Quale elezione?

200395417-001

Commento a I Tessalonicesi 1, 4-10. Per leggere il testo clicca qui:

In tutte le democrazie periodicamente vengono fatte delle «elezioni», delle consultazioni per cui i cittadini scelgono un assemblea che li governerà. Sembrerà strano ma anche le chiese sono assemblee formate da un processo di elezione, con la grande differenza che questa elezione non viene fatta arbitrariamente da uomini, ma direttamente da Dio. Il termine stesso «chiesa» significa gruppo di persone «chiamate», «scelte», «elette» ed il passo che oggi leggiamo comincia proprio con un termine imparentato con il termine «chiesa»: «chiamata», o «elezione».

Noi conosciamo fratelli amati da Dio la vostra «elezione». Il termine in sé ci ricorda che Dio è l’autore della nostra salvezza e che benché noi abbiamo la grande responsabilità di accettare, di «candidarci», tutto parte da Lui. Ciò che sta a cuore a Paolo in questo passo è sottolineare che l’elezione dei Tessalonicesi, è autentica: sono una chiesa vera, che pratica un autentico cristianesimo e questo per alcuni motivi ben precisi. L’epistola ai Tessalonicesi è probabilmente la prima scritta da Paolo ed a distanza di anni troviamo in essa preziose istruzioni che creare chiese che abbiano la stessa caratteristica di autenticità. È importante che i motivi che rendono questa tale siano anche i nostri.

1. La qualità dell’elezione

L’elezione o chiamata dei Tessalonicesi è autentica e reale perché l’annuncio non è stato fatto di parole soltanto, ma con potenza, e con piena convinzione. In questa chiamata molto è dipeso dalla qualità dell’annuncio fatto da Paolo e dai suoi compagni di missione che non hanno semplicemente detto delle parole. Molti messaggi sono unicamente fatti di parole, mirano a convincere con abilità retorica o con argomenti pertinenti. Paolo pensa probabilmente alle filosofie del suo tempo, o ai culti misterici nell’ambito dei quali la parola aveva una valenza quasi magica, e bastava proferirla perché avesse efficacia. Noi possiamo pensare alla forza che hanno certi slogan che hanno un gran potere sono perché sono ben pensati, e permettono ad abili comunicatori di vincere le elezioni. O ancora possiamo pensare a come oggi per chiunque voglia farsi scegliere nel mondo della politica sia importante essere un buon comunicatore, al punto che il modo in cui dice le cose diventa più importante del contenuto e dei programmi. Paolo non disprezza certo la parola, e le parole, ma insiste sul fatto che queste sono accompagnate da altro: oltre alle parole, per lo più vuote, la predicazione di Paolo ha tre caratteristiche:

  • Potenza. Una parola potente è una parola che spinge all’azione e che è accompagnata da azione potente. La predicazione di Gesù fu ovunque accompagnata da opere potenti, da un’implicazione di tutta la persona di chi chiama al servizio di chi è chiamato. Non penso solo ai miracoli, ma al fatto che Gesù ha dato per noi la sua stessa vita. Una predicazione vera è una predicazione che oltre a parlare ha un impatto sulla vita concreta, forse fatta di aiuto, di soccorso, di azioni pratiche di servizio inseparabili dalla parola. Nelle chiese contemporanee si osserva di quanto sia importante accompagnare l’annuncio ad azioni concrete di aiuto, che sono appunto potenza, e la sfida per la chiesa è proprio quella di non separare le parole che spiegano chiaramente la salvezza, da azioni potenti che intervengano nella vita di chi ascolta.

  • Con lo Spirito Santo. Questa potenza che accompagna le parole non può che essere accompagnata dall’azione soprannaturale dello Spirito Santo che come leggiamo altrove convince di peccato, e converte i cuori. Paolo è convinto che la sua predicazione presso i Tessalonicesi è stata autentica perché contrassegnata dall’autorità dello Spirito Santo, Dio stesso negli uomini, che ha reso l’intera operazione qualcosa di non solamente umano.

  • Con gran convinzione. Questo semplice termine, accompagnato alle descrizioni che leggiamo nel libro degli atti sulla fondazione della chiesa di Tessalonica, ci presenta il gruppo missionario di Paolo, Silvano e Timoteo come fortemente convinto di ciò che stava facendo, e questa convinzione dava forza al suo messaggio. Non poteva essere altrimenti perché Paolo aveva ricevuto un vangelo potente, che gli aveva cambiato la vita.

Mi rendo conto di quanto sia importante che queste tre caratteristiche contraddistinguano anche la nostra predicazione. Pochi di noi conoscono le gioie di Paolo a Tessalonica, perché nel mondo secolarizzato e prevalentemente materialista in cui viviamo è raro vedere gruppi numerosi che recepiscono il messaggio del vangelo come i tessalonicesi. Questo ci spinge a rivedere ancora di più la misura in cui la nostra predicazione è accompagnata da potenza, la misura in cui in essa invochiamo la presenza dello Spirito Santo, e la misura in cui, nonostante la freddezza che per lo più accoglie la proclamazione del vangelo, la nostra convinzione si fa sentire.

2. La risposta all’elezione

La qualità dell’elezione dei Tessalonicesi non può dipendere unicamente dall’annuncio. A questo deve seguire una risposta. I Tessalonicesi sono diventati imitatori di Paolo e di Dio. È importante notare che Paolo aggiunge di Dio, proprio perché non sta proponendo se stesso come modello assoluto: chiunque predica deve essere stato trasformato dal vangelo e diventare il modello visibile di un Dio che è invisibile. Non si può imitare Dio non vedendolo, mentre chi annuncia è visibile. Non si tratta neppure di imitare un uomo tout court, ma di seguire lo stesso cammino di Paolo nel convertirsi a Dio e nel rispondere positivamente alla chiamata di Dio.

La forza di questo imitare Dio Paolo la vede in due aspetti della risposta dei tessalonicesi:

  • Hanno ricevuto la parola in mezzo a molte sofferenze con la gioia che dà lo Spirito. Nonostante abbiano patito delle sofferenze, che non sappiamo quali siano ma possiamo immaginare essere quelle legate alla persecuzione, le hanno superate con la gioia che dà lo Spirito. Ricordiamoci che Paolo è dovuto fuggire da Tessalonica mentre i giudei della sinagoga a cui aveva predicato avevano messo in subbuglio la città, accusando Giasone, capo della sinagoga, e altri fratelli, ed è probabile che dopo essere stati rilasciati la voglia di persecuzione non si sia fermata. Essere capaci di rallegrarsi nella sofferenza provocata dall’accettazione del vangelo, avere la forza di andare avanti, è un segno chiaro dell’elezione. È la prova che in gioco non c’è una caratteristica umana, ma la forza e la gioia che vengono dallo Spirito Santo. Oggi riceviamo spesso notizie da parte delle chiese perseguitate, grazie a missioni come «Porte Aperte» che ci informano su come molte chiese vadano avanti in paesi in cui il vangelo è esplicitamente proibito. Mi colpisce sempre vedere come queste chiese abbiano una grande forza e convinzione proprio in mezzo alla persecuzione. Ultimamente ho letto di cristiani in Egitto duramente perseguitati che sono riusciti ad esercitare il perdono nei confronti dei loro assassini. Non sono moti dell’animo umani. È necessaria la gioia che proviene dallo Spirito Santo per poter resistere e andare avanti.

  • Un secondo segno comprova la veracità della risposta dei tessalonicesi: sono diventati a loro volta un modello per gli altri. La loro fama ha travalicato i confini della Macedonia e dell’Acaia e si è sparsa in ogni luogo. Gli imitatori di Paolo e di Dio sono a loro volta diventati il modello per altri. Credo non ci sia gioia più grande per una chiesa. Si può parlare con le parole, unendole a potenza. Si può essere esempi viventi che parlano e che spingono altri ad agire. I Tessalonicesi sono stati questo, un modello di chiesa che non si è inorgoglito, ma è servita per far crescere altri. Il mio sogno è quello che ogni chiesa ad esempio della nostra città, possa essere un modello per le altre e che ognuna abbia qualche verità da trasmettere alle altre nel suo essere modello da imitare.

3. Il contenuto dell’elezione

Questa elezione, provenuta da un annuncio speciale e da una risposta adeguata ha un contenuto che la rende tale.

Dagli idoli a Dio. Primo è una vera e propria conversione. Probabilmente ci dà indicazione sul fatto che in gran parte i tessalonicesi provenivano dal paganesimo degli idoli, e si sono convertiti al Dio vivente e vero. Ogni elezione reale comporta un cambiamento di padrone, perché nell’ottica biblica, non esiste una vita autonoma che sceglie da sola: si è sempre schiavi di qualcuno che si serve: o gli idoli o Dio. Questi tessalonicesi hanno lasciato un mondo pagano fatto di rituali, di miti, di leggende che non trasformavano la vita in una vita nuova, rinnovata dal vangelo, riconciliata con Dio e fatta di quella fede, speranza ed amore, che Paolo ha menzionato all’inizio della lettera. Noi oggi ci convertiamo da altri idoli: qualcuno ha bisogno di convertirsi dall’idolo del denaro, qualcun altro da quello del lavoro, qualcun altro da quello del sesso, qualcun altro dalla droga. C’è chi ha fatto un idolo di una persona, un fidanzato, un marito, o dei figli. Ognuno ha cercato altri maestri che guidano la sua vita, ma il vangelo di Cristo ci chiama a convertirci da questi idoli che rendono schiavi al Dio vivente e vero, che ci rimette in un sano rapporto con tutte le realtà menzionate senza che esse divengano idoli.

Aspettare Gesù. La vita dei Tessalonicesi ha cambiato prospettiva. Non sappiamo cosa fosse prima, ma adesso è un’attesa. Un’attesa del ritorno di Gesù, risuscitato dai morti, atteso come liberatore e non come giudice. In una frase Paolo condensa un atteggiamento di vita che fa la differenza rispetto a tanti altri stili di vita. Molte persone vivono la vita con una gran paura della morte, forse per un senso di colpa che portano dentro di loro, forse per l’ignoto che inevitabilmente la morte o il futuro riservano. Altri sono riusciti ad esorcizzare la paura della morte, rimuovendo una realtà: quella dell’ira di Dio. Ho sentito ultimamente dire di un ateo che espresso la volontà di avere un funerale fatto di una festa con ottimi cibi, vini e musica, e un amico di questa persona raccontava di come la moglie disperata si affaticava nell’organizzare questa festa. C’è qualcosa di artificiale nel voler esorcizzare la morte o un orizzonte futuro di giudizio vanificandone la portata e il vangelo ci racconta chiaramente di un’ira di Dio rispetto ad un mondo che ha servito idoli anziché il Dio vivente e vero.

La prospettiva dei tessalonicesi è diversa. Aspettano con tranquillità e convinzione il ritorno del Figlio Gesù, convinti che la vita non finisca in una festa né evapori nell’ignoto: si sono preparati ad incontrare il Signore è sono liberi dalla sua ira, dal suo giudizio, non lo vedono più come una minaccia, ma come una gioia. Hanno capito la più grande delle realtà: Gesù Cristo è venuto per salvare! Ha dato la sua vita per ognuno di noi, permettendo la futura resurrezione di chi, come i tessalonicesi, si converte dagli idoli a Dio, per conoscere la verità e la vita, del Dio vivente e vero. Questa è l’unica prospettiva di vita possibile e proponibile. La vita dei Tessalonicesi è una vita cambiata per un’elezione. Tu come rispondi alla chiamata di Dio?