Una vera relazione pastorale

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Qual è la cosa che ti dà più gioia ? Leggendo l’epistola ai Tessalonicesi potremmo trovare una risposta a questa domanda, immaginando che la rivolgessimo all’apostolo Paolo: dopo aver letto il capitolo 3 di questa epistola, credo che avrebbe detto senza indugiare: «La cosa che più mi rende felice è pensare ai miei amici Tessalonicesi, avere loro notizie, e pregare per loro». Il capitolo che abbiamo oggi davanti apparentemente è un capitolo semplice, in cui Paolo racconta di come ha inviato Timoteo a Tessalonica per avere notizie della chiesa, e della gioia che ha avuto al suo ritorno, avendo ricevuto notizie positive. Niente di strano o di anormale. Eppure un passo del genere ci informa da vicino su chi fosse Paolo come pastore. Pensiamo soprattutto al Paolo teologo, al Paolo evangelista, fondatore di chiese; qui invece abbiamo uno spaccato della sua vita di pastore, sia nei confronti di Timoteo, che nei confronti della chiesa di Tessalonica, e credo che questo sia fondamentale per istruire oggi il modo in cui si esercita o si riceve l’azione pastorale.

1. Un vero pastorato, un vero discepolato.

Partiamo dalle affermazioni che Paolo fa per qualificare la sua relazione con i tessalonicesi:

  •  1 Perciò, non potendo più resistere, preferimmo restare soli ad Atene; 2 e mandammo Timoteo, nostro fratello e servitore di Dio nella predicazione del vangelo di Cristo,

  • 5 Perciò anch’io, non potendo più resistere, mandai a informarmi della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse tentati, e la nostra fatica fosse risultata vana.

  • 6 Ma ora Timoteo è ritornato e ci ha recato buone notizie della vostra fede e del vostro amore, e ci ha detto che conservate sempre un buon ricordo di noi e desiderate vederci, come anche noi desideriamo vedere voi.

  • 7 Per questa ragione, fratelli, siamo stati consolati a vostro riguardo, a motivo della vostra fede, pur fra tutte le nostre angustie e afflizioni;

  • 8 perché ora, se state saldi nel Signore, ci sentiamo rivivere.

  • 9 Come potremmo, infatti, esprimere a Dio la nostra gratitudine a vostro riguardo, per la gioia che ci date davanti al nostro Dio,

  • 10 mentre notte e giorno preghiamo intensamente di poter vedere il vostro volto e di colmare le lacune della vostra fede?

L’intero passo è disseminato di parole che evocano un profondo sentimento. L’uomo che come già detto ha lavorato diverso tempo presso i credenti di Tessalonica, sia insegnando nella sinagoga che, probabilmente, coltivando i suoi contatti in casa o nel suo laboratorio artigiano è un pastore sentimentalmente coinvolto che oltre a dispensare dei contenuti sulla fede e ad avere uno scopo preciso per la crescita dei suoi fratelli, ha delle emozioni autentiche e genuine, senza le quali difficilmente il messaggio passa. Quello che infatti caratterizza una relazione come quella tra maestro e discepolo è che, benché ci sia una forma di aiuto, ed un messaggio che passa, questa relazione è molto diversa da altre che possiamo conoscere in cui l’aiuto è ugualmente presente. Non si tratta della relazione medico-paziente, o psicologo-paziente, insegnante -discente, in cui il coinvolgimento emotivo è bello se c’è ma potrebbe anche mancare. Quando si trasmette il vangelo, il contenuto deve passare anche attraverso una relazione autentica d’amore, perché annunciare il vangelo significa riflettere l’amore di Dio. Significa ancora evangelizzare come Gesù, che non dette mai un messaggio senza accompagnare la sua presenza concreta mostrando il suo amore. Dalle parole di Paolo questo amore traspare chiaramente ed è ricambiato.

Non solo. In questo passo ci sono due relazioni: quella tra Paolo e i Tessalonicesi, ma anche quella tra Paolo e Timoteo, nostro fratello e servitore di Dio nella predicazione del vangelo. Per curare la relazione con i Tessalonicesi Paolo è disposto a separarsi da un validissimo aiuto per il lavoro che sta facendo ad Atene e questo gli è sicuramente costato caro.

Tutto ciò deve guidare anche le nostre relazioni in chiesa oggi. Paolo ha fondato la chiesa di Tessalonica insieme a Silva e Timoteo, e parla a nome loro. Noi oggi, nelle diverse iniziative che intraprendiamo, annunciamo il vangelo tutti, come chiesa. Non possiamo annunciare il vangelo senza unire a questo reali sentimenti di amore per le persone a cui parliamo. Non dobbiamo neanche pensare che una relazione «pastorale» sia esclusiva di un pastore. Paolo si avvale di Timoteo, ma ognuno di noi può e deve sentirsi un Timoteo. Come Timoteo è stato pronto a partire, il Signore ci chiede a chi siamo pronti a rinunciare, magari perché vada a fondare altre chiese, e a quanto ci preoccupiamo, tutti insieme, delle persone che abbiamo evangelizzato. Ancora una volta si pone la domanda di Gesù: dov’è il tuo tesoro? «Dove è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore». (Mt 6,21) Vogliamo vedere la nostra chiesa crescere? Vogliamo vedere la nostra chiesa fondare altre chiese che trasformino vite e infondano fede e amore? Prendiamo la relazione con le persone a cui annunciamo il vangelo esattamente come l’hanno presa Paolo e Timoteo!

2. Il contenuto della relazione

Ovviamente una relazione pastorale non si riduce ad una serie di sentimenti, autentici e intensi. Ha un contenuto. Da questo passo vediamo che ciò che Timoteo farà, oltre a riportare a Paolo come stanno i Tessalonicesi è: confermare e confortare nella fede affinché nessuno fosse scosso (3). E più avanti: colmare le lacune della vostra fede. (10)

Lo scenario in cui avvengono questa pratiche pastorali è quello di un gruppo perseguitato dai giudei della sinagoga che non hanno apprezzato le dottrine di Paolo e che hanno quindi scatenato una serie di persecuzioni contro i nuovi convertiti. Queste nuove persone sono come nuove pianticelle che hanno bisogno all’inizio di sostegno per crescere in modo sano. La fede nasce spesso in mezzo ad un gran entusiasmo, ma ugualmente in mezzo a quelle che vengono definite tribolazioni. Non viviamo in un mondo neutro in cui ognuno liberamente sceglie di credere quello che preferisce, viviamo in un mondo spirituale, in cui influenze di molti tipi ci condizionano. Molti signori di questo mondo e false divinità che vogliono essere adorate, nel momento in cui vedono un individuo liberato dal vangelo, si scatenano e questo Paolo afferma che sia normale. Perché Paolo sa che c’è un tentatore (5) che fa di tutto per guastare la fede. L’antidoto non è una guerra contro queste false potenze spirituali, ma un lavoro sulla fede di chi si è convertito: c’è bisogno di confermare e confortare, ragionando insieme, parlando, pregando e discutendo delle sfide che la nuova vita di fede pone. Sembra che il termine «colmare le lacune della fede», sia un termine tecnico usato nella chiesa primitiva per indicare una prima formazione sui rudimenti dottrinali, necessaria proprio per la solidità iniziale. Ci fa capire proprio come la dottrina, la teologia, siano cibo fondamentale all’inizio della crescita, e chi non le propone è ingenuo. Si illude che la piante crescano da sole, ma non è così. Credo che ognuno di noi, e non solo i pastori, abbia il dovere di avere chiare quali siano le verità fondamentali della fede cristiana, e che si ponga il problema di come trasmetterle. Qualche tempo fa mi è capitato di discutere con qualcuno che faceva parte di una setta. Facevo delle domande e mi rispondeva che avrei dovuto parlare con una delle loro guide. Questo ovviamente non mi fece una bella impressione, perché penso che se viene fatto un buon lavoro per confermare, confortare e completare la fede, molte cose debbano essere chiare a tutti.

Questa riflessione ci parla in due sensi: da un lato ci spinge ad una chiarezza sui contenuti che vogliamo trasmettere. Dall’altro ognuno di noi, si preoccupi dell’importanza della sua continua crescita nella fede. Chieda ai propri pastori di aiutarlo a crescere, di fornirgli libri, letture, di incontrarsi e di pregare proprio perché non sempre i pastori sono come Paolo che riescono a occuparsi di tutti. Leggo tra le righe infatti da parte dei tessalonicesi una grande disponibilità.

3. La preghiera della relazione

Negli ultimi quattro versi Paolo parla del suo modo di pregare per i Tessalonicesi e di ciò per cui concretamente prega. Dovrebbe andare da sé che una reale relazione pastorale è sempre accompagnata da una preghiera attenta e puntuale.

Quella di Paolo prima di tutto è continua: «notte e giorno preghiamo intensamente per poter vedere il vostro volto» (10). Notte e giorno ci indica la continua dipendenza da Dio in preghiera e la continua attenzione verso chi deve crescere nella fede.

Pregare per l’amore. Per quanto Paolo abbia parlato di persecuzioni, in questa epistola non ha mai detto né pregato che il queste persecuzioni finiscano, né che i Tessalonicesi ne vengano risparmiati. Ha predetto una punizione finale ((2,16), ma non di più. Ha anzi insistito sul fatto che la persecuzione è naturale, necessaria. Ciò su cui invece ha insistito e continua ad insistere è l’amore. Dice che prega affinché il Signore faccia abbondare i tessalonicesi in amore gli uni verso gli altri e verso tutti. Queste persecuzioni se vissute come una necessità avranno la conseguenza di rinsaldare il legame di amore tra i credenti, e di spingerli ad amare sempre di più tutti, i persecutori compresi. Altrove Paolo dirà che posso avere tutta la conoscenza del mondo, ma senza amore non sono niente (I Cor 13). Una vera cura pastorale rinsalda la fede e questa soprattutto produce amore. Quell’amore che deriva dalla consapevolezza di essere fatti proprio della stessa pasta, dalle mani dello stesso Dio, e destinatari del suo vangelo.

Pregare per certezza della salvezza. Infine la preghiera di Paolo è convinta che questo amore renderà i cuori saldi, irreprensibili in santità davanti a Dio nostro Padre, quando il nostro Signore Gesù verrà con tutti i suoi santi. (13)

Il vero amore viene dal confronto con Dio e chi ha sperimentato l’amore di Dio sente il proprio cuore rinsaldato nella fede. Questa espressione sui cuori saldi significa che il cuori di chi ha sperimentato l’amore di Dio sono sereni, tranquilli, in quanto aggrappati a Dio. Sanno che la santità, l’essere messo da parte da Dio, è il frutto di una relazione di amore con il Padre e con Gesù e questo prepara ad incontrarli al suo ritorno con serenità. Chi si crede buono o degno di qualche merito è un orgoglioso; ma chi invece sa di essere profondamente mancante, ma nonostante ciò oggetto dell’amore di Dio, affronta l’incontro con Dio con serenità, perché sa di poter confidare in lui. Ecco, per questo prega Paolo, e credo che questa dovrebbe essere la nostra preghiera per chiunque sappiamo essere una pianta che deve crescere nella fede.