Matteo 5, 9. Gli operatori di pace

Beati gli operatori di pace, perché essi saranno chiamati i figli di Dio

Probabilmente leggendo una simile affermazione molti di noi sarebbero portati a credere che mai come in questo momento storico avremmo bisogno di veri operatori di pace. Siamo in qualche modo implicati in una guerra di cui si parla quotidianamente, ci poniamo di continuo il problema della possibilità di una guerra giusta, e riflettiamo in base alle informazioni di cui disponiamo, se sia giusto continuare, fermarsi, trattare. Proprio per questo vorremmo vedere qualcuno, qualche organismo, organizzazione internazionale, uomo politico che sappia essere operatore di pace.
Credo sia giusto auspicare la presenza di una figura capace di spingere verso la pace, ma credo al contempo che questa non sia un’esigenza del momento. Il problema della pace è profondo, universale e esiste da quando esiste il mondo. Questa guerra non è la prima, non sarà l’ultima e, come ha detto Gesù, non dovrebbe stupirci – purtroppo. (Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, infatti bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine. Mt 24:6)
Gli operatori di pace sono quindi necessari ed indispensabili sempre, non solo ora, e questa beatitudine non riguarda solo i credenti che per qualche motivo vivono in un periodo di guerra, ma tutti i credenti in ogni tempo. Come abbiamo già detto più volte le beatitudini non sono indicazioni etiche per un mondo migliore da applicare su scala nazionale, ma le caratteristiche che chi ha abbracciato il vangelo deve avere.

  1. La pace, un rovesciamento.
    Per quanto nell’Antico Testamento ci siano numerose occorrenze del termine pace, e perfino in un contesto di guerra Israele viene invitato ad offrire prima la pace (Deuto 20:10-11), le guerre non mancano. Ricordo di quando una sera uno dei miei figli mentre leggevo loro l’AT mi disse: papà, ma non c’è un passo pacifico che non parli di guerra nella Bibbia? Dio ha accettato di adattarsi al linguaggio umano fino al punto di entrare nelle dinamiche della guerra, e degli scontri per isolare un popolo testimone del suo nome. Certo, si è trattato di una fase transitoria che sparisce con l’affermarsi del regno di Dio, tuttavia è normale che per un uomo del tempo di Gesù, nutrito delle gesta degli eroi guerrieri dell’AT, il concetto di pace, inteso come assenza di guerra tra popoli, sia un concetto un po’ strano. Sappiamo bene che molti israeliti si aspettavano dal messia un capo militare che sarebbe venuto a liberare Israele dall’oppressore romano e che molti valutavano l’opzione di una ribellione armata. Gesù parla di chi fa, costruisce, si adopera per la pace come di un beato, e fa quindi un’affermazione profondamente rivoluzionaria che avrebbe scioccato molti dei suoi concittadini. Forse un ucraino di oggi che si sente invaso sarebbe ugualmente scioccato nel sentire parlare di pace. Ma Gesù sta presentando un’idea profondamente nuova ieri come anche oggi: la vittoria non è nella maggior forza militare o fisica, ma la vittoria è nella costruzione della pace. Il modello da lui offerto non è quello di un “uomo forte” che uccide i suoi avversari, ma quello di un uomo debole che muore sulla croce e si lascia uccidere. Questo non implica che una nazione o il suo presidente debbano aprire le porte ai nemici lasciano che uccidano i deboli dello stato, ma è un primo elemento di riflessione.
    Riflettiamo su quanto sia difficile per noi fuoriuscire dalla logica della sopraffazione e della forza. È la logica più immediata, più naturale che utilizziamo in molti contesti, dall’educazione, alla politica e purtroppo a volte anche nella famiglia o nella chiesa. C’è chi è forte e punta i piedi per ottenere. Gesù ci chiede di rovesciare il nostro modello: non si ottiene con la violenza, ma con la costruzione della pace. Bisogna però vedere cosa significa.
  2. Cosa non è e cosa non è la pace.
    La pace può avere un senso politico, ed è sicuramente una buona cosa. La guerra presente ci sciocca perché almeno in Europa da circa 70 anni non abbiamo visto guerre e ci eravamo abituati all’idea che avremmo potuto vivere nella pace perenne. Chiaro però che questo stato di cose non rappresenta la pace assoluta. All’interno di questo quadro pacifico non sono mancati numerosi atti di violenza, di sopraffazione, di guerriglie intestine, che ci hanno fatto capire che l’assenza di guerra globale non è pace. Non è pace neppure l’assenza di conflitti tra le persone, magari nell’indifferenza: a me mi sconvolge che spesso i miei figli se non litigano tra di loro è perché sono narcotizzati da un telefonino o da un televisore. Certo, li fa stare in pace da addormentamento, ma non in una reale pace tra loro. Non è pace neppure il fatto di accettare di essere soggiogati passivamente da una persona o uno stato che si vuole imporre con la forza. La sottomissione paurosa, non è pace, anzi. È paura.
    Possiamo allora cercare di distaccarci dal concetto politico di pace, non tanto perché non sia importante, ma perché difficilmente riguarda noi e le nostre azioni quotidiane. Non saremo noi ad andare da Putin o da Macron o dalla Merkel a suggerire una soluzione efficace per uscire dalla guerra. Al massimo potremo scegliere chi votare, ma non abbiamo grosse capacità di influenzare i processi di pace tra nazioni che si fanno la guerra.
    Come facciamo allora ad essere operatori di pace?
    Senza dilungarci troppo possiamo dire semplicemente che è importante ricordare quali sono le radici del problema. Lla radice dell’assenza di pace, e quindi la necessità di un costruttore di pace è un problema antico, universale e profondo. La pace non c’è perché abbiamo egoisticamente scelto di vivere in autonomia rispetto a Dio. Abbiamo cioè scelto il peccato che ha devastato interiormente ogni uomo rovinandolo dentro. Abbiamo scelto qualcosa di più grande di noi, che ci ha resi schiavi impossibilitandoci di essere quello che vorremmo, e di costruire un mondo di pace. In parole più semplici abbiamo scelto di fare i nostri comodi, di mettere per prima il nostro interesse, di non preoccuparci troppo delle conseguenze dei nostri comportamenti, e la conseguenza è che abbiamo rovinato l’umanità: infatti le guerre continuano e non smettono…
  3. Che presupposti ha l’essere operatore di pace?
    Esiste un concetto che per noi occidentali è fondamentale: i diritti. Quando studiamo la Rivoluzione Francese impariamo l’importanza della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che è un bellissimo documento su cui vengono affermati una serie di diritti fondamentali dell’individuo. Purtroppo l’affermazione di questi diritti è poi finita in un bagno di sangue, e il consolato di Napoleone ha finito per annullare alcuni diritti conquistati. Non è affatto facile trovare un equilibrio tra rivendicazione dei diritti e pace, e quando si parla di diritti in generale dell’uomo possiamo dire che c’è un lungo cammino da fare.
    Il problema però che l’affermazione forte dei diritti dell’individuo pone è che ognuno di noi piano piano rischia di trasformarsi in un essere che pretende solo diritti e scorda dei doveri, oppure in un essere che pur di difendere i suoi diritti è pronto a calpestare quelli degli altri… Ci muoviamo su un terreno scivoloso e difficile: sminuire i diritti dell’individuo è pericoloso e presta il fianco a delle prevaricazioni. Ma anche l’affermazione sistematica dei soli diritti, spesso rinforza un egoismo che è un vero e proprio ostacolo alla pace. Perché se vogliamo essere operatori di pace dobbiamo partire da un punto completamente diverso: dobbiamo capire che il nostro egoismo rovina la pace e che il primo passo che dobbiamo fare è riconciliarci con Dio.
    Due passi ci aiutano:
    “Da dove vengono le guerre e le contese tra di voi? Non derivano forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra?” Giacomo 4:6
     Or il Dio della pace che in virtù del sangue del patto eterno ha tratto dai morti il grande pastore delle pecore, il nostro Signore Gesù, 21 vi renda perfetti in ogni bene, affinché facciate la sua volontà, e operi in voi ciò che è gradito davanti a lui, per mezzo di Gesù Cristo;  Ebrei 13,20-21

Giacomo ci ricorda che il problema nasce da noi e dalla malvagità dei nostri cuori. Ci fa capire che probabilmente se fossi stati in Russia non è escluso che avremmo abbracciato la guerra da parte russa. E stando in Europa invece sposiamo la causa europea. Ma c’è nel cuore una malvagità che spiega il problema della guerra nell’animo umano alla radice, come condizione intrinseca.
L’autore della lettera agli Ebrei ci dice invece che la condizione di pace dipende da Dio e che è il frutto di un patto eterno. Un patto però che ha visto versare il sangue di una vittima innocente, senza cui non c’è pace. È grazie a quel patto eterno, siglato con il sangue di Gesù che ha pagato il prezzo dei nostri peccati, che possiamo avere pace con Dio.

  1. Essere operatori di pace
    Se però abbiamo trovato pace con Dio a questo punto abbiamo un dovere morale di lavorare sulla pace con gli altri. Abbiamo un dovere morale di costruire la pace nella nostra rete di relazioni nella varie sfere in cui siamo implicati: da me stesso con Dio, alla mia famiglia, alla cerchia dei miei amici, al luogo di lavoro, al condominio, al quartiere. Il mio punto di partenza sarà la consapevolezza di aver vinto in me una guerra contro il mio IO. E nella pratica cercherò di avere continuamente presenti in mente quei passi che mi ricordano come: “Sappiate questo, fratelli miei carissimi: che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira; (Gc 1:19). Imparare a reagire agli attacchi di ira recitando questo verso, può fare miracoli. Da qui dobbiamo procedere a diffondere la pace intorno a noi, cercando di ridurre i conflitti, di appianare le liti. Non sarà sempre possibile e non significherà mai banalizzare il male o sminuirne la gravità. Sarà un tratto distintivo di chi si ritiene figlio di Dio.