Il ritorno

Per molti la fede cristiana è un bel sistema di valori, una serie di principi etici da seguire e promulgare. Senza dubbio la fede cristiana è anche questo, ma in primis la fede cristiana, per definizione è altro: è fede in un uomo che si chiama Gesù e che è stato messia. Questo significa che prima ancora dei principi etici che questo uomo ha insegnato, c’è una verità storica a suo riguardo. Ci sono dei fatti in cui si crede, ed il sistema di valori che segue ha valore se si prendono sul serio questi fatti storici. È su questi che si costruisce un rapporto con Gesù e credendo in questi che si recepisce quello che Dio vuole trasmetterci attraverso Gesù.

Quali sono questi fatti? Primo fra tutto il fatto che Gesù, Dio stesso, si sia fatto uomo ed abbia vissuto per un certo tempo ben preciso in mezzo agli uomini. In secondo luogo che sia morto per noi, dando la sua vita come riscatto, ed in terzo luogo il fatto che sia risorto dalla morte, come il passo che oggi leggiamo ci ricorda. Ed infine c’è un fatto non ancora storico, ma che viene annunciato da Gesù come tale, cioè la promessa del suo ritorno. L’idea di una fine del mondo, di un punto di arrivo verso cui l’era presente tende non è inserita in una cornice mitica o surreale: è ciò a cui gli eventi storici portano e che si realizzerà in questo mondo. Vero è che sia Paolo che i cristiani che vivevano al suo tempo erano piuttosto convinti che questa venuta sarebbe stata imminente. Avremo modo di vedere se si siano sbagliati o meno, e sul motivo per cui i tempi dell’attesa si siano tanto dilatati. Rimane il fatto che la promessa di un ritorno è un fatto importante e costitutivo della fede cristiana.

Lettura del passo.1 Tessalonicesi 4,13-5,11

Cerchiamo di fare chiarezza sugli elementi presentati da Paolo ai tessalonicesi. La sua prima preoccupazione è quella di fare chiarezza su chi è morto : chi ha perso dei cari vuole sapere che fine abbiano fatto e probabilmente si affligge, perché convinto dell’importanza della parousia (apparizione di Cristo), teme che i morti non possano prendervi parte. Detto ciò vediamo alcuni elementi che chiaramente emergono da questo passo:

1. Tutti i morti in Cristo (v.16) verranno risuscitati come Cristo è risuscitato. Saranno raccolti da Gesù ed uniti a Dio. (vv.13-14)

2. Chi non ha assistito alla parousia non è da meno di chi è ancora vivo, punto più importante.

3. Tutto ciò che accade è molto semplice, ed è basato sulla parola del Signore, probabilmente su Matteo 24,31. Il signore scende dal cielo, al suono della tromba risorgono i morti in Cristo e poi i vivi. Questi poi incontrano il Signore «nell’aria» spazio delle potenze spirituali in aggiunta ci sono le nuvole, che spesso rappresentano la presenza di Dio. Da quel momento chi ha creduto in Cristo regna per sempre con il Signore. (15-17)

4. C’è una esplicita volontà di non dire quando! Si sottolinea però il carattere improvviso ed imminente di questa parousia.

Conseguenze.
Fin qui i fatti. Il modo di annunciarli e di presentarli ha delle chiare implicazioni che non valgono soltanto per quelli che stanno in ansia per chi è già morto, ma che continuano a valere per tutti coloro che hanno fede in Cristo.

1. La morte è vinta! Messaggio di vita e di risurrezione finale. Il cristianesimo è in primis una fede di vita, per la vita che dà la vera vita, cioè quella eterna. Senza questa prospettiva eterna, duratura, infinita, niente ha senso perché svanisce nel nulla dello scorrere del tempo. Finiscono i valori, le virtù, e crolla tutto il sistema di insegnamenti che Gesù ha trasmetto nel suo tempo di vita terreno. È un messaggio travolgente vero ieri come oggi, ed estremamente attuale. Che senso ha la vita? La vita ha un grande senso perché dura, e come può durare nella sofferenza e nel permanere sotto l’ira di Dio, può durare nella sua grazia e nella gioia di appartenergli. Questo è il grande messaggio, su cui il cristianesimo poggia, che altrove (1 Cor 15) ha fatto dire ha Paolo: se la resurrezione non c’è abbiamo creduto invano.

2. La durata non è un problema. Forse noi non ci poniamo come i tessalonicesi il problema di cosa succede ai morti. Magari ci poniamo di più il problema del perché questo ritorno tardi tanto a venire. Credo che questo passo ci insegni che se anche il mondo continuasse ancora 10.000 anni questo non sarebbe un problema, e la promessa rimarrebbe valida. Perché Dio ritarda tanto? Possiamo intravedere nella sua pazienza, nel suo amore, nel suo voler aspettare che sempre più persone ci convertano, uno dei motivi. Ma significherebbe indagare nell’infinita e misteriosa saggezza di Dio. Se non c’è problema per chi è già morto, non ce n’è neppure per chi non esiste ancora e per chi vivrà fra molti anni. Un po’ come un vulcano che potrebbe esplodere e non esplode, il ritorno è un qualcosa che rimane continuamente possibile ed imminente anche se viene ritardato.

3.4. Sobrietà dei fatti. I fatti descritti qui da Paolo sono veramente molto pochi ed essenziali, per altro ben armonizzabili con quelli che troviamo nel vangelo, fatta eccezione per l’elemento del giudizio. Più difficile (ma non certo impossibile) armonizzare con i dati dell’apocalisse, ma credo sia fondamentale per interpretare bene partire dai dati non simbolici e chiari, come questi, per poi passare a quelli simbolici e rientranti in un genere letterario che ha i suoi criteri e le sue convenzioni come l’Apocalisse. La sobrietà di Paolo sui modi e sui tempi di questo ritorno dovrebbe allertare quei credenti che passano il tempo a speculare sul futuro, a cercare nella Bibbia come in una sfera di cristallo chissà quali avvenimenti, e chi costruisce degli scenari fatti di millenni, regni di Cristo letteralmente interpretati, battaglie ed altro, a scapito dei pochi dati che sia Gesù che Paolo ci pongono, diffidandoci dal voler essere troppo precisi rispetto a quello che accadrà.

5. Vigilare 5:1-8 Molto forte è invece l’insistenza sul vegliare, lo stare attenti, pronti. Luce, giorno e ed essere svegli dominano le parole dell’apostolo. Questo significa capire che prevenire è meglio che curare. Che non si può vivere rimandando, ma che bisogna vivere pensando che questo giorno potrebbe essere l’ultimo. E non sarebbe un male. Tanti anni fa introdussi un culto in una chiesa di Lione chiedendo a tutti cosa avrebbero fatto avessero saputo che il Signore Gesù fosse tornato l’indomani. Tra i vari che risposero fu esemplare un vecchio signore, molto sereno e fedele, che disse: «Non farei assolutamente niente! Sarei tranquillo e sereno, perché so in chi ho creduto, ed ho seguito quel che mi ha chiesto». Il ritorno del Signore per chi crede non è uno spauracchio, ma è la condizione continua, che dovrebbe vivere ogni credente consapevole che Dio è comunque e sempre presente! Poco importa se torna fisicamente o meno, è già qui! Se sentiamo che la nostra vita deve cambiare, allora non stiamo ad aspettare! Se non abbiamo ancora preso sul serio il messaggio di Gesù, la sua chiamata dall’alto che ci chiama a ravvederci ed ad incontrarlo, non aspettiamo domani! Se abbiamo zone d’ombra nella nostra vita non aspettiamo ad illuminarle. Il Signore è in tutti sensi vicino. Ora non è troppo tardi, domani potrebbe esserlo.

6. Esercitare le tre grandi colonne della fede cristiane che Paolo ripete per la terza volta: fede, speranza, amore.

Paolo ha già parlato in questa lettera di queste grandi componenti della fede: fede, speranza, amore. All’inizio ha parlato di fatiche dell’amore, impegno della fede, costanza della speranza. Qui alla fine le riprende e parla delle stesse come protezioni: corazza ed elmo, e vi aggiunge la salvezza. Il cammino della fede, in questa attesa è lungo e snervante, e chiunque crede ha bisogno di protezione. L’amore vero è fatica, la fede è un impegno la speranza è costante. All’inizio Paolo ha considerato la parte attiva che ogni credente ha nel vivere questi atteggiamenti di vita cristiana. Ora le presenta dal punto di vista dei risultati: se amore, fede e speranza sono state vere ed esercitate con autenticità, sono diventate protezione: protezione dall’odio che rischia di fiancheggiare la giusta indignazione, dallo scoraggiamento che accompagna la speranza, dal fanatismo che spia la fede… Queste tre cose che valgono comunque e sempre, in questa attesa sono il pane quotidiano, il carburante, ciò che alimenta e protegge.

7. Esercitare l’esortazione fraterna ribadendo la verità espressa nei vv. 9-10, Cristo ci ha salvati.

Per Paolo questa attesa è tutto fuorché un esercizio di individualismo da consumarsi nella solitudine. A due riprese Paolo spinge i tessalonicesi ad esortarsi a vicenda (vv. 4,18, e 5,11), entrambi versi che concludono una sezione. Se la vita di fede è un’attesa di un evento conclusivo della storia che cambierà definitivamente il modo, questa attesa si fa tutti insieme sia per dare che per ricevere. Chissà se ci viene mai fatto di ricordarci a vicenda che Cristo può tornare domani… Eppure è uno slogan molto frequente della chiesa primitiva: Maranatha! Oggi ci siamo talmente abituati ad aspettare e a spiegare perché il ritorno è tardato che non diciamo più maranatha… Allora vogliamo dirlo a conclusione: Maranatha Signore! Siamo pronti. E se non ci sentiamo tali, sovvieni alla nostra poca fede. AMEN