Pareti imbiancate contro coscienze trasparenti. Atti 22:22- 23:11
Molte persone associano la religione a qualcosa di potenzialmente violento. Purtroppo non gli si può dare facilmente torto. Uno sguardo rapido indietro negli anni ci mostra una serie infinita di azioni violente di guerre tra popoli con religioni diverse e, nell’Europa presunta cristiana, non sono mancate né mancano ancora oggi conflitti che hanno una radice in qualche modo riconducibile alla religione. Se i conflitti tra Islam e Cristianesimo sono abbastanza facilmente spiegabili in termini politici, lasciando la religione in secondo piano, non mancano conflitti interni all’Islam e interni al Cristianesimo che deturpano sempre di più l’immagine delle religioni. La costatazione del nesso tra violenza e religione va dalle impressioni semplici dell’uomo della strada che in qualche modo sa del tribunale dell’inquisizione che manda a morire gli eretici, fino alle considerazioni scientificamente argomentate e ben documentate di alcuni antropologi, che sostengono che la religione produca di per sé violenza. Non saremo sorpresi del fatto che anche la Bibbia ci parla di violenza, e proprio di violenza legata alla religione.
Il passo che analizziamo oggi colpisce per il vocabolario violento e per le azioni violente che rischiano di accadere o che di fatto accadono. Ed è un passo interessante perché vediamo come i primi cristiani fossero continuamente oggetto della violenza di alcuni religiosi. E accanto a questo vediamo anche quali armi sapevano opporre.
- Dove c’è religione c’è sempre violenza?
Perché tanta violenza?
22: 22-25. Cosa ha detto di tanto grave Paolo per suscitare reazioni così smodate? Perché questa gente lancia in aria la terra e grida che sia messo a morte? Paolo ha semplicemente raccontato la sua conversione, il suo radicamento dall’ebraismo, e infine il fatto che Dio gli ha detto che lo avrebbe mandato lontano. Perché tanta rabbia? Perché probabilmente le parole di un uomo che rivendica di avere ricevuto rivelazioni da parte di Dio suonano per loro come blasfeme. Ma perché queste parole blasfeme suscitano tanta rabbia e voglia di azioni violente? Interessante la reazione del tribuno: è talmente inspiegabile per lui il comportamento dei giudei che decide di torturare Paolo perché immagina che dietro ci debba essere altro.
23: 1-2. più avanti il sommo sacerdote è indignato per quello che dice Paolo e ordina che venga percosso. Cosa ha mai detto di tanto grave? Ha detto di essersi condotto davanti a Dio in tutta buona coscienza. Perché una reazione violenta?
Questa stessa domanda potremmo farcela guardando la storia: in moltissime occasioni delle religioni ufficiali hanno perseguitato dei dissidenti, degli eretici, delle persone che credevano sì, ma in modo diverso. I primi cristiani hanno subito molto, ma quando purtroppo sono diventati religione di stato hanno cominciato ad essere persecutori a loro volta. Ne seguono numerosissime vittime, tribunali inquisitori, guerre di religione, persecuzioni anche psicologiche e via dicendo.
Risposta: La falsa religione violenza perché la sua fede non è fede.
La domanda torna ancora: perché tanta violenza? La risposta è piuttosto semplice: c’è violenza perché quella è religione non è fede. Questo passo è quindi molto utile a farci capire alcuni aspetti della NON FEDE, della parete imbiancata che vorrebbe sembrare un muro solido di una costruzione che porta a Dio, e che in realtà è un tempio vuoto, privo di spirito. Il bianco della sua purezza, della sua religiosità è solo apparente.
Come la riconosciamo?
- Insicurezza e paura. Le reazioni quasi isteriche dei religiosi di questo passo di fronte a semplici parole dell’apostolo Paolo dimostrano molta insicurezza e molta paura. Hanno messo in piedi un sistema religioso che comporta una serie di pratiche che permettono un certo controllo del popolo. Ci sono gerarchie, gruppi religiosi organizzati, non da ultimo il tempio che dietro a cui girano parecchi soldi. I sospetti che la dottrina di Paolo (quindi quella di Gesù) lancia contro le guide, contro il tempio, contro l’uso fatto della legge, spaventa. Significa perdere il controllo del popolo, di parte dell’economica e di una serie di posizioni di potere. Quando la fede è ridotta a controllo, a commercio e potere, è finita. È falsa. È una parete imbiancata che nasconde il vuoto o peggio il male.
- Confusione dottrinale. L’apice di questo potere religioso si trova proprio nel sinedrio, un organo politico-religioso in cui sedevano persone di buona reputazioni, dottori della legge, aristocratici. Non c’era solo del marcio, vediamo alcuni membri illuminati come Gamaliele (atti 5). Ma è curioso vedere come questo gruppo compatto nell’intento di uccidere Gesù si trovi improvvisamente diviso per questioni dottrinali. La falsa fede presenta un’unità di facciata, ma il bianco dei muri nasconda divisioni profonde.
- Violenza. Infine, molto semplicemente, la falsa religione si riconosce per la sua violenza. Non può tollerare niente di diverso da se stessa, perché è in fondo una forma di idolatria. Si sente minacciata dalla vera vita, e quindi semina la morte. Ha ucciso i profeti, ha ucciso Gesù, continua ad uccidere.
Possiamo dire con serenità che il rimprovero del legame tra religione e violenza esiste. Ma non riguarda la vera fede e la vera religione. Riguarda le sue contraffazioni, i sistemi, le religioni di stato, che potenzialmente vanno nella direzione del bisogno di potere e dell’imposizione per sopravvivere. E dobbiamo dire senza mezzi termini che Gesù prima, e i suoi seguaci come Paolo poi, condannano questa falsa religione, perché è fatta appunto di pareti imbiancate: di ipocrisia che maschera con il bianco della vernice o della calce muri marci che nascondono sete di potere e non di Dio.
- Dove c’è vera fede non c’è violenza ma forza.
In opposizione a tutto ciò vediamo chiaramente in questo testo una serie di fermenti, che ci mostrano che la fede è il contrario della violenza. E che proprio per questo è ed ha una grande forza. Una forza che permette di difendersi proprio nei momenti in cui la falsa religione lo perseguita.
- La forza di una buona coscienza
Il termine coscienza (suneidesis) lo troviamo nella Bibbia soprattutto nelle epistole di Paolo e tra i tanti passi ne cito uno che mi pare più adatto: “Questo, infatti, è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza di esserci comportati nel mondo, e specialmente verso di voi, con la semplicità e la sincerità di Dio, non con sapienza carnale ma con la grazia di Dio”. (2 Cor 1:12). In punto di partenza di Paolo non può che essere in Cristo. È in Cristo che ha ricevuto la grazia di Dio. È del suo incontro con Cristo che ha parlato, della sua conversione. Questo evento sconvolgente della sua vita ha lavato per sempre la sua coscienza, dandogli la serenità davanti a Dio di essere pulito. Questa pulizia gli dà la forza di affrontare una folla che gli grida contro, un sinedrio che gli si oppone. Perché è la coscienza di avere agito correttamente davanti a Dio. Certo, sembra perdere la calma con quel quasi insulto al sommo sacerdote “Parete imbiancata”! Ma la ritrova subito dopo citando la Scrittura e parlando con rispetto anche a chi sta palesemente violando la legge – ordinando di percuotere un innocente.
Come ci sentiamo oggi davanti a Dio? La nostra coscienza ci rimprovera o ci lascia in pace? La nostra fede è presa da rabbia e aggressività o ha una buona coscienza? Victor Hugo si spingeva a dire che la coscienza è Dio… Io non mi esprimerei così, ma direi comunque che Dio parla alla nostra coscienza, e se abbiamo una coscienza è perché siamo più che semplice materia agglomerata. Se sappiamo di avere messo la nostra vita nelle mani di Cristo, potremmo dire con Paolo che davanti a Dio abbiamo agito con una coscienza pulita. Se invece la coscienza di rimprovera, è il momento di inginocchiarsi davanti a Dio e riceverlo nella nostra vita, esattamente come ha fatto Paolo: nato fariseo ed osservante della legge, ma necessitoso di conversione.
- La forza della voce diretta di Dio.
Possiamo immaginare che dopo questo confronto diretto con la folla prima, con il tribuno poi e infine con il sinedrio abbia messo Paolo a dura prova. Forse potrebbe essere tentato di alcuni aspetti della sua vita, come il greco che lo ha salvato, la sua cittadinanza, la sua intelligenza che gli ha consentito di dividere il sinedrio in due fazioni avverse e di sottrarsi alla disputa. Credo però che invece fosse piuttosto a pezzi, perché è vero che si trovava nella fortezza per non essere massacrato dalla folla, ma è anche vero che non era libero, ed era in una sorta di prigione in mano a persone che potrebbero fare di lui ciò che vogliono. È molto bello vedere che Dio gli parla direttamente con parole amorevoli per incoraggiarlo: “Fatti coraggio, perché come mi hai reso testimonianza a Gerusalemme, bisogna che tu la renda anche a Roma”. La fede è una grande forza perché non è altro che l’incontro diretto con Gesù ed il dialogo diretto e personale di chi si converte con Dio. Questo momento di dialogo non è un momento riservato solo a Paolo o a qualche isolato eroe della fede. La fede è proprio questo dialogare con Dio, nei momenti quotidiani o nei momenti difficili come quello che vediamo.
Quando ci sentiamo stanchi, abbattuti, smarriti per qualche motivo, cerchiamo quella voce che ha parlato tanto chiaramente a Paolo e che parla anche a chiunque grida a Dio.
Conclusione. La fede è allora necessariamente legata alla violenza? Rispondiamo certamente di no, ma diciamo che al contrario la fede finta può produrre violenza, la vera fede produce la forza di rinunciare alla violenza, di dire di no a quella voglia umana e naturale di vendicarsi di fare male e di farsi giustizia da soli. La vera fede è la coscienza di aver accettato che Dio è colui che ci rende forti e che vive ed opera in noi una forza divina. Preghiamolo di poter conservare questa forza .