Soffrire, annunciare, presentare

Colossesi 1: 24-29

Ora sono lieto di soffrire per voi; e quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a favore del suo corpo che è la chiesa. 25 Di questa io sono diventato servitore, secondo l’incarico che Dio mi ha dato per voi di annunciare nella sua totalità la parola di Dio, 26 cioè, il mistero che è stato nascosto per tutti i secoli e per tutte le generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi. 27 Dio ha voluto far loro conoscere quale sia la ricchezza della gloria di questo mistero fra gli stranieri, cioè Cristo in voi, la speranza della gloria, 28 che noi proclamiamo esortando ciascun uomo e ciascun uomo istruendo in ogni sapienza, affinché presentiamo ogni uomo perfetto in Cristo. 29 A questo fine mi affatico, combattendo con la sua forza, che agisce in me con potenza.

Quando abbiamo interrotto i nostri culti per un periodo di vacanza, mi sono detto che era un peccato troncare il capitolo 1 al v. 23 e riprenderlo solo dopo due mesi. Eppure studiando l’ultima parte del capitolo ho trovato che non avrei saputo trovare un miglior passo per ricominciare un nuovo anno ecclesiastico. Potrei sintetizzare questo finale con tre parole: soffrire, annunciare, presentare, che potrebbero essere la nostra agenda per il 2021-22. Le parole di Paolo infatti riguardano la sua attività di missionario, pastore e dottore in favore della chiesa e ci descrivono cosa egli per la chiesa sia pronto a fare, cosa voglia annunciare, e in che modo possa farlo.

La chiesa di Colosse è una chiesa modello, e tutti vorremmo essere un po’ come lei. Costituita da persone che mostrano fede, amore e speranza, e forse turbata da qualche eresia ha necessità di riconoscere il primato di Cristo su ogni altra cosa e la grande potenza della riconciliazione. Ma se è possibile capire queste verità e vedere chiese che funzionano questo è dovuto al fatto che ci sono persone, come Paolo, che sono pronte a soffrire, annunciare e presentare dei credenti “perfetti in Cristo”.

La nostra chiesa ha attraversato un periodo difficile nell’ultimo anno, ha visto delle perdite, forse un po’ di scoraggiamento, una certa stanchezza… Le pandemie non lasciano indifferenti nessuno. Eppure il Signore oggi ci presenta un’agenda ricca chiamando in causa ognuno di noi. Paolo non parla ai colossesi per vantarsi, ma perché tra di loro ognuno sia pronto ad essere imitatore.

  1. Soffrire

Il modo di esprimersi di Paolo oscilla tra la poesia e la teologia più raffinata, con qualche espressione che è necessario chiarire. Si dice lieto di soffrire per i colossesi, e non so quanti di noi colgano la portata di quest’affermazione. Non si è lieti di soffrire, in genere ci si lamenta se si soffre. Se il motivo della sofferenza è bello, come un parto o l’edificazione di una chiesa si potrà essere lieti a cose fatte, non durante la sofferenza. Eppure Paolo si dice lieto di soffrire.

Dichiara inoltre che queste sue sofferenze sono sofferenze che lo avvicinano a Cristo, che vengono vissute in unità con Cristo al punto che “aggiunge alle afflizioni di Cristo ciò che manca”. Espressione complicata che ha sollevato nel corso dei secoli molte interpretazioni. Escludiamo subito che le sofferenze di un uomo possano in qualche modo completare o aggiungersi alla sofferenza sacrificale, espiatoria di Cristo, quella per cui siamo salvati. Questa è esclusivamente opera di Dio e non vi si può aggiungere niente. Eppure ricordiamo che Cristo disse a Paolo quando lo chiamò per la sua conversione: “Perché mi perseguiti?” riferendosi al fatto che Paolo perseguitava dei cristiani, cioè i membri della chiesa, corpo di Cristo. Alcuni studiosi hanno trovato nel pensiero giudaico del periodo di Paolo l’idea che ci fosse un quantitativo di sofferenze del popolo che avrebbe coinciso con quelle del messia e che il completamento avrebbe determinato l’avvento del giorno del Signore. (I Enoch 47:14; Baruch 30:20) È possibile che Paolo alluda a questa credenza. Malgrado la non totale chiarezza dell’espressione possiamo capire che Paolo prova in questa sofferenza per la chiesa una grande vicinanza a Cristo. La gioia di soffrire di cui Parlano anche altri testi del Nuovo Testamento (1 Pietro 4:13, Rm 5:3, At 5,41) non è masochismo cristiano, ma consapevolezza che lo scopo finale è superiore alla sofferenza provata. È la gioia di sentirsi identificati al corpo di Cristo al punto di provare la sofferenza da lui stesso provata. È il piacere di sentirsi partecipi di un progetto più grande, quello dell’edificazione del corpo di Cristo.

Applicazione. Queste affermazioni enunciate ad inizio anno non devono spaventarci ma scuoterci e motivarci. Le parole sofferenza, afflizione, fatica di cui Paolo ci parla non devono essere mostri che scansiamo, ma motivi di gioia. Non ci aspetta un anno di vacanza, di riposo e di divertimento, ma un anno di sofferenze, afflizioni, fatica, che però porteranno frutto. Pensiamo a tutto quello che potremo fare se Dio lo permetterà, a quanto impegno questo richiederà da parte di ognuno di noi, e rallegriamoci perché (At 5) “siamo stati reputati degni di soffrire per lui”! E perché soffrendo siamo quel corpo che fatica ma che cresce.

  1. Annunciare nella totalità

La sofferenza non è mai fine a se stessa e non è una virtù che di per sé fortifica. È bene precisarlo perché molte letture cattoliche, sbagliate, del passo in questione glorificano la sofferenza promettendo gloria per il semplice fatto di aver sofferto. Paolo soffre perché ha in mente un contenuto ben preciso da annunciare che nella lunga frase dei vv. 26-27 rende chiaro con più parole. Si è trattato per molto tempo di un mistero, ma ora è stato rivelato. È un mistero che dà speranza che comporta un grande aumento della gloria di Dio. Dalla lunghezza della frase che Paolo usa capiamo bene che sente il bisogno di usare grandi parole per esprimere una grande verità e trabocca di gioia nel parlare di questo mistero. È pronto a soffrire proprio perché la posta in gioco è alta. Di cosa si tratta dunque? Il mistero è Cristo in voi! E chi sono i “voi”? Sono dei pagani! Quindi delle persone che secondo la mentalità giudaica e malgrado le Scritture esplicite come Isaia 49 erano lontane da Dio, avverse. Questo Cristo che incarna la presenza di Dio in terra, pensato come inavvicinabile, perfetto, appannaggio esclusivo degli ebrei, ora è in voi, nei pagani. Quindi in ogni uomo che si ravvede e che consacra la sua vita a Gesù.

“Cristo in voi” è un’affermazione straordinaria, rivoluzionaria. Si colloca in un mondo in cui si è abituati a pensare ad un Dio che è o in cielo, quindi in grande lontananza o che al massimo manifesta la sua presenza in luoghi speciali, i templi, luoghi che comportano regole, attenzioni, specialisti come i sacerdoti che con molti rituali assicurano un avvicinamento senza troppi rischi ad un Dio che è un po’ minaccioso e un po’ onnipotente. Il grande annuncio di Paolo consiste nel rivelare un Dio che è “in voi” nelle persone che credono!

Applicazione. Forse oggi l’idea di un Dio in voi non è più così strana. Può capitare che molte persone considerino la propria spiritualità come una manifestazione della divinità ed è bene tenere distinto Dio che è in noi dal noi che possiamo al massimo ospitare Dio. Ma il messaggio non cessa di essere attuale. Probabilmente molti si sentono estranei a Dio, gli rimangono indifferenti. Eppure quel Dio vorrebbe essere in loro. Altri si sentono sporchi e colpevoli e non pensano di poter accogliere Dio. Eppure Dio è in loro, se lo accolgono e si convertono. Altri ancora sono troppo pieni di se stessi per pensare di fare posto ad un Dio in loro e lo lasciano tristemente fuori. Ma la fatica di Paolo che vuole essere la nostra, che vorremo esercitare in tutto il 2021-2022 è proprio questa: Dio è in voi! Dio va ad abitare nelle persone che lo vogliono accogliere, non si nasconde né si ritrae. Non c’è bisogno né di templi, né di rituali, ma solo di ascolto di una parola potente che modifica il cuore e l’essere umano.

  1. Presentare (28)

Qual è il fine di questo contenuto per cui Paolo soffre? Presentare ogni uomo perfetto in Cristo Gesù. Con queste frasi Paolo descrive il suo lavoro di missionario che comporta un’attività pastorale unità ad un’attività di insegnamento.

In primo luogo, Paolo esorta. Proclama la presenza di Dio in ogni uomo e questo viene fatto con un’esortazione, una pressione amorevole, perché chi ascolta si renda conto della grandezza di questa affermazione. Possiamo immaginare persone tristi che vengono esortate a tirarsi su dall’idea della presenza di Dio. Persone scoraggiate o smarrite che recuperano una nuova visione della vita, un nuovo sguardo determinato dalla grande notizia: Dio è in noi. Esortare significa passare del tempo a spiegare e non è separato concretamente dalla seconda attività qui indicata: istruire in ogni sapienza. Potremmo forse dire che esortare fa leva sulle emozioni delle persone, sulla loro predisposizione ad aderire ad un contenuto, mentre l’istruzione mira a fare acquisire una saggezza, una capacità di comportarsi in situazioni diverse facendo le scelte giuste. Questo grande lavoro di Paolo questo combattimento ha uno scopo: presentare ogni uomo perfetto in Cristo. Detto così sembra un fine impossibile da raggiungere, visto che non smettiamo di ripetere che nessuno è perfetto e che la perfezione non è di questo mondo. Ci si può domandare se Paolo miri troppo in alto, o se il passo vada capito meglio. Presentare ogni uomo perfetto in Cristo Gesù non significa presentare uomini e donne che rasentano la perfezione. Al contrario significa presentare davanti a Dio degli uomini che ricercano la loro perfezione in Cristo. Questo significa accettare la nostra imperfezione e riconoscere i nostri enormi limiti. Significa dire: “Non siamo perfetti, ma accettiamo che il sangue di Cristo lavi e corregga le nostre imperfezioni”. Essere perfetti in Cristo è il contrario di essere perfetti secondo i nostri canoni di perfezione. Significa confessare la nostra pochezza e abbandonarla in Cristo perché egli stesso la presenti al padre. Allora saremo presentati come perfetti.

Applicazione. È vero che il nostro mondo ripete come uno slogan il detto secondo cui “nessuno è perfetto”, ma è altrettanto vero che per carattere o per cultura il perfezionismo è presente. Compriamo prodotti che vorremmo fossero perfetti e non lo sono mai. Valutiamo tutto, gli acquisti le case, i ristoranti e ognuno ambisce ad avere 5 stelle per presentarsi come perfetto. Il nostro Signore ci riserva uno spazio dove la nostra inevitabile imperfezione è invece perfetta in Cristo, e quindi lo è agli occhi del padre, di cui invochiamo la misericordia.

Conclusione (29)

L’immagine di un uomo come Paolo che soffre, che annuncia, e che riesce a trasformare le vite di tante persone da un lato ci incoraggia come modello, dall’altro ci scoraggia. Molti di noi si stanno dicendo: io non ce la farò mai. Non riuscirò mai ad avere la stessa determinazione, la stessa perseveranza e la stessa resistenza. L’ultimo verso di questo passo ci dà un forte aiuto: non ci sono virtù personali, né aspetti del carattere alla base di quello che Paolo fa per Dio. La forza che si sprigiona dalle sue parole e dalle sue azioni, non è sua! È la forza di Dio che agisce in lui.

Se vogliamo portare avanti il regno e riprendere il nostro frequentarci in modo proficuo, pensiamo che non dobbiamo concentrarci sui nostri sforzi, sul nostro fare di più, ma sulla SUA forza che agisce in noi con potenza.