Parola di uomini o parola di Dio?

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Ognuno di noi riceve quotidianamente moltissimi messaggi. Messaggi fatti di informazioni più o meno serie, moltiplicati oggi da moltissimi canali sia di informazione che di comunicazione, (ogni tanto mi diverto a contare che comunichiamo su 6 canali diversi: sms, whatsapp, e-mail, messaggi di fb, telefono normale, telefono skype, ed altri, e che ci informiamo su altrettanti: radio, televisione, giornali, giornali on line, notizie di motori di ricerca, ecc) ed inevitabilmente il nostro cervello filtra. Deve decidere cosa è importante tenere e cosa buttare, tutto non può tenere.

Sorprendentemente il passo dall’epistola ai Tessalonicesi che leggiamo oggi ci parla di un qualche tipo di filtro che usiamo nell’ascoltare un messaggio e delle conseguenze che questo filtro ha.

1. Parola di uomini o parola di Dio?

Paolo dice:  Per questa ragione anche noi ringraziamo sempre Dio: perché quando riceveste da noi la parola della predicazione di Dio, voi l’accettaste non come parola di uomini, ma, quale essa è veramente, come parola di Dio, la quale opera efficacemente in voi che credete.

La parola della predicazione apostolica di Paolo è stata una delle tante parole che i tessalonicesi ricevevano, un messaggio tra gli altri. Ma il filtro applicato dai Tessalonicesi ha permesso loro non solo di non scartarla, ma di considerarla come una parola speciale: non parola umana, ma parola di Dio. “Parola di Dio” è una parola grossa. Nelle nostre chiese la associamo direttamente alle Scrittura, che riteniamo interamente Parola di Dio, ma qui ci rendiamo conto che la Parola di Dio non è limitata alla Scrittura. La predicazione del vangelo fatta da Paolo e dai suoi amici, in un momento in cui non esisteva ancora il Nuovo Testamento, e portando un messaggio profetico da parte di Dio è pienamente Parola di Dio. Ed i Tessalonicesi che si convertono la recepiscono come tale. Questo ha per loro delle conseguenze straordinarie, perché questa parola cambia loro la vita, permettendo loro ad esempio di non rispondere con li male alle persecuzioni, ma soffrendo in silenzio. Paolo dice che ha operato efficacemente e dà questo esempio, ma credo sia fondamentale capire questo: possiamo scartare tanti messaggi, possiamo selezionare le informazioni, ma ci sono messaggi chiari che ci arrivano da Dio. Possono essere le parole fraterne che sentiamo da qualcuno come consigli, possono essere le predicazioni che ascoltiamo in chiesa, possono essere libri che leggiamo: ogni tanto Dio parla in modo molto specifico ed ognuno di noi se ne rende ben conto. Quanto non ero credente e non conoscevo Dio, alcuni fratelli mi parlarono del Signore: riconobbi chiaramente dalle loro parole la voce di Dio, e dovetti faticare qualche anno per accettare e ricevere quelle parole proprio come Parola di Dio. Non che questi fratelli fossero speciali o che ogni volta che un cristiano parla sia un profeta. Ma semplicemente Dio sa come parlarci ed è nostro compito riconoscere attentamente, come i Tessalonicesi, questa parola che una volta recepita opererà efficacemente in noi.

Aggiungiamo una piccola nota: come appena detto, al tempo non esisteva ancora il Nuovo Testamento, ma questo è stato scritto registrando sostanzialmente la predicazione apostolica. Se a quel tempo la predicazione sostituiva una Scrittura ancora non esistente, oggi questa scrittura ce l’abbiamo, ed essa ci riporta come testimone unico e fedele le predicazioni dette a quel tempo. Abbiamo allora in mano un tesoro che ogni giorno possiamo leggere e meditare. Una fonte di saggezza da cui attingere e da lasciare operare in noi. Predisponiamoci ad accettarla veramente come Parola di Dio e non come parola di uomini. Perché benché umana è una parola divina e trasformante ed è nostro compito meditarla “giorno e notte”

2. Le parola non ricevuta dai Giudei.

Le parole che qui Paolo usa contro i suoi connazionali, i giudei, sono indubbiamente dure, ed hanno suscitato nel tempo molte accuse, persino di antisemitismo, nei confronti di Paolo. C’è che chi ha voluto vedere in Paolo l’origine di molto antisemitismo e persecuzione agli ebrei ed è quindi opportuno fare chiarezza. Primo, Paolo era un ebreo e sarebbe molto strano pensare che un ebreo possa essere alla base dell’antisemitismo. Secondo Paolo non si sta riferendo a tutti gli ebrei, ma ai giudei, cioè quegli abitanti della giudea a cui Cristo prioritariamente si è rivolto e che, per l’appunto, non hanno recepito la parola di Cristo come Parola di Dio, ma come quella di un uomo. L’hanno quindi ucciso per le sue parole fraintendendo il senso di quanto diceva. Terzo, Paolo ha fatto parte di questo gruppo di persecutori, e lo ha abbandonato dopo essersi convertito a Cristo, quindi sa bene di chi sta parlando: adesso da questi stessi subisce delle persecuzioni fisiche assieme ad altri cristiani. E dunque inevitabile avvertire nel tono delle sue parole un’amarezza, una rabbia persino, che viene dal dispiacere di vedere persone che non solo non recepiscono la parola di Dio come tale, ma cercano di impedirne la diffusione. Quarto, ed ultimo, Paolo non intraprende alcuna azione violenta contro questi giudei, né incoraggia i Tessalonicesi a farlo, ma li rimette semplicemente a Dio: “Li ha raggiunti l’ira finale” quindi escatologica, relativa alla fine del mondo, con un giudizio che porterà Dio e non gli uomini.

Se questo ci basta a fugare ogni dubbio sull’infondatezza dell’accusa di antisemitismo rivolta a Paolo, il suo atteggiamento ci serve anche a noi: quando sentiamo parlare di persecuzione dei cristiani in paesi come la Korea del Nord, l’Iraq o il più recente Isis, oltre che dispiacerci ci indigniamo, magari anche con rabbia. Ma la parola finale di Paolo ci ricorda che l’unica “ira” permessa è quella finale, che riguarda Dio. A noi spetta piuttosto rivolgere a tutti, persecutori compresi, la parola di Dio che annuncia la conversione a Cristo, unico vero Dio.

3. La parola e la ricerca del volto

Un gruppo di persone che perseguita e che cerca di impedire il messaggio del vangelo suscita rabbia. Ma esiste anche un altro tipo di risposta, che è appunto quella che hanno dato i Tessalonicesi. Quando chi annuncia la parola trova una risposta positiva in chi riceve ecco che la relazione che si instaura è meravigliosa. E’ una relazione profonda, che oltrepassa il piano di comunicazione umano senza trascurarlo, ma che è mediata da Cristo. Paolo usa un’espressione molto bella: Abbiamo cercato di vedere il vostro volto. La privazione è vista quasi come il frutto di un progetto diabolico oppositivo (Satana ce l’ha impedito…) ed il desiderio di rivedersi è forte. Chi ha studiato in modo approfondito l’epistola questa epistola ha fatto ipotesi sui luoghi di Tessalonica in cui Paolo ha annunciato il vangelo. Dal libro degli Atti si evince che per tre sabati ha predicato nella sinagoga. Dall’epistola stessa si può invece inferire che molto del lavoro sia stato fatto nel suo laboratorio di artigiano, avendo piu volte Paolo insistito sul fatto che ha lavorato in mezzo a loro. Entrambe le situazioni sono situazioni in cui la predicazione del vangelo, oltre che un contenuto ben preciso – che Cristo  è il messia e che è risuscitato dai morti e che chi crede in lui risusciterà ricevendo il perdono dei peccati – ha una modalità di trasmissione. Questa modalità di trasmissione sia essa per studi tenuti in sinagoga o in un laboratorio artigianale implica un contatto diretto, fisico, uno scambio tra volti. La parola volto, inserita nella frase di Paolo che desidera rivedere i Tessalonicesi, mi ha colpito. Non gli basta di avere loro notizie, di sapere da altri che stanno bene. Il volto è ciò che sottrae ogni persona dall’anonimato e che fa in modo che la relazione tra due persone sia realmente speciale, autentica. La relazione di Paolo con queste persone è quindi molto diretta, amichevole e direi ideale per una crescita.
Dico questo perché credo che anche oggi, una volta trasmesso il contenuto del vangelo, è importante che questo segua un contatto diretto, tra volti che si guardano e che condividono la gioia di essere stati trasformati dalla parola di Dio. Precisiamo: non intendo dire che senza volto e continuazione della relazione non c’è messaggio. Nella Scrittura esistono casi in cui non sappiamo più niente dei rapporti tra chi ha annunciato e chi ha ricevuto. Si pensi a Filippo e l’etiope, dei quali non si sa praticamente piu niente; si pensi ai Bereani che hanno ricevuto positivamente la parola, ma non conosciamo alcuna lettera di Paolo ai bereani (forse è esistita ma non c’è pervenuta). Ci sono poi ancora casi in cui un messaggio passa via radio e non si vede nessun volto, o attraverso un libro scritto. Potremmo moltiplicare gli esempi per dire che non c’è qui una regola imperativa, in quanto talvolta qualcuno pianta, un altro annaffia ed un altro ancora vede crescere. Nondimeno quando chi pianta può vedere il frutto ed intrattenere con esso una relazione profonda ho la sensazione che la crescita sia poi ancora più forte, più radicata. E un qualcosa di particolarmente forte oggi, tempo in cui il volto si nasconde spesso dietro un apparecchio, un telefono, uno schermo, e dove si è arrivati a pensare chiese che solo si avvalgono della rete (come facciamo anche noi) ma che esistono solo in rete… Come anche relazioni umane che esistono solo in rete. Paolo non aveva la rete e scrivere una lettera gli costava tempo e difficoltà per farla arrivare. Ma cercava il volto. Noi dopo molti whatsapp, skype, sms, e mail e mezzi di comunicazione velocissimi, ricordiamoci di cercare sempre delle relazioni che abbiano dei volti.
Ricordiamoci che chi recepisce la predicazione come parola di Dio ha poi bisogno di una relazione concreta, con un volto per continuare a crescere, a imparare, a scegliere. Per questo le chiese, che sono comunità di volti, sono molto importanti. Non sono affatto la porta della salvezza, ma laddove funzionano permettono di crescere!

Vorrei concludere con una domanda: di cosa ci sentiamo fieri? Cosa porteremo davanti a Cristo ? Ognuno di noi può fare un esame di se stesso e vedere i suoi punti di forza e di debolezza. Troverà sicuramente qualcosa di cui lamentarsi e qualcosa di cui essere fiero. Per riflettere su di noi, è interessante pensare che Paolo dice che il suo vanto non sono i suoi titoli, i suoi vestiti, o le tende che cuce, ma le persone che con lui si sono convertite.  Non so quanti di voi abbiano avuto la gioia di vedere qualcuno che crede nel vangelo grazie alla sua predicazione. A me è capitato raramente, ma quelle poche volte è stata una gioia immensa. La parola vantarsi spaventa dà idea di presunzione, ma Paolo intende immensa gioia, felicità per vite salvate. Io ho tante passioni, tante cose che mi piace fare, degli affetti forti. Ma vorrei che la mia maggior gioia fosse quella di vedere persone che ricevono la Parola di Dio non come parola di uomini ma come quello che è: Parola di Dio!