ricevuto delle idee. Questa preghiera non è rimasta un semplice augurio, o una richiesta fatalista consistente nel chiedere a Dio aspettando che egli faccia qualcosa, ma lo ha portato ad agire, a portare avanti un progetto. Prima di cominciare però Nehemia passa un bel po’ di tempo in osservazione. Va in giro di notte da solo e di nascosto ed il progetto che Dio gli ha dato mano a mano prende corpo. Solo dopo questa fase di attenta osservazione Nehemia, che è un ebreo ma è al contempo uno straniero, probabilmente nato fuori da Israele, va a parlare con le persone importanti della città e non fa altro che fa osservare cose evidenti, cioè lo stato di distruzione della città. E questi sorprendentemente lo ascoltano subito e dcidono di cominciare a costruire.

Si potrebbe fondare su questo semplice atto di Nehemia un piccolo trattato di missiologia, ad uso sia dei missionari che vanno in terre straniere, sia di tutti i cristiani che sono chiamati a vivere la propria vita come una missione. Cominciare in preghiera. Sapere osservare la cultura, i problemi reali di un popolo, di una città. A Gerusalemme era lo stato decrepito delle mura e delle case, altrove potranno essere ben diverse piaghe sociali, dalla droga, all’alcoolismo alla prostituzione… Non c’è una ricetta univoca, ma una capacità di osservare cose che tanti non hanno visto. Ciò che più mi sorprende è che i governatori sembrano non essersi resi conto dello stato della città! Cosa aspettavano a ricostruire? Eppure capita spesso che il Signore permetta ad un membro del suo popolo di stare fuori, lontano per un po’ per poi tornare, con uno sguardo diverso che però dà la forza di osservare e di agire. È ciò che è capitato a Giuseppe in Egitto, a Mosè in Madian, a molti di questi esuli, allo stesso Gesù fuori di Galilea. Lo straniero è colui che ha maturato una nuova esperienza e che sa indicare come strano ciò che le persone di un certo luogo ritengono normale, abitudinario. Nehemia denuncia una situazione ovvia, ma che forse nessuno aveva osservato bene. E non appena propone di agire lo ascoltano.

Come cristiani abbiamo il dovere di osservare le città in cui siamo, i popoli in cui Dio ci ha collocati, per poter portare parole di speranza, e di ri-costruzione. L’annuncio del vangelo, la verità che Gesù è morto sulla croce per noi e risuscitato è una verità spesso data per scontata nel nostro mondo, ed in quanto tale è diventata decrepita, inutile come un muro bucato. Ricostruirla significa osservare perché ed in che senso è stata banalizzata e ridicolizzata e ricostruirla per trasmetterla in tutta la sua forza e verità. Con Nehemia vogliamo dire a tante donne e uomini: «Venite, ricostruiamo la nostra umanità, rimettendo Dio al centro ed il nostro Io in coda, sperando che se la nostra analisi è stata attenta ed il nostro annuncio convincente ci rispondano: sbrighiamoci e mettiamoci a costruire!

3. Il male inevitabile

Nella lettura di questo capitolo ho volutamente omesso il v. 10 ed il v. 19, che riguardano alcuni personaggi che si oppongono al progetto di ricostruzione di Nehemia. Al loro non piace che venga ridato slancio a Gerusalemme, forse perché temono che diventi troppo potente, forse perché vedono minacciate le loro posizioni di governatori, o ancora perché erano stati esclusi dalla costruzione dal Esdra, che aveva precedentemente ricominciato a costruire. La presenza di questi personaggi ci mette davanti ad una verità tanto banale quanto importante: quando qualcuno ha in cuore qualcosa che sente venire da Dio, quando un progetto è finalizzato non all’edificazione del proprio egoismo, ma a delle mura di protezione di un popolo per il suo bene, siano esse intese in senso materiale o spirituale, inevitabilmente c’è qualche potere che è disturbato e che rema contro. Questi governatori cercheranno di intralciare il lavoro di Nehemia che davanti alla loro arroganza non si scoraggia. Ci viene raccontato della loro esistenza per dirci che non deve essere una sorpresa che qualcuno voglia contrastare i piani di Dio. La verità sull’uomo scoccia. L’avanzare del regno di Dio scuote poteri forti che non vorranno levarsi di torno. Non è mai facile né banale costruire qualcosa di vero e solido. Non stupiamoci quando incontreremo dei Samballat, dei Tobia, dei Gheshem. Non stupiamoci ma viviamo con due forme di consapevolezza: se veramente il nostro progetto viene da Dio, faremo nostre le parole di Nehemia che dice: «Il Dio del cielo ci farà ottenere successo». Vale quasi a dire: vi ignoriamo completamente. Ed in effetti, come si vedrà avanti, la loro opposizione non riesce. È il Dio del cielo che dà successo ai nostri progetti, e se vengono da lui non ci sarà oppositore capace di fermarli.

Rispetto a questo c’è un fatto divertente: proprio queste persone a distanza di millenni, sono diventate elementi che danno credibilità al testo biblico, e che ne aiutano la datazione. Sono nomi di governatori presenti in fonti extra-bibliche, cosa che comprova la storicità e veridicità del libro di Nehemia. A distanza di 2500 anni è veramente divertente pensare che proprio coloro che volevano ostacolare il piano di Dio, sono diventati coloro che aumentano il valore dei documenti che parlano delle opere di Dio!

Conclusione: «La benefica mano del mio Dio era su di me»

Due volte Nehemia pronuncia questa frase: «La benefica mano del mio Dio era su di me»! Quando riceve le lettere e quando convince gli anziani. Ebbene, è proprio questa la frase con cui vorrei che ci lasciassimo, e che costituisce il cuore della forza di Nehemia. Tutto è partito da questa consapevolezza, e tutto poggia su questa certezza. Mi capita spesso di sentire qualcosa di simile. Ci sono progetti che intraprendiamo come chiesa o come singoli che svaniscono nel nulla o non portano frutto, ed altri in cui invece sentiamo proprio la mano di Dio che ci accompagna. Che il Signore nella preghiera ci abitui al discernimento e ad avvertire la su benefica mano su di noi per realizzare i suoi progetti.