Tre muri da abbattere: il buon samaritano, Luca 10, 25-37

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Quel che non manca affatto nella nostra società sono le barriere. Siamo abilissimi nel creare una serie di barriere di mille tipi diversi, da quelle materiali fatte di muri, sbarramenti e trincee a quelle ideali, come i confini, la separazione tra stranieri ed autoctoni, la separazione tra pratica e teoria e via dicendo. La parabola che studiamo oggi mostra come l’insegnamento di Gesù richieda il crollo di alcune barriere, che ritroviamo tali e quali oggi.

Esperto. Gesù ha appena finito di esaltare gli umili che guidati dallo Spirito Santo scoprono cose straordinarie per il loro destino spirituale. Nel bel mezzo di questo discorso si alza un dottore della legge, verbo che indica un momento di lezione a cui segue un momento per le domande. Chi parla, al contrario degli umili, è un esperto, un dottore della legge, uno che passa il tempo a studiare i testi dell’Antico Testamento.

Per tentare. Ci viene detto che interviene per mettere Gesù alla prova, quindi per verificare in che misura le risposte di Gesù fossero conformi a quelle che l’ortodossia religiosa rappresentata da dottori della legge, scribi e farisei. Resterà deluso, perché dovrà rendersi conto di quanto è rivoluzionario l’insegnamento di Gesù che abbatte quei muri che la falsa religiosità di ogni tempo crea, laddove il vangelo li abbatte

1. Abbattere il muro tra sapere e fare.

Risposta corretta. La domanda che pone il dottore è molto chiara: «Cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». È la domanda che si pone ogni uomo, e che al tempo di Gesù era fortemente sentita. Se il dottore della legge la pone è probabilmente perché sospetta che la risposta di Gesù non sia proprio in linea con il pensiero dominante, e Gesù risponde con una risposta, che equivale a dire: lo sai già, è scritto nella legge. Ed il dottore sa bene la risposta: amare Dio, e il prossimo. Si tratta di una risposta che comunque al tempo di Gesù non ha niente di straordinario. Segue lo Shamma, quella dichiarazione di fede tratta da Deuteronomio 6 che ogni buon ebreo fa, sull’amare unicamente Yahveh con tutto il cuore, mente e forza. A questo si unisce il passo di Levitico 18, 19, sull’amare il prossimo. Il dottore della legge risponde correttamente e nel vangelo di Matteo (22,34) abbiamo un episodio in cui è Gesù a rispondere ai capi del popolo e farisei la stessa cosa: i comandamenti più importanti sono amare Dio e il prossimo! Il dottore della legge quindi sa bene come fare ad ereditare la vita eterna. Ma la parabola raccontata da Gesù deve far crollare un primo muro nel suo cuore.

Arriva, vede, passa. La compassione. Il sacerdote della parabola incontra un poveraccio mezzo morto, ma arriva, vede e passa oltre. Lo stesso fa il levita altro esperto di luoghi religiosi, una specie di sagrestano del tempo: arriva, vede e passa oltre. Il samaritano arriva, vede ed ha pietà. Ed è qui che crolla il primo muro. Non basta rispondere adeguatamente alla domanda di Gesù, mostrando di essere in grado di recitare a memoria dei passi biblici pur bellissimi, come Deuteronomio 6 e Levitico 19, 18. Non si può arrivare, vedere e passare oltre se veramente si è capito il senso della Bibbia, perché altrimenti significa che si è andati oltre anche a ciò che quel passo imponeva. La lettura della Bibbia ha lo scopo di «far muovere a compassione», tenere alta l’attenzione verso Dio e verso l’altro. Quando un esperto di Bibbia passa oltre un uomo semi-morto c’è qualcosa che non ha funzionato nella lettura dei testi. La carnalità e l’egoismo hanno avuto il sopravvento e la Parola di Dio scritta è diventata il campo per discussioni fini a se stesse, e non più quella parola potente e vivente che muove a compassione. La separazione tra lettura e pratica, tra fede teorica e fede operante è il primo muro che deve crollare nella mente di questo dottore della legge.

Applicazione: fede e opere. Come evangelici facciamo bene ad insistere tra la fondamentale importanza della giustificazione per sola fede. Ma la fede che giustifica è una fede che non può stare ferma, che opera di continuo e che deve produrre compassione davanti alle disgrazie umane. Se di fronte a queste sappiamo solo rispondere con frasi preconfezionate sull’efficacia della fede, senza che queste siano accompagnate da un accorato comune sentire con chi soffre, la nostra fede va rivista.

2. Abbattere il muro tra comunità

I prossimi connazionali. Non a caso chi adempie realmente il prossimo in questo racconto è un samaritano. I samaritani per gli ebrei erano considerati dei nemici, dei buoni a nulla, con origini simili, alcuni elementi di fede in comune, ma alcune differenze sul luogo di culto, sull’uso della Scrittura. Il samaritano è l’ultimo da cui ci si aspetta qualcosa di buono, e non a caso Gesù sceglie un samaritano come modello di sana comprensione della Scrittura. Perché? Perché nella comprensione degli ebrei del tempo di Gesù il termine «prossimo», indicava le persone appartenenti al popolo di Israele e non era un qualificativo da dare ad uno straniero. Ecco allora che il dottore della legge deve abbattere un secondo muro per capire la Scrittura: quel muro di separazione interetnica tra popoli diversi che abitano in un territorio comune e che cercano la loro identità in elementi comunitari. Il dottore deve imparare che la qualifica di prossimo non ha limiti e si estende a chiunque Dio abbia creato e si trovi in una situazione di bisogno. Non solo: deve imparare che un poco di buono, un samaritano può sapere essere prossimo di altri ben meglio di molti ebrei.

Nel mondo in cui viviamo i fermenti comunitaristi imperversano in modo diffuso. Slogan come «American first» o «prima gli italiani», e ancora «La Francia ai francesi» abbondano. Sono purtroppo normali in un mondo in cui si scatenano guerre tra poveri ed in cui il populismo propone soluzioni facili. Un passo come questo ricorda a chi vuole seguire Gesù che per chi crede non esistono ebrei, samaritani, americani, italiani, marocchini, nigeriani ecc. Esistono esseri umani, che si dividono davanti a Dio in chi vuole credere e chi non vuole credere – e questa divisione riguarda soprattutto Dio. Le chiese in questa fase storica hanno un ruolo fondamentale per gridare forte e alto che i prossimi, quelli che devono riceve aiuto non sono quelli che appartengono ad una stessa comunità, ma tutti indiscriminatamente. Che l’unico muro legittimi è tra chi crede e chi non crede, e in Gesù questo muro crolla.

Al contempo il passo ci mette in guardia rispetto ad un atteggiamento comune in molte chiese, quello di credere che non ci si debba aspettare atteggiamenti di alta moralità da parte di chi è fuori da una chiesa, di chi, come si suole dire sbagliando, «nel mondo». Il samaritano per noi potrebbe essere un musulmano, un buddista, un mormone, un cattolico, un testimone di Geova che in una particolare circostanza ha una comprensione del gran comandamento di amare Dio e il prossimo migliore della nostra. È una lezione che riceviamo assieme al dottore della legge.

3. Abbattere il muro tra identificare ed essere prossimo.

Nella storia letta il problema posto dal dottore è quello dell’identità del prossimo. Chi è il mio prossimo? Una prima risposta è che il prossimo non è solo chi appartiene al tuo popolo. Ma onde evitare che il dottore della legge non tenti di produrre un qualche metodo rituale di identificazione di prossimi, magari con domande multiple o a trabocchetto, Gesù cerca di far crollare un altro suo muro: quello che lo spinge a cercare di delimitare l’area dei prossimi, per poterceli rinchiudere dentro e renderli all’occasione oggetto del suo amore – interessato. Gesù lo invita a lasciare stare la domanda «Chi è il mio prossimo», che è una domanda sciocca, perché prossimo vuol dire il più vicino, e quindi chiunque mi passa accanto è il mio prossimo, per affrontare quella ben più difficile che è: «Come faccio ad essere il prossimo di qualcuno?» La lezione che abbiamo visto dal Samaritano e non ci propone un modello rinnovato di salvezza per opere. Ci dice semplicemente che chiunque ama Dio come insegna Deuteronomio 6, e quindi ha una fede con cui vorrebbe la vita eterna, si abbandona ai suoi insegnamenti, tra i quali è prioritario anche quello di amare. Questo samaritano fa al di là del richiesto: non solo si ferma, ma cura le piaghe. Non solo le cura, ma porta l’uomo in una locanda, non solo paga per lui ma garantisce un periodo di cura più lungo. Questa è la fede a cui Dio ci chiama.

Confesso di essere passato più volte accanto ad uomini sdraiati per terra ed essere proceduto oltre. Correndo nel metrò di Parigi è pieno di persone sdraiate per terra e ognuno di questi ci pongono il problema. Che fare? Fermarsi davanti a tutti questi imploranti, soccorrere tutti, pagare alberghi per tutti? Da un lato è vero che non avremmo i mezzi e che esistono oggi servizi sociali che ieri non esistevano. Come è anche vero che molti di quelli sdraiati per strada non sono persone che hanno subito aggressioni e furti. Sono tutte cose vere, ma attenzione che lo stato che assiste – sacrosanto – rischia di produrre in noi quella mancanza di misericordia che altrettanti freni sociali producevano nel sacerdote e nel levita.

Lasciamo tuttavia i casi estremi: viviamo immersi in reti di relazioni. Nel vicinato, tra i colleghi, nelle amicizie, nelle persone che si incontrano in viaggio, in vacanza o per strada. Sappiamo che sono tutti nostri prossimi, tutti accomunati a noi dal destino di essere umani. Come essere prossimi? Annunciando l’amore e il messaggio del Dio che non va oltre e passa, ma si ferma a soccorrere ogni essere umano perduto.

Potremmo anche rovesciare la domanda del dottore della legge e chiederci: chi è il mio «ferito»?