Perché il risorto se ne è andato? Da Giovanni 14

Abbiamo da poco finito di festeggiare la Pasqua ricordando che Gesù, tra le tante cose straordinarie che ha fatto, ne ha fatta una che le supera tutte e che qualifica la sua unicità: è risorto. Io ho invitato molti amici e conoscenti a valutare bene l’importanza di una cosa straordinaria come la resurrezione, invitando a considerare che risorgere è possibile a chi crede e che una vita che preclude l’orizzonte della resurrezione non ha senso.

Sorge però un’obiezione abbastanza naturale: perché Gesù una volta risorto se ne è andato di nuovo? Perché non è rimasto sulla terra, testimoniando di persona e nei secoli della sua resurrezione, turando la bocca a qualsiasi oppositore e scettico con la sua semplice presenza? Perché risorgere e poi sparire, indebolendo la forza di questa resurrezione? Sono domande enormi, un po’ simili a quelle che interrogano il perché Dio abbia scelto di creare il mondo, o perché ci sia il male, o perché l’universo sia così grande, e che inevitabilmente possono avere solo risposte parziali. Tuttavia trovo nel capitolo 14 del vangelo di Giovanni una serie di affermazioni da parte di Gesù che danno risposte proprio a simili interrogativi e che, soprattutto, ci fanno percepire questa sua assenza non come un motivo di sofferenza, ma come un motivo di gioia. Il passo di Giovanni 14 che leggeremo comincia infatti dicendo: “Il vostro cuore non sia turbato…”

Leggere Giovanni 14

  1. Se n’è andato perché ha da fare: costruire case (1-4)

Abbiamo spesso un’immagine della casa del Padre cielo vaga e confusa. Potremmo identificarla con il cielo, e senza voler pensare di avere certezze assolute su come sia il cielo, e preservando quel tanto di misterioso che è giusto del cielo rimanga, è bene affidarsi alla certezza delle parole di Gesù. Il cielo non è un posto calmo, fermo in cui non succede niente. Non è una noia, non è un continuo di cori angelici, non è nessuna di quelle rappresentazioni che spesso la nostra cultura ci ha proposto. Il cielo, secondo questo passo, è un luogo di costruzione. È lì che Gesù si dà da fare per noi, costruendo delle case.

Non so chi è come me, ma io amo molto le case, e mi piace arredarle. Credo sia molto bello stare in un posto che ci piace, in cui ci sentiamo a nostro agio ed in cui amiamo accogliere altre persone. Ho anche lavorato in un negozio di lampade dove mia cugina faceva l’arredatrice, e mi ha sempre colpito vedere come le persone che chiedevano consigli si affidavano totalmente a lei, quasi fosse una consulente psicologica.

Gesù sta facendo questo per noi in cielo, ed è per questo che dice di essere andato via. Dovremmo pensare il cielo come ad un posto in cui avvengono molte cose in parallelo a quello che succede qui sulla terra, un posto di continua attività in cui Dio si dà da fare per noi. Per anni gli uomini si sono sforzati di costruire dei templi che vorrebbero essere delle case per rinchiuderci dentro Dio – che rifiuta invece di starci – mentre Dio si dà da fare per preparare una casa per noi.

Pensiamo un attimo a quanto sia importante una casa: è il luogo in cui ritroviamo noi stessi, in cui abbiamo rifugio, protezione, ma anche riposo, divertimento, relazioni con gli altri. Gesù afferma che sta preparando un luogo per accogliere coloro che credono in lui un luogo dove c’è tutto questo. Potremmo chiederci che bisogno ci sia di preparare il cielo, eppure Gesù parla proprio di questo. Il cielo non è un posto scontato, pronto e sempre uguale a sé: è un luogo che Dio prepara nel tempo. Come ha creato il mondo in un tempo e non in un secondo così prepara un luogo per accogliere e questo gli costa tempo. Se è costato tempo creare, costa tempo anche ricreare il mondo distrutto.

Applicazione. Apprezziamo l’assenza di Gesù con la stessa gioia con cui guardiamo una rivista di arredamento, con dei begli interni e delle belle case, pensando che Dio ne sta preparando proprio per chi non ha case piacevoli, ma si converte al Dio che promette anche case.

  1. Se n’è andato per farci conoscere la via: credere o vedere? (5-14)

Tommaso pone una domanda onesta, ma che al contempo rivela che non è chiarissimo di quale luogo Gesù stia parlando. Sembra parli di un luogo fisico di cui vorrebbe sapere l’indirizzo. Ma Gesù risponde che la via per quel luogo è lui. Il luogo della casa del Padre diventa il Padre stesso: “Nessuno viene al Padre” e dopo l’intervento di Filippo la discussione è incentrata sul fatto di vedere, conoscere, credere che Padre e Figlio sono l’uno nell’altro e che operano insieme e dicono le stesse cose. Cerchiamo di spiegarci: il problema posto da Tommaso è:

  • Come andare al padre? E Gesù risponde: attraverso di me, la Via!
  • Ma Filippo dice: vorremmo vedere il Padre! (Forse pensa alle teofanie dell’Antico testamento, Mosè ed il pruno ardente, Elia ed il suono sottile, l’angelo con cui lotta Giacobbe… ). Ma Gesù dice: se hai visto me hai visto il padre!
  • Il problema è che pur vedendo non credono ancora, e quindi non conoscono ancora pienamente. Sono in un cammino per conoscere meglio, ma la vista non garantisce niente.

Torniamo quindi al nostro problema: perché Gesù se ne è andato? Probabilmente ha scelto non di farsi semplicemente vedere ma ha lasciato una serie di insegnamenti, di parole, e di opere di cui abbiamo testimonianza, rispetto a cui l’umanità è chiamata a credere. Credere cosa: che Il Figlio e il Padre sono uno. Credere anche grazie ad opere che verranno fatte anche da altri che hanno creduto e saranno persino maggiori (12).

Facciamo un piccolo ragionamento paradossale, che spero non sia fuorviante ma aiuti a capire. Immaginiamo il contrario di ciò che è successo, cioè un Gesù che rimane sulla terra e costruisce il suo quartier generale in qualche posto. A Gerusalemme? A Roma? A Tokyo? Si scatenerebbero grandi movimenti di folle che vogliono andare a vedere chi sia questo uomo che non muore mai. Eppure, come abbiamo visto qui, vedere, e vedere anche opere potenti, non obbliga a credere e si può vedere Gesù fisicamente senza riconoscere la sua identità col padre e senza accettare il suo messaggio. Perciò Gesù ha preferito andarsene, lasciando una sorta di sfida a non fermarsi a ciò che si vede, ma chiedendo al Padre nel nome del Figlio di farsi conoscere, che è più di vedere. Evitando continui assembramenti e viaggi della speranza nell’ipotetica reggia di Gesù. Applicazione. Ovunque in ogni luogo, ogni uomo può gridare al Padre nel nome di Gesù, chiedendo le stesse cose che hanno chiesto Filippo e Tommaso: dove sei? Mostraci il padre! Il padre è nelle parole lasciate da quel Gesù di cui le Scritture rendono testimonianza. Dobbiamo quindi imparare a conoscere il padre e e il figlio senza vederli, valutando il privilegio che abbiamo.

  1. Se n’è andato per farci conoscere lo Spirito: Dio trino (15-27)

Nel suo discorso sulla sua identità col Padre Gesù introduce una terza persona che chiama Consolatore (16), Spirito di Verità (17) e Spirito Santo (26). Viene ricevuto da chi ama Gesù e osserva i suoi comandamenti e dimora continuamente in essi. Il mondo non lo conosce naturalmente, ma chi ama Dio riceverà da lui questo Spirito Santo, che è la dimora del padre. È la presenza di Dio stesso in coloro che credono. E rimane presente anche dopo che Gesù se ne sarà andato (il mondo non mi vedrà più). Ha la funzione di insegnare, ricordando le parole dette da Gesù e di dare pace.

Questo forse è uno dei motivi più importanti per cui il Figlio ha scelto di andarsene. Non va via ma lascia in chi crede uno Spirito che permette di andare molto al di là del vedere qualcosa. È lo Spirito di verità, presenza del Padre e del Figlio nel credente.

Ultimamente mi è capitato di occuparmi dell’elaborazione della dottrina della Trinità. Non è un termine che troviamo nella Bibbia, ma sin dai primi secoli i discepoli di Gesù si sono posti il problema di capire come Dio potesse essere perfettamente divino, ma anche umano, ed anche presente negli uomini. Sono domande che nascono proprio da passi come questo in cui Gesù afferma una forte unità tra Padre, Figlio, Spirito e che la mente umana in qualche modo cerca di capire. È un unità sostanziale nonostante una diversità. Non voglio qui dilungarmi, ma dico solo che è sorprendente vedere come per circa 3 o 4 secoli i pensatori cristiani si siano dati da fare per trovare parole, formule e termini per cercare di rendere chiaro alla mente quale sia la natura di un Dio che, diversamente dalle divinità greche, è perfettamente Dio, perfettamente uomo, perfettamente Spirito.

Credo quindi che un ulteriore motivo per il quale Gesù abbia scelto di andarsene è che questa sua partenza permette di apprezzare e capire questo mistero di un Dio uno e trino, di cui abbiamo anche percezione nella nostra pelle. Credere significa appunto ricevere lo Spirito Santo e chi l’ha ricevuto può dire che lo si sente quasi a pelle! Forse la presenza di Gesù ci avrebbe accontentato nella sua concretezza. Dio ha preferito manifestarsi in modo universale con uno Spirito Santo che scende nel cuore di chi crede.

Applicazione: pensare ad un Dio trino, non è un qualcosa di astratto. Pensare all’eguaglianza tra le persone significa pensare rapporti egalitari tra uomini. Pensare ad un Dio trino significa pensare ad un Dio che non è staccato dalla realtà, ma presente. Sentiamo questa dimora del padre e del figlio in noi?

  1. Se n’è andato per tornare ad essere uguale al padre. (28-31)

C’è un ultimo motivo su cui questo passo è piuttosto esplicito: “Avete udito che vi ho detto: io me ne vado e torno da voi: se voi mi amaste vi rallegrereste che io vada al padre, perché il padre è maggiore di me” (28). Non solo non dobbiamo lamentarci se Gesù decide di andarsene, ma addirittura rallegrarcene, altrimenti non lo amiamo. Ci sono diverse affermazioni fatte anche solo in questo passo da Gesù su lui stesso e sul padre che non è facile mettere insieme:

Diversità Uguaglianza
Abbiate fede in Dio e anche in me (1) Chi ha visto me ha visto il padre (9)
Nessuno viene al padre se non per mezzo di me (6) Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete e l’avete visto (7)
Io pregherò il padre ed egli vi darà un altro consolatore (16) Io sono nel Padre e il Padre è in me. Il padre che dimora in me fa le opere sue (10)
Il padre è maggiore di me (28). Io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi (20)

Quest’ultimo verso è forse uno di quelli che ha fatto colare più inchiostro proprio perché sembra sottolineare una diversità di importanza tra Padre e Figlio. È stata definita subordinazione. In effetti se pensiamo alla scelta di Dio di incarnarsi, di accettare di farsi uomo questo implica, limitatamente al tempo che Gesù passa sulla terra, una forma di sottomissione, di subordinazione al Padre. Ma questa finisce nel momento in cui Gesù torna al padre. Ecco perché Gesù ci invita a rallegrarci se lui va al padre: finisce la condizione per cui egli è inferiore al padre, e torna ad essere uguale. Il Gesù Risorto è quello a cui ora “ogni potere è stato dato sul cielo e sulla terra” (Mt 28,18).

Ci sembrerà strano ma ciò che Gesù fa come Risorto e seduto alla destra del Padre è più di quello che potrebbe fare sulla terra. Anche lessicalmente c’è un fatto singolare: Gesù non dice mai: “torno al padre”. Dice “torno, o ritorno”, quando parla della sua resurrezione o della sua seconda venuta sulla terra, ma se parla di andare dal padre, dice sempre: “vado”. Si può inferire che per Gesù andare dal padre non è un semplice ritorno a casa, ma il completamento di una missione necessaria, per cui ciò che sarà dopo essere stato sulla terra lo rende ancora più uguale al padre. Insieme hanno fatto la creazione; insieme operano per la nuova creazione.

Perché quindi il risorto se ne è andato? Perché la sua missione non finiva qui. Dopo essere morto per noi e aver aperto le porte del cielo, indica la via futura di salvezza per chiunque crede e dalla posizione in cui è regna sul mondo. Non vuole limitarsi a regnare politicamente sul mondo, cosa che lascia fare agli uomini, ma regna dall’alto, direzione in cui ci invita a guardare.