Cecità. Atti 25-26

I capitoli 22-26 del libro degli Atti presentano in modo diffuso il processo intentato contro Paolo. Paolo passa prima dalle mani dei giudei, poi del tribuno romano che lo vuole flagellare. Si ferma e lo passa al sinedrio. Seguono le autorità romane (Lisia, Felice, Festo) ed infine Agrippa che è il figlio di Erode Agrippa e conosce bene le abitudini dei giudei.

Lo schema di tutti gli interrogatori a cui viene sottoposto Paolo è semplice: viene accusato ma gli accusatori giudei non hanno prove tali da convincere i romani, che senza lasciarsi convincere da Paolo, lo ritengono nondimeno innocente. Dal canto suo Paolo ha una difesa abbastanza univoca: non ha peccato né contro la legge , né contro il tempio (per i giudei) né ha creato disordini pubblici (per le autorità romane), (25:8) quindi si ritiene innocente fino ad appellarsi a cesare. (25:11)

Vorrei osservare questo insieme di forze in campo non tanto da un punto di vista etnico o storico, ma dal punto di vista delle forze spirituali in atto. Osserviamo infatti troppo spesso la storia con uno sguardo apparentemente distaccato, frutto di una certa filosofia della storia. Quella che vede le forze in campo nel mondo come frutto di passioni umane, determinismi storici, o forza di influenza di gruppi di potere, lobbies o simili. È un esercizio molto utile per individuare delle dinamiche di funzionamento. Ma per capire le CAUSE non dobbiamo dimenticare che ci sono forze spirituali che spingono gli uomini. Rispetto a queste la Parola di Dio ci dà continue istruzioni.

  1. L’accecamento giudaico.

Siamo sempre colpiti da questa rabbia degli ebrei nei confronti di un loro confratello. Luca riporta che: “con intenzioni ostili, lo pregavano, chiedendo come un favore, che lo facesse venire a Gerusalemme. Essi intanto avrebbero preparato un’imboscata per ucciderlo durante il viaggio” (25:3)

Più avanti vediamo che presentano “Numerose e gravi accuse che non potevano provare” (7). Fanno di tutto per cercare di condannarlo (16). Nel suo discorso ad Agrippa Paolo racconta di come lui stesso fosse prima di convertirsi animato da una rabbia inspiegabile contro i cristiani: 26: 9-11. In un precedente messaggio abbiamo cercato di spiegare questo come questa rabbia violenta non sia frutto di una vera fede, ma di una falsa fede che è fatta di insicurezza e di paura. Oggi possiamo aggiungere che l’atteggiamento degli ebrei nei confronti di Paolo è un vero e proprio accecamento, responsabile e frutto di scelte. Ricordiamo le parole di Gesù che citando Isaia dice:
9 Ed egli disse: «Va’, e di’ a questo popolo:
“Ascoltate, sì, ma senza capire;
guardate, sì, ma senza discernere!”
10 Rendi insensibile il cuore di questo popolo,
rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi,
in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi,
non intenda con il cuore,
non si converta e non sia guarito!»

Ci sono momenti in cui il giudizio del Signore sulle persone o su un intero popolo come in questo caso consiste nel chiudere gli occhi. Non si tratta di un giudizio arbitrario di Dio che si diverte a punire, ma della conseguenza di un allontanamento del cuore da Dio. In questo caso la cecità dei farisei viene doppiamente punita. Da un lato la loro rabbia contro Paolo li allontana da Dio, in quanto rifiutano Gesù. Dall’altro i loro sforzi sono vani perché i romani non li ascoltano.

Applicazione. La rabbia non è mai un buon segnale. Esiste di sicuro l’ira di Dio, ma per l’appunto è di Dio. Quando siamo presi da una rabbia che potrebbe apparirci giusta (come giusta sembrava ai giudei la loro rabbia), chiediamoci se non stiamo incorrendo in un grosso errore che rischi di accecarci facendoci perdere di vista il vangelo.

2. L’accecamento delle autorità romane

Molti ritengono che Luca abbia ritratto le autorità romane con una certa benevolenza. Non vengono mai presentati come troppo malvagie, e in una certa misura sembrano proteggere i cristiani. Interessante osservare quale sia in questi capitoli il modo in cui i romani guardano i cristiani. Nei capitolo precedenti hanno organizzato gli spostamenti di Paolo in quanto cittadino romano per trasferirlo a Cesarea e toglierlo dalle mani dei giudei. Festo vuole imbonirsi i giudei (25:9), ma rispetta comunque la volontà di Paolo che si appella a Cesare (12). Sempre Festo lo rimette a Agrippa e Berenice, personaggi molto discussi, fratello e sorella che vivevano una relazione incestuosa, perché sono più esperti di questioni giudaiche (25: 24-27), oltre al fatto che confessa di non sapere cosa scrivere come accusa.

Tuttavia se da un lato c’è questa benevolenza, molte affermazioni fatte da queste autorità, ci mostrano la loro cecità:

  1. 25:19 Essi avevano contro di lui certe questioni intorno alla propria religione e intorno a un certo Gesù, morto, che Paolo affermava essere vivo. Incomprensione totale della persona di Cristo e ironia.
  2. 26: 24 Mentr’egli diceva queste cose in sua difesa, Festo disse ad alta voce: «Paolo, tu vaneggi; la molta dottrina ti mette fuori di senno».
  3. 26: 28 Agrippa disse a Paolo: «Con così poco vorresti persuadermi a diventare cristiano?» 
  4.  26: 31 e, ritiratisi in disparte, parlavano gli uni agli altri, dicendo: «Quest’uomo non fa nulla che meriti la morte o la prigione». 32 Agrippa disse a Festo: «Quest’uomo poteva esser liberato, se non si fosse appellato a Cesare». In realtà non fanno niente per liberarlo.

Questi pochi passi ci mostrano che seppure le autorità romane sembrano non avere niente contro Paolo e abbiano da una parte l’incudine del voler essere graditi ai giudei e dall’altra il martello della difesa di un cittadino romano, rimangono completamente ciechi, spiritualmente, rispetto alle parole dell’uomo che hanno davanti.

Applicazione. Questo credo che debba istruirci su un fatto importante. Mai Paolo, Gesù o altri personaggi della Bibbia hanno cercato di impadronirsi di posizioni di potere o di influenzare le autorità per averne un vantaggio o per “colonizzare” il mondo in chiave cristiana. Si sono limitati a mostrare alle autorità la loro buona testimonianza. Questo sano scetticismo rispetto alle autorità dovrebbe istruirci. Esistono correnti cristiane che mirano ad evangelizzare i potenti, convinti che grazie alla loro conversione il vangelo arriverà al resto della società più velocemente. Esistono correnti cristiane che vorrebbero impossessarsi delle strutture portanti delle società per cristianizzarla dall’alto. Negli Atti non mi pare esista neppure un caso di un potente convertito, la cui conversione vada a toccarne altri, mentre vedo molti fatti come questo che ci insegnano a preoccuparci di una testimonianza irreprensibile davanti alle autorità, senza il miraggio di una conversione. Aggiungo: ci insegna anche che la semplice tolleranza è ben lontana dall’approvazione. Paolo non è accusato: ma rimane un pazzo che vaneggia, e se lo aiutano è solo perché altrimenti rischiano di incolpare un cittadino romano.

  1. Paolo l’oculista.

Rispetto a queste forze che agiscono nei cuori delle persone di cui sono inconsapevoli abbiamo una testimonianza moto chiara da parte di Paolo, che riporta le parole dettegli da Gesù:

Io sono Gesù, che tu perseguiti. 16 Ma àlzati e sta’ in piedi perché per questo ti sono apparso: per farti ministro e testimone delle cose che hai viste, e di quelle per le quali ti apparirò ancora, 17 liberandoti da questo popolo e dalle nazioni, alle quali io ti mando 18 per aprire loro gli occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ricevano, per la fede in me, il perdono dei peccati e la loro parte di eredità tra i santificati”.

Queste parole sembrano essere in aperto contrasto con quelle dette a Dio ad Isaia, lette all’inizio: “chiudigli gli occhi!”, ma sono in realtà due facce della stessa medaglia. La parola rivolta ad Isaia non significa nascondi le verità di Dio, ma è un incoraggiamento a continuare a richiamare il popolo a Dio, che con un atteggiamento ostile continua a non ascoltare, chiudendosi gli occhi da solo.

Nelle parole di Gesù a Paolo capiamo bene in cosa consista la missione cristiana nel mondo. È una missione di oculisti! Consiste nel far sì che vengano aperti gli occhi sia ai religiosi pieni di tradizioni ed avversi alla fede, sia al mondo pagano che di fede non sa niente (ed il paganesimo attuale dilaga) permettendo di vedere.

Parlare di Dio significa illuminare, permettere di vedere e di capire sia i propri errori passati che la verità indicata da Dio. Il ‘700, periodo chiamato Illuminismo, ha ampiamente utilizzato questa immagine della luce, rivendicando la prerogativa di illuminare i tempi dell’ignoranza con la luce della ragione. Ma la fede in Cristo ben da prima usava la stessa immagine.

Mi è capitato di operarmi agli occhi, riguadagnando parecchie diottrie da un occhio e dall’altro. La fede cristiana è un’operazione simile che permette di vedere ciò che il peccato, o la forza del “potere di satana” impediscono di vedere.

Ma cosa ha permesso a Paolo di essere un buon “oculista”? Una testimonianza integerrima davanti ai giudei come ai romani. Il non aver violato leggi né prestato il fianco ad accuse. In altri termini la credibilità del suo comportamento.

Come Paolo siamo chiamati oggi a fare il lavoro degli oculisti, sia individuando le dinamiche delle forze spirituali che occupano la nostra epoca, sia parlando di continuo di cosa ha ci ha fatto il Signore, nell’integrità del comportamento a cui la parola ci chiama.

Conclusione. Cosa dire dunque della difficoltà di annunciare il vangelo, dell’indifferenza, dell’aperto contrasto che il vangelo incontra? Si può dire che le forze avverse ci sono sempre state, ci sono e sempre ci saranno e che tale difficoltà non deve stupire. Ma che il signore ci dia di testimoniare di lui davanti ad un pubblico più vario possibile.