Testo: Luca 15. Clicca quì per leggere il testo: https://www.biblegateway.com/passage/?search=Luke+15&version=NR2006
Oggi guarderemo insieme ad una delle più famose parabole della Bibbia, quella che generalmente chiamiamo la parabola del figliol prodigo. Si tratta di uno dei passaggi più conosciuti dell’intera Bibbia, che molti qui presenti hanno avuto modo di leggere, studiare, ascoltare decine di volte.
Cercherò però di non dare niente per scontato. Partendo innanzitutto dal contesto della parabola. Luca 15:1-2 ci dice che il pubblico di Gesù era composto sia da peccatori che dai farisei e gli scribi. I peccatori erano coloro che erano normalmente etichettati come peccatori: le prostitute, gli esattori delle tasse e così via. Essi erano, al tempo stesso, coloro più inclini ad ascoltare il vangelo da parte di Gesù, ammettere la loro condizione peccaminosa e a ravvedersi. I farisei e gli scribi erano invece coloro che seguivano la legge di Mosè ed erano visti come le guide morali e religiose del popolo. Spesso però erano critici nei confronti di Gesù, come riportato da Luca “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”.
Un’altra cosa che voglio notare insieme a voi è che il capitolo 15 è composto da tre parabole, e non soltanto una. La prima è la cosiddetta parabola della pecora smarrita, nella quale un pastore perde una delle sue cento pecore e si mette a cercarla fino a quando non la ritrova. A questo punto invita i suoi amici a rallegrarsi con lui (6). La seconda parabola è quella della dramma perduta, nella quale una donna, dopo aver perso una delle sue dieci monete, la cerca meticolosamente fino a quando non la ritrova. Anche la donna, come il pastore, invita le sue amiche a rallegrarsi con lei (9).
Arriviamo quindi alla terza parabola che, come avrete notato, va letta insieme alle altre due parabole, avendo degli elementi in comune così come delle differenze con le prime due. Come detto prima facciamo generalmente riferimento a questa parabola con il titolo “la parabola del figliol prodigo”. È un titolo, tuttavia, che potrebbe trarci in inganno. Sapete cosa vuol dire prodigo? Prodigo non vuol dire peccatore, né tantomeno “colui che è tornato indietro”. Prodigo vuol dire che spende o dona senza misura e, per estensione, dispensatore generoso. Per questo motivo, Tim Keller, pastore e autore americano, ha intitolato il suo libro su questa parabola “Dio Prodigo”, facendo riferimento al dono senza misura da parte di Dio in Cristo Gesù.
Forse potremmo ribattezzare questa parabola con le parole di Gesù stesso, che inizia la narrazione con le seguenti parole: “Un uomo aveva due figli.” (11). Gesù chiarisce subito che non è soltanto la storia del figlio minore che si ribella, e nemmeno la storia della relazione tra questo figlio e suo padre. Questa storia ha tre personaggi principali, il padre, il figlio maggiore e il figlio minore. La storia si sviluppa attorno a queste tre persone, le loro azioni, le loro reazioni e le loro interazioni.
Il Figlio Minore
Il figlio minore decide di fare una cosa molto strana: di chiedere la sua parte di eredità al padre prima della morte del padre. Oltre ad essere una cosa molto strana si tratta di una decisione completamente egoistica e offensiva. Il figlio minore sta in pratica dicendo al padre che lo vorrebbe morto, pur di avere accesso alla sua parte di eredità. Il figlio minore non è interessato a coltivare una relazione con il padre, non è interessato a stare alla sua presenza, nella sua casa. Il figlio minore si illude che la sua felicità verrà dal possedere dei beni materiali, da usare e “investire” come meglio crede, e non secondo le regole del padre. Immaginatevi come deve essere stata la atmosfera in casa. Il figlio minore pretendeva “ogni cosa” e ci è sicuramente voluto un po’ di tempo per calcolare l’entità dei beni posseduti e per dividerli (oggi abbiamo un conto in banca, all’epoca i beni erano terre, animali, servi). Una volta ricevuto la sua parte di eredità il figlio minore non si compra una casa vicina al padre, non si trasferisce nel villaggio più vicino ma parte per un paese lontano, lasciando dietro di sé ogni legame, ogni persona che conosceva per ripartire da zero. Il figlio minore “disconosce” la sua famiglia, la sua origine, la sua identità (che all’epoca era molto territoriale e famigliare). Nel paese lontano il figlio minore vive come meglio crede, sperperando i suoi beni. Una volta finiti tutti i soldi che aveva ricevuto dal padre le cose vanno di male in peggio: nel paese arriva una grande carestia. Il figlio è costretto a lavorare con i maiali di uno degli abitanti di quel paese e muore quasi di fame. A questo punto, prende coscienza della situazione disperata nella quale si trova e decide di tornare a casa, in modo da supplicare il padre di riprenderlo. Il figlio minore sa di averla combinata grossa, capisce di non meritare il perdono del padre che aveva abbandonato come se fosse morto. Sa di non poter più sedersi a tavola con lui come l’altro figlio, ma è disposto a tornare indietro, chiedere perdono e servire come uno dei tanti servi del padre.
Il Figlio Maggiore
Spesso si tralascia la figura del figlio maggiore. Questo perché a differenza del figlio minore, non c’è un momento di riconciliazione con il padre e perché se letta superficialmente, nella parabola il figlio maggiore passa per un semplice brontolone. Ma il fratello maggiore è un personaggio importantissimo della storia, egli rappresenta i farisei e gli scribi ed è la figura usata da Gesù per riprenderli e sfidarli. Il fratello maggiore, dopo una giornata nei campi, sta tornando verso casa quando sente qualcosa. Il testo dice che egli “udì la musica e le danze”. Ok sentire la musica, ma le danze? Quello che il fratello maggiore sente è una festa: musica gioiosa suonata ad alto volume, persone che gridavano di gioia ballando, il chiacchiericcio vivace di una festa. Quando scopre cosa è successo e cosa sta succedendo il figlio maggiore si arrabbia al punto da non voler entrare nella casa e partecipare alla festa. Ed è in questo momento che scopriamo la vera natura del figlio maggiore. In questo momento viene svelato il suo cuore. Il figlio maggiore si era comportato sempre bene non perché desiderasse essere in comunione con il padre, partecipare alle sue feste e alla sua gioia, ma perché desiderava ricevere le stesse cose che aveva ricevuto il figlio minore.
Le sue parole sono molto significative: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; (30) ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato.” (29-30) Il figlio maggiore non si vede come figlio del padre, ma come uomo costretto a servire, un uomo desideroso di usare la ricchezza del padre per il proprio piacimento. Il fratello maggiore porta rancore, è invidioso e molto simile al fratello minore, pur comportandosi diversamente.
Tim Keller, nel suo libro Il Dio Prodigo, esprime molto bene questo concetto: “perché il fratello maggiore non entra e si unisce alla festa? Egli stesso ci dà la risposta: “Perché non ti ho mai disubbidito.” Non è per mancanza di integrità bensì proprio a causa di essa che il fratello maggiore si sottrae all’amore del padre. Non sono i suoi peccati a creare la barriera tra lui e il padre, bensì quel senso di superiorità che gli deriva dalla consapevolezza di essersi sempre comportata in modo moralmente retto. Non sono le trasgressioni bensì la presunzione della propria dirittura morale a impedirgli di prendere parte alla festa del padre. Come può essere? La risposta sta nel fatto che gli animi di quei due fratelli … sono assai più simili di quanto non sembri a prima vista. Cos’è che il figlio minore desiderava di più della vita? Esasperata dal fatto di dover condividere i beni della famiglia sotta la tutela del padre, voleva prendere autonomamente le proprie decisioni e disporre liberamente della propria parte dei beni. Cosa voleva il figlio maggiore? A guardare bene ci accorgiamo che anche egli voleva esattamente le stesse cose e nutriva nei confronti del padre lo stesso risentimento del fratello minore. Tuttavia, mentre quest’ultimo se n’era andato di casa, il maggiore era rimasto accanto al padre e non aveva “mai trasgredito”. Questo era stat il suo modo di ottenere il controllo della situazione. “Non ti ho mai disubbidito! Ora tu devi fare per me quellc che voglio che tu faccia”, questa è la sua pretesta inespressa. In cuore loro i due fratelli nutrivano gli stessi sentimenti: entrambi covavano malanimo nei confronti dell’autorità paterna e cercavano un modo per affrancarsene. Ciascuno dei due desiderava trovarsi in condizioni di dare ordini al padre. In altre parole, ciascuno dei due si era ribellati … entrambi … si erano allontanati dall’amore del padre. Entrambi erano perduti.” (29-30).
I due fratelli volavano le stesse cose, volevano sfruttare le risorse del padre senza la guida del padre. Quello che cambia è il modo in cui raggiungere il loro scopo finale.
Il Padre
Il terzo personaggio principale di questa parabola è il padre, che rappresenta chiaramente Dio. Un padre che deve gestire due figli che ama ma che si comportano in maniera sbagliata. Da una parte il figlio maggiore, che vive come un servo, sempre ligio al dovere, sempre pronto a fare la cosa giusta ma con che non nutre rispetto e rispetto nei suoi confronti. Dall’altro il figlio minore, che se ne era andato subito dopo aver ricevuto la sua parte di eredità. Un figlio che lo aveva rinnegato, disprezzato e ridicolizzato di fronte a tutti.
Abbiamo lasciato il figlio minore sulla strada di casa, dove stava tornando per supplicare suo padre di lasciarlo entrare come servo. Ma la reazione del padre va contro ogni logica e al di là di ogni spiegazione. Appena vede il figlio ribelle il padre gli corre incontro, lo abbraccia, lo riabilita a gli riconsegna lo status di figlio, lo riveste e gli dona un anello. Inoltre, organizza una bellissima festa per questo figlio ritrovato. La festa è uno degli elementi comuni delle tre parabole del capitolo 15 di Luca. Il pastore si rallegra con i suoi amici, la donna con le sue amiche, il Padre con la sua famiglia e il Signore vuole festeggiare, gioire, insieme al suo popolo. La salvezza del singolo porta alla comunione gioiosa di tanti. La nostra vita come credenti, così come la nostra eternità, non è da vivere in solitudine ma in comunione con Dio e con la sua chiesa.
Alla festa è invitato ovviamente anche il figlio maggiore, ma come abbiamo visto lui rimane fuori è il padre gli va incontro. Con amore il padre spiega al figlio il perché della festa. Solo che non sappiamo come è finita la storia. Non sappiamo se il figlio maggiore accetta e capisce l’invito del Padre, e partecipa anche lui alla festa o se invece decide di ribellarsi completamente e rimanere fuori. Gesù attraverso questa parabola stava rivolgendo un monito ai farisei e gli scribi, che si ritenevano così giusti al punto da aver meritato la salvezza. È un monito forte perché la pecora era stata ritrovata, la dramma ritrovata, il figlio minore ritrovato è l’unico, nelle tre parabole, a non essere ritrovato è il figlio maggiore.
Di più – C’è una caratteristica del padre/Dio sulla quale ho riflettuto molto negli ultimi giorni. Perché il padre non si rifiuta di dare l’eredità al figlio? Perché non gli impedisce di partire, sapendo che suo figlio non era in grado di gestirsi e gestire quei soldi? O, in altre parole, perché Dio permette la sofferenza? Perché anche i suoi figli vivono situazioni difficili, che sembrano non avere senso, che sono dolorose? Parte della risposta è che Dio ci ha creati liberi e responsabili delle nostre azioni. Ma credo che questa sia solo parte della risposta. Credo anche che Dio sia un Dio sovrano, che fa cooperare TUTTE le cose al bene di coloro che lo amano (Romani 8:28), è il nostro bene è assomigliare sempre di più a lui, essere sempre più santi, essere sempre più radicati in lui. Questo è il nostro bene supremo! Nei momenti di prova, di sconfitta, nei momenti in cui non capiamo, nei momenti di disperazione possiamo essere delusi, tristi ma al contempo ricordiamoci che quello che stiamo vivendo Dio lo sta permettendo per il nostro bene. Dio è sovranamente buono e benevolmente sovrano! Il rapporto fra il padre e il figlio è sicuramente uscito più forte, più sincero, più profondo grazie a questa esperienza disastrosa del figlio, esperienza che il padre gli ha permesso di fare. La stessa cosa vale per il figlio maggiore, se ha accettato l’invito del padre. Il nostro è un Dio che vuole darci DI Più, che vuole farci crescere, che ci conduce nel nostro percorso con lui con sapienza e amore.
Alla fine di queste riflessioni sul figlio minore, il figlio maggiore e il padre ti lascio con una domanda: e tu? È facile mettere in una delle due categorie tutte le persone che conosciamo. Ma tu? In quale delle due entri? O magari in entrambe? Dio ha organizzato una festa per te, una festa resa possibile dal sacrificio di suo figlio, che è venuto per farci tornare al nostro padre celeste. Il nostro padre celeste è pronto a perdonarti qualsiasi sia la tua situazione e il tuo cuore, sia se hai peccato in modo eclatante sia se hai peccato di orgoglio nel segreto del tuo cuore. Il ladro, l’adultero, il falso, il finto credente che viene in chiesa solo perché è la cosa giusta da fare sono tutte persone che possono partecipare alle festa di Dio, stare alla sua presenza, se disposti ad ammettere la propria situazione peccaminosa e farsi purificare dal sangue di Cristo. Non permettere alle delusioni, agli sbagli, ai fallimenti, alle sofferenze ingiuste di farti allontanare da Dio ma usale per avvicinarti sempre di più a Dio, per ricevere da lui quello che lui ha in serbo per te.