Diversi tipi di ultimi – Matteo 21: 1 – 16

Matteo 20 – Diversi tipi di ultimi


1 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa, il quale uscì di mattino presto per assumere dei lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con i lavoratori per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito di nuovo verso l’ora terza, ne vide altri che se ne stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: “Andate anche voi nella vigna e vi darò quello che è giusto”. Ed essi andarono. 5 Poi, uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso. 6 Uscito verso l’undicesima, ne trovò degli altri che se ne stavano là e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?” 7 Essi gli dissero: “Perché nessuno ci ha assunti”. Egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8 Fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9 Allora vennero quelli dell’undicesima ora e ricevettero un denaro ciascuno. 10 Venuti i primi, pensavano di ricevere di più; ma ebbero anch’essi un denaro per ciascuno. 11 Perciò, nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa dicendo: 12 “Questi ultimi hanno fatto un’ora sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo”. 13 Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. 15 Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?” 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi».

Questa parabola viene conclusa da una frase che Gesù ha già detto poche righe sopra: “Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi». Già detta in 19:30. Per capire questa parabola bisogna pensare a qualche esempio concreto. Troppo facilmente gli operai che reclamano di più ci sembrano arroganti. In realtà il principio che esprime Gesù è veramente strano, contrario a ogni logica umana, inapplicabile nella maggior parte delle sfere della vita – eppure è parola di Dio e ci insegna molto su chi è Dio e su chi siamo noi.

Io lavoro nella scuola. Molti docenti, tra cui il sottoscritto, si arrabbiano perché c’è un trattamento completamente diverso tra diverse categorie di docenti: alcuni hanno l’obbligo di correggere compiti scritti altri no… lo stipendio è però uguale. Alcuni hanno lezioni che richiedono lunghe ore di preparazione, altri ripetono per anni la stessa zuppa e non studiano. Lo stipendio è uguale. Alcuni hanno cattedre che richiedono la conoscenza accurata di 5 materie, per cui hanno fatto un concorso molto selettivo. Altri insegnano materie che non prevedono voti e non sono ostative alla promozione, come la religione cattolica, ma lo stipendio è lo stesso… è una situazione che indigna chi lavora e fa vergogna al modo in cui è organizzata la scuola e il fatto che effettivamente ci sono persone che lavorano solo 18 ore (e c’è perché l’ho vista) e altri che ne lavorano 40 mi fa arrabbiare.

Ho parlato di scuola perché è un ambito in cui sono competente, ma so che in molti altri settori le cose sono uguali: si pensi alle serie infinite di scioperi fatti in Francia lo scorso anno per protestare contro la riorganizzazione di diversi regimi di pensione: alcuni sostenendo di aver fatto lavoro usuranti reclamavano una pensione molto presto; ma altri ribattevano che il criterio per cui un lavoro è usurante non è sempre facile da definire. In poche parole l’idea di unificare tutto, in meno regimi non piaceva a nessuno.

Non possono non partire dal lavoro visto che Gesù, pur avendo probabilmente di mira una realtà più alta è partito da qui. Ma se Gesù è partito da qui è perché sta dicendo qualcosa di realmente paradossale, cioè di contrario all’opinione comune, di avverso. È una provocazione. La parabola non chiede di essere analizzata nei minimi particolari ma ci mette davanti ad una verità centrale: Dio è buono. Laddove gli uomini rivendicano dei meriti, delle fatiche per cui vorrebbero dei premi e delle ricompense, Gesù ricorda loro che l’unico criterio che funziona davanti a Dio è quello della sua bontà. La frase gli ultimi saranno i primi era già stata pronunciata da Gesù per spiegare che il giovane ricco non poteva “fare” niente per ereditare la vita eterna, se non interrogarsi su ciò che è buono, cioè su Dio. Ricordava anche a Pietro che seguire chi ha lasciato tutto per lui riceverà la vita eterna e molto di più ciò che aveva prima, ma molti primi saranno ultimi e viceversa. Ma lasciare tutto significa abbandonare i propri sforzi e lasciare che Dio operi. Chi entra in questa idea, non fa paragoni tra chi si sforza di più e chi di meno nel regno di Dio, perché sa bene che niente dipende dagli sforzi umani e tutto sta nella bontà di Dio. Questa parabola dunque ci parla di ultimi e che saranno primi, partendo dal criterio della bontà di Dio.

È Dio che decide chi è ultimo e chi è primo ed in base alla sua bontà rende primo chi si considera un ultimo e non ha pretese.

Ma il messaggio non si ferma alla parabola. Credo che i tre episodi che seguono questo possano proprio essere letti alla luce del paradosso: in che modo gli ultimi saranno i primi?

1. Quando l’ultimo è il figlio di Dio.
17 Poi Gesù, mentre saliva verso Gerusalemme, prese da parte i dodici; e strada facendo, disse loro: 18 «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti e degli scribi; essi lo condanneranno a morte 19 e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito, flagellato e crocifisso; e il terzo giorno risusciterà».

Un primo esempio di questo paradosso Gesù lo trova nella sua stessa persona. Gesù si presenta come Figlio dell’Uomo, quindi come un umano. Ma un umano che rappresenta ciò avrebbe dovuto essere l’uomo. Un umano che loro conoscono, che è il loro maestro, che riscontra un grande successo agli occhi delle folle e che ha un insegnamento importane. Inoltre stanno piano capendo sempre meglio che Gesù non è semplicemente un uomo, ma è Dio stesso. È quindi qualcuno che andrebbe considerato primo, ma che invece sarà schernito, flagellato e crocifisso. È quindi il contrario di un Dio, secondo l’accezione comune.

Mercoledì sera durante la riunione di preghiera ci trovavamo a riflettere sul fatto che in certi casi terribili di sofferenza Dio non interviene. Osservavamo che c’è differenza tra la magia e la preghiera. La prima rappresenta un delirio di onnipotenza per cui si pensa di poter agire sul mondo al posto di Dio, la seconda essendo piuttosto la fiducia totale in un Dio sa ciò è buono e che può tutto. Da Dio ci si aspetta che sconfigga il male, le malattie di altri e la sua stessa crocifissione. Eppure non lo fa, lascia che l’uomo lo uccida. Ma uccidere una vittima innocente, che non si ribella, smaschera il male, lo priva della sua forza. Gesù quindi risuscita e il messaggio della resurrezione è una grande applicazione dell’affermazione “Gli ultimi saranno i primi”. Gesù si fa ultimo, accetta di pagare il riscatto dell’umanità sulla croce e con questo diventa il primo dei risorti, e rende primi tanti ultimi. Tante persone senza valore che hanno però creduto il lui e che saranno dei primi assoluti, perché partecipi del regno di Dio.

2. Quando gli ultimi non vogliono essere ultimi.


20 Allora la madre dei figli di Zebedeo si avvicinò a Gesù con i suoi figli, prostrandosi per fargli una richiesta. 21 Ed egli le domandò: «Che vuoi?» Ella gli disse: «Di’ che questi miei due figli sedano l’uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra, nel tuo regno». 22 Gesù rispose: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che io sto per bere?» Essi gli dissero: «Sì, lo possiamo». 23 Egli disse loro: «Voi certo berrete il mio calice; ma quanto al sedersi alla mia destra e alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma sarà dato a quelli per cui è stato preparato dal Padre mio». 24 I dieci, udito ciò, furono indignati contro i due fratelli. 25 Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «Voi sapete che i prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. 26 Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; 27 e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; 28 appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti».

Si direbbe che la lezione di diventare ultimi è veramente difficile da digerire, e ci sorprendiamo un po’ nel vedere questa donna chiedere il contrario di quanto Gesù ha appena spiegato. Di fronte alla presentazione di un Dio che è buono e che quindi decide in base alla sua bontà, la madre di Giovanni e Giacomo vorrebbe vedere un posto di privilegio per i suoi figli. Loro stessi si dicono pronti a “bere il calice”, senso proveniente dall’Antico Testamento, quindi chiaro come metafora di una grande sofferenza. Non hanno capito il grande principio che per essere grandi bisogna servire. Per essere primi, bisogna essere ultimi. Non c’è bisogno di sognare posizioni prestigiose, precedenze che superino gli altri, né di essere disposti a soffrire: bisogna servire. Credo che questo passo ci parli direttamente, per ricordarci che il vangelo che seguiamo è soprattutto un vangelo di servizio. E dopo aver riflettuto sulla nostra inadeguatezza, sulla nostra incapacità, sulla bontà di Dio, e sul riscatto che ha pagato per noi, ci debba venire naturale porci la domanda: come posso servire? Cosa posso fare per il regno di Dio? Come mettermi al servizio? A quanto fratelli e sorelle in questa settimana ho chiesto in che modo potevo aiutarli? Quante persone, che non mi possono dare niente in cambio, ho aiutato? Sono tutte domande imperative che testimoniano della nostra corretta assimilazione del vangelo.

Prendiamo quindi esempio dalla mamma di Giacomo e di Giovanni, che ha il coraggio di farsi avanti e fare delle domande, ma cambiamo qualche parola dicendo: dammi un compito ben preciso che io possa fare per il bene degli altri che mi stanno intorno, e perché li possa servire anche se sarà spiacevole e faticoso.

3. Quando gli ultimi sono dei malati.


29 Mentre uscivano da Gerico, una folla lo seguì. 30 E due ciechi, seduti presso la strada, avendo udito che Gesù passava, si misero a gridare: «Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide!» 31 Ma la folla li sgridava, perché tacessero; essi però gridavano più forte: «Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide!» 32 Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che io vi faccia?» 33 Ed essi: «Signore, che i nostri occhi si aprano». 34 Allora Gesù, commosso, toccò i loro occhi e in quell’istante ricuperarono la vista e lo seguirono.

Questo episodio è piuttosto importante perché è l’ultima tappa del viaggio prima di arrivare a Gerusalemme. Nel prossimo capitolo comincia la parte finale del vangelo, e come ultimo fatto prima della città Santa Gesù scegli di guarire due ciechi. Osserviamo il modo in cui vengono presentati. Sono due persone insignificanti, di un posto non particolarmente importante del mondo conosciuto a quel tempo, una città di provincia. Rispetto alla folla contano molto poco, e le loro grida devono lottare contro una folla che li mette a tacere. Sono quindi due invalidi, due categorie che oggi sarebbero protette e che al tempo erano invece sopraffatte, due SUPER ULTIMI. Un re, un uomo politico, un Gesù che segue le categorie commerciali, sicuramente avrebbe scelto le folle come destinatarie dei suoi favori o altri ricchi. Anche in termini spirituali, sarebbe molto più strategico, abile e conveniente “aprire gli occhi” a quelle folle, dimostrare con forza la verità per convertire migliaia di persone… Invece Gesù sceglie di fare attenzione a degli ultimi, a dei dimenticati.

Se oggi qualcuno si sente un ultimo, un dimenticato, uno che nessuno vuole guardare e che, come questi ciechi, non può vedere né avere grandi prospettive, allora Gesù è lì per lui. Se qualcuno pensa di essere un ultimo, indegno dell’attenzione di Dio e degli altri, sappia che Dio è lì per renderlo primo accanto a lui, perché Gesù si è fatto ultimo per farci essere prima ultimi anche noi e poi primi.