Quattro domande, quattro aspetti della fede cristiana

Se l’unità del passo della settimana scorsa era difficile da trovare, ma possibile, quella dei versi che leggiamo oggi lo è ancora di più e ingaggia in una sfida interpretativa non facile. Prima ancora di analizzare il passo vorrei rivolgere a tutti 4 domande utili ad avvicinarci a ciò che leggeremo tra breve.

  1. Le vittime di un prete pedofilo riusciranno ad avere ancora fede? (In uno dei casi di abusi sessuali presentati da Gartner, la vittima, in riferimento al sacerdote autore di violenze sessuali nei suoi confronti, testimonia: «Sono arrabbiato con Dio. Nella misura in cui Dio esiste per me, sono arrabbiato con Lui. Quest’uomo ha mandato in frantumi l’idea di un Essere Superiore. Mi ha dimostrato che Dio sbaglia, che Dio non ti protegge o non impedisce che accadano cose brutte. Il fatto che si trattasse di un prete ha provocato un cataclisma. Mi ha insegnato che c’è una menzogna nel mondo. Ho sviluppato a poco a poco un crescente cinismo. A mano a mano che crescevo mettevo da parte la mia pietà, iniziavo a odiare gli odori, i suoni, le atmosfere della Chiesa: l’incenso, i colletti, le tonache. La mia spiritualità e capacità di credere in un potere superiore sono state distrutte»)
  2. Potete pensare ad una cosa che avete perdonato e ad una che non avete perdonato?
  3. Si sentono spesso espressione come: “avere una grande fede”, “non sono un uomo di fede ed in effetti non ho qualità particolari”. Ha senso parlare di grande o piccola fede?
  4. E’ giusto dare dei premi ai figli perché vadano bene a scuola?

 

Procediamo ad analizzare il passo partendo da ciò che è evidente:

 

Gesù disse ai suoi discepoli. Come una cinepresa il vangelo ci mette in evidenza i destinatari di quello che dice, e dopo avere parlato ai farisei Gesù torna ai discepoli, probabilmente per un riassunto di quanto detto in modo più ampio in parabole.

 

  1. Scandalizzare.

Per quanto Gesù si rivolga ai discepoli e non ai farisei questo passo è contrassegnato da numerosi richiami all’attenzione ed espressioni come: “Guai a voi!” I farisei sono stati ampiamente redarguiti nei passi precedenti per il loro comportamento falsamente religioso, ma i discepoli vengono allertati per evitare di diventare come loro. Per gli uni come per gli altri deve essere chiaro un concetto: chi si reclama uomo di fede, uomo credente, cristiano, pio giudeo o altro dà un’immagine del popolo di cui fa parte. Può piacere o no, ma è un funzionamento tipico della comunicazione: se un marocchino commette un crimine, facilmente vengono accusati tutti i marocchini. Se i terroristi di Parigi mentre uccidano gridano Allah Akbar, l’intero Islam viene posto in cattiva luce, compresi quelli che ripudiano la violenza. Nella domanda iniziale ho scelto un esempio estremo come quello del prete pedofilo per far capire come lo scandalo dato da una classe di persone che rappresenta in molto immaginario mondiale la fede o persino il Cristo stesso, quando dà scandalo fa un danno enorme non solo alle vittime, ma anche a tutto il resto del popolo che rappresenta.

Senza arrivare a questi estremi come chiesa dobbiamo avere la consapevolezza della difficoltà della sfida: “è impossibile che non accadano scandali”. Purtroppo ce ne saranno, e noi cristiani stessi nostro malgrado ne saremmo talora autori, talora complici, talora semplici osservatori che non hanno detto niente o non abbastanza. Durante il fascismo ed il nazismo il problema non furono tanto gli atteggiamenti collaborazionisti da parte delle chiese con lo stato, quanto il loro silenzio…Da questo il nostro sforzo di vegliare, di stare attenti a ciò che trasmettiamo in tutto ciò che facciamo. I passi precedenti hanno visto atteggiamenti scandalosi: chi ripudia la propria moglie per pruriti personali, che è ricco ed indifferente ai poveri, chi è attaccato al denaro… Non si tratta di piaghe che rovinano solo chi le pratica: la vita stessa ha un’eco che si trasmette. Potremmo persino dire che ogni uomo che fa il male, essendo ogni uomo ad immagine di Dio, rilancia e ribadisce il problema del male, guastando l’immagine di Dio. Il male commesso, se scandalizza dei “piccoli”, cioè dei credenti potenziali o in atto, è ancora peggiore perché preclude le possibilità di soluzione di ogni male, cioè la via verso Dio, unico superamento del male, ed unica reale soluzione al male. Ecco perché chi la chiude fa meglio a mettersi una macina al collo…

 

  1. Il perdono

Prima di lanciarsi in mare con una macina al collo c’è però uno spazio di possibilità. Ecco perché nel passo immediatamente successivo e dopo un ulteriore richiamo all’attenzione, c’è un appello alla riprensione e al perdono. In modo molto semplice ed efficace Gesù presenta due strumenti che in una comunità, ma non solo, dovrebbero permettere non solo di evitare gli scandali, ma anche di rimediare laddove avvengano, visto che è impossibile che avvengano. Certo sono strumenti da maneggiare con cura, perché entrambi si muovono tra due estremi.

La riprensione tra silenzio e invettiva. Non è facile andare dalle persone che ci hanno offeso a parlare chiaramente dicendo cosa ci hanno fatto di male, o perché un certo loro atteggiamento ci ha offesi, quindi spesso si opta per lasciare perdere, aspettando fatalisticamente che in qualche modo la riprensione arrivi dall’alto o dalle circostanze della vita. Non è a questo che invita questo passo, che nella calma di un’atmosfera fraterna invita a riprendere. Non credo per altro che il termine “fratello” qui implichi necessariamente l’appartenenza ad una stessa comunità di fede, ma semplicemente mi pare interpretabile in senso umano, fratello in quanto appartenente del genere umano. L’altro estremo è quello che scagliarsi con violenza sfogandosi dei propri rancori contro la persona che ci ha offesi, pensando che con questo faremo chiarezza. È anche questo un travisamento della riprensione che invece è lucida e pacata, perché mira non a vendicarsi o ad umiliare ma ad un ristabilimento di un rapporto.

Il perdono tra oblio e rabbia eterna. Anche il perdono è complicato da maneggiare. Molte persone in apparenza perdonano facilmente, o almeno sembra. A ben guardare quello che passa per perdono talvolta è indifferenza o superficialità derivante dal non aver dato molto peso ad una relazione, pertanto quel che non interessa è difficile che ferisca. Il perdono di cui si parla qui prevede che chi lo richiede parli, invochi il perdono, anche 7 volte al giorno o 7 volte 7 come è scritto altrove, purché verbalizzi i suoi torti e dica chiaramente che è pentito. Potremmo anche dire che molti pentimenti non sono sinceri, ma l’incoraggiamento stringente del passo sta nel chiederci di lasciare sempre una porta aperta alla possibilità di ravvedimento. Altrimenti rimane un risentimento, un rancore eterno che ci rovinano, e che contraddicono il vangelo stesso, buona novella di un Dio pronto a perdonare ognuno di noi.

Un unico esempio biblico può risultare interessante: i genitori di Stefano (atti7) e di tutti quei cristiani che Saulo di Tarso uccise e portò in prigione, saranno riusciti a perdonare Saulo? Il libro degli Atti ci racconta di queste difficoltà evidenti. Le vittime della pedofilia ed i loro genitori, potranno perdonare i carnefici se chiedono scusa? Probabilmente dobbiamo pensare che non tutti i perdoni possano avere conseguenze uguali e non si deve necessariamente credere che dato il perdono si debba poi vivere insieme ridendo e scherzando. L’invito e gli esempio che abbiamo nel vangelo sono però ad avere un cuore pronto a qualsiasi tipo di perdono, che implica ovviamente uno sforzo, una rinuncia al proprio desiderio di vendetta e risentimento e non per forza una frequentazione pacifica. Forse i parenti delle vittime di Saulo non sono poi andati a cena con lui, ma avranno cercato di rinunciare alla loro rabbia. Forse i familiari di Stefano si saranno rallegrati nel vedere che la preghiera di Stefano lapidato veniva esaudita (Non imputare loro quello che fanno, e di fatto Saulo viene perdonato per quel peccato.

Due strumenti delicati e potenti per una vita riconciliata.

 

  1. La fede ed i sicomori.

 

Dopo due sfide così complicate come quella di evitare scandali e di riprendere e perdonare la domanda dei discepoli risulta quasi scontata: “Aumentaci la fede!” Come si fa a riuscire a fare cose simili se non per fede?

Sono convinto che tanti di noi non si sentono affatto pronti ad evitare ogni tipo di scandalo e che non si sentono pronti a riprendere e perdonare offese atroci rivolte contro di loro: uccisione dei propri figli o famigliari, frodi, inganni ecc. Molti per questa loro presunta incapacità di perdonare potrebbero fasciarsi la testa prima di essersela rotta, reputandosi credenti incapaci e mancanti, indegni del nome che portano. Credo che la risposta a questi dubbi, per altro giustificabili, sia in queste parole: Signore aumentaci la fede! E’ singolare la quantificazione della fede che i discepoli fanno e credo che la risposta di Gesù sia una sorta di ironia mirante a dire che la fede non è né piccola né grande, o c’è o non c’è; e se c’è è in grado di fare cose straordinarie! Un seme di senape è niente in confronto ad un sicomoro che è un bell’albero solidamente radicato nel terreno. Grazie a Dio questa non è che una metafora, e spero che mai i credenti usino la fede per strappare sicomori o spostare montagne come è scritto altrove, pena l’essere incriminati di disastri ambientali. Ma sono immagini che devono fare capire la forza straordinaria della fede, capace di sovvertire la normalità del mondo. Il mondo ci sembra un qualcosa che va da sé, il cui avanzamento non si può modificare, assolutamente lontano dalle nostre volontà. I discepoli, che erano solo 12, hanno dato vita ad un movimento che ha cambiato molto della mentalità del tempo in cui vivevano. La fede invisibile di pochi è in grado di determinare grandi cambiamenti, non lontani da quelli che abbiamo visto nei passi letti: di permettere a padri di rallegrarsi di figli ingrati, a pecore di essere ritrovate, a malati di guarire? A peccati di essere personati? A vite di essere cambiate?

 

  1. La fede della normalità.

C’è una conclusione a questi insegnamenti che si impone. Ammesso che qualcuno riesca a non dare scandali, a riprendere un fratello senza sfogarsi, a perdonare 7 volte al giorno, ad esercitare la fede in tanti ambiti determinando grossi cambiamenti, non ci sarà il rischio che un qualche merito senta di averlo? Il rischio c’è e la domanda che ho posto all’inizio mi è utile a spiegare. Ringrazio molto i miei genitori perché non mi hanno mai premiato per un successo scolastico. Mi stupiva molto vedere i miei amici che venivano premiati con soldi o regali se prendevano dei bei voti perché l’insegnamento che ricevevo in casa era che andare bene a scuola non era un merito, ma un dovere. Non era opzionale studiare e prendere dei bei voti, ma doveroso, e soprattutto importante per me, non per loro. Il dovere quindi non si premia per il semplice motivo che deve diventare qualcosa di automatico, di naturale. Ecco allora che questa nota finale di Gesù che ci invita ad essere degli umili servitori ci rivela che rispetto all’infinito potenziale della fede, ciò che pratichiamo non dipende dalla nostra bravura, ma dalla grazia di praticare che ci è stata fatta. Non si viene davanti a Dio rivendicando dei meriti, o vantando comportamenti lodevoli. Si viene davanti a Dio umilmente, sapendo di non essere altro che humus, terra impastata che prende un senso nelle mani del creatore e vita nelle mani del redentore, ma che resta sostanzialmente terra. In questa terra possono nascere i fiori dell’evitare scandali, del perdono, e di tutte le belle cose che la fede porta, purché la terra sia consapevole e felice di essere tale.