Luca 14, 1-24 Si mangia! Ma quando, come e con chi?

Gli episodi che parlano di un pranzo, di una cena o comunque di un momento conviviale nei vangeli sono numerosi. Il passo che meditiamo oggi si svolge interamente all’interno di una casa e nel tempo di una cena, ed avviene nel giorno di sabato. E’ verosimile che si sia trattato di un pasto che seguiva il culto alla sinagoga offerto da un personaggio importante della comunità. Gesù probabilmente è stato da questo fariseo invitato, ma con un invito pretestuoso che ha in verità lo scopo di mettere Gesù alla prova. Gesù accetta questo invito e coglie occasione per impartire insegnamenti che credo di poter riassumere con tre parole: DISCERNIMENTO, UMILTA’. AMORE.

  1. Quando mangiare? La legge ed il suo discernimento.

L’invito di Gesù è pretestuoso e probabilmente lo è anche la presenza di questo malato di un qualche tipo di ritenzione idrica. Di lui infatti non si dice niente e Gesù lo congeda senza neppure parlargli di fede. La sua malattia è stata strumentalizzata dai farisei per porre il problema del sabato, che per la quarta e ultima volta viene posto nel vangelo di Luca. Non c’è alcun dialogo ma solo una domanda da parte di Gesù a cui i farisei non possono rispondere, perché si rendono conto di avere torto. Questo passo non ci parla tanto di una guarigione, quanto piuttosto di un problema di interpretazione della Scrittura. Sia Gesù che i farisei condividono lo stesso amore per la Scrittura, la hanno letta e ne fanno una norma di vita. Il problema è che ogni norma può diventare un idolo ed una regola sterile, utile a far sentire a posto con se stessi e con Dio che la segue, ma in fondo priva di senso ed il sabato è diventato tale per i farisei.

Per capire bene il passo non bisogna banalizzare l’importanza del sabato perché l’Antico Testamento – che il testo a cui sia Gesù che i farisei si riferivano – contiene numerosi insegnamenti sul sabato, anche molto severi: chi viola il sabato è punito con la morte (Esodo 31, 14-15; 35, 2-3; Num 15,32), ed i profeti come Isaia, Geremia, Ezechiele, Amos, Nehemia, prima durante e dopo l’esilio ricordano al popolo l’importanza del sabato. Del resto il testo di Genesi che lo istituisce (Gn 2,3) è un meraviglioso incoraggiamento al riposo sul modello di quello divino. In cosa consiste allora l’errore dei farisei? E’ una risposta che commentando i precedenti episodi che riguardavano il sabato abbiamo già dato: ignoranza, interesse, legalismo… Oggi vorrei insistere sul problema dell’interpretazione: sbagliano perché fanno dire troppo a quei testi della Scrittura che insistono sul “nessun lavoro”. Quando si è molto scrupolosi nello studio della legge si rischia di esagerare e temo che per quanto partendo da un sincero amore per la scrittura i farisei abbiano esagerato considerando come lavori attività che non lo sono.

Cosa fare di questo passo oggi? Non penso che il sabato sia un nostro vero problema e benché alcune chiese insistano sull’importanza del sabato in modo talvolta esagerato (tornando ad essere vagamente farisei) si può anche dire che lo fanno in contrasto ad un mondo che non rispetta più alcun tempo di riposo e che vive nella frenesia di un accumulo continuo. Penso tuttavia che il passo sia utile per noi per vari aspetti.

Primo: la risposta di Gesù apparentemente non è un dibattito sull’interpretazione dei passi dell’Antico Testamento, anche se in verità, in modo indiretto, Gesù fornisce un’interpretazione molto chiara e comprensibile da tutti del significato del termine lavoro: “Chi non salva suo figlio o anche un animale di sabato?”. Non è lavoro ciò che viene fatto per salvare! E’ atto di amore, è il fare del bene, che mai è vietato e lo dovremmo estendere ad altre questioni etiche che oggi ci poniamo

Secondo: dobbiamo capire che fare del bene nel giorno di sabato non solo si può ma si deve! La nostra domenica rischia di diventare un giorno di riposo banale, fiacco, che non tiene minimamente conto dell’idea del fare del bene! Viverla secondo il comandamento di Dio può voler dire invitare gente nella propria casa anche di domenica (e questo comporta un gran lavoro), adoperarsi per la salvezza anche di domenica, che è il giorno in cui si invitano le persone a entrare nel riposo di Dio. Significa fare il contrario di questo fariseo che invita Gesù per metterlo alla prova. Quando mangiare? Anche e soprattutto di domenica, facendo il più possibile banchetti in cui c’è amore che anticipa il banchetto finale delle nozze dell’agnello.

  1. Come stare a tavola: il galateo di Gesù

Mi è capitato una volta di essere stato invitato al tavolo degli sposi per un matrimonio, ma è stata un’esperienza tragica perché ero costretto a stare seduto accanto a due persone che non avevano nessuna voglia di parlare e che facevano discorsi noiosissimi, quindi da quel giorno per me mettermi più lontano possibile dal tavolo degli sposi è diventato un istinto… Certo, la tentazione di prendere i primi posti se non nelle feste di nozze, nelle riunioni in cui c’è da dare un’opinione, o contesti simili, rimane. Ma la frase finale ci svela il senso escatologico di quest’affermazione. Probabilmente dietro queste parole c’è molto più che un semplice galateo, trattandosi di una “parabola” (v.7). I farisei non hanno semplicemente il vizio di farsi notare in chiesa o nelle feste di nozze, ma hanno una fiducia tronfia nei propri meriti e del posto che avranno davanti a Dio. Questo semplice passo ci invita ad una grande umiltà spirituale davanti a Dio che deve portarci a dire che mai, potremmo pensare di vantare qualche merito davanti a Dio, mai dobbiamo pensare di aver guadagnato il primo posto. Nel mondo in cui abbiamo il mito del “farsi da solo”, del trovare “dieci chiavi per il successo”, e in cui si internet abbondano metodologie per gonfiare il nostro io, questo passo ci invita piuttosto a riconoscere la nostra debolezza, la nostra pochezza, la nostra insufficienza davanti a Dio. Non si tratta di essere falsamente modesti, ma di avere uno sguardo realistico su noi stessi. Di cosa ci vogliamo vantare?

Al contempo il passo ci ricorda che chi prende l’iniziativa di darci un posto di cui non siamo degni è Dio stesso. Possiamo allora confidare che mettersi nelle mani di Dio significa aspettare con pazienza che il padrone di casa di dica: “Amico, vieni più avanti!”. Riprendendo le domande iniziali potremmo chiederci: come si mangia alla tavola di Gesù, con quale contegno? La risposta è che si mangia con un’attesa fiduciosa che ci verrà portato del cibo e che avremo un posto di onore se accettiamo che non ce lo conquistiamo con i nostri sforzi ma che è un dono di Dio.

  1. Con chi si mangia?

Vi è mai capitato di andar al ristorante con dei colleghi? Dico colleghi perché non con tutti andiamo d’accordo ed io nelle cene di lavoro scelgo sempre di sedermi accanto a chi mi sta più simpatico. Ugualmente quando invitiamo a casa nostra difficilmente facciamo quello che consigliato Gesù a questo fariseo, cioè di invitare delle persone che non possono contraccambiare, e che inoltre sono malate, bisognose, scomode. Prima di prendere esempio da questa esortazione vorrei commentare la parabola, che Gesù dà in risposta ad un tale che dice: “Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!”

Quel tale probabilmente è convito di entrare nel regno di Dio, e si vede già a tavola con i salvati alla fine dei tempi. Gesù gli dà un avvertimento brutale: tu ed i tuoi amici farisei siete quei chiamati che hanno detto di no all’invito, pertanto non sarete a tavola, ed il vostro posto verrà dato ad altri. A chi verrà dato? A coloro che secondo la vostra mentalità sono degli storpi, dei ciechi e dei disgraziati, in poche parole degli esclusi. Prima che un consiglio su chi invitare questa parabola è un avvertimento sull’orgoglio di chi pensa di avere dei meriti, ma in realtà non riconosce la parola di Dio che a più riprese lo invita a ravvedersi. C’è allora un grande avvertimento rivolto a chi ascolta ma non ha ancora preso una posizione rispetto a Dio: attenzione a non trovare scuse, perché gli inviti non si ripeteranno all’infinito e prima o poi verranno rivolti ad altri…

Se però ci sentiamo degli storpi, dei poveri, dei ciechi e degli zoppi nello spirito allora siamo invitati ad andare al banchetto del Signore.

Torniamo adesso a ciò che Gesù dice al fariseo: gli chiede qualcosa di innaturale: invitare a mangiare non i vicini, ma coloro che per ragioni svariate sono lontani, esclusi emarginati. Conosco personalmente pochi credenti che siano usciti per strada ad invitare i primi incontrati, e credo che chi ha capito veramente di essere stato un escluso invitato da Dio, avrà l’amore capace di vincere quell’istinto di clan che ci porta ad invitare solo coloro che fanno parte del nostro gruppo. Penso però che questo non si debba limitare a poveri, storpi e ciechi… Ci sono tra le nostre conoscenze tanti antipatici, tante persone sgradevoli, avverse. Sono ciò che noi siamo stati nei confronti di Gesù quando non era il nostro Signore. Riusciamo ad invitare loro come lui ha invitato noi?

Che Dio benedica i pranzi della nostra settimana!