Orgogli e pregiudizi: meglio essere grati Luca 17, 11-19

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Ci troviamo in quella sezione del vangelo di Luca che riguarda il suo viaggio verso Gerusalemme, e visto che si riparla di samaritani è opportuno citare i due passi in cui si è parlato di samaritani.

Diversi “capitolo” fa, Gesù aveva cominciato a camminare verso Gerusalemme, ma era successo un episodio spiacevole:

 

Luca 9. 51 Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme 52 e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. 53 Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. 54 Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55 Ma Gesù si voltò e li rimproverò. 56 E si avviarono verso un altro villaggio.

 

Luca 17. 11 Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. 12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 13 alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». 14 Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. 15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 16 e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17 Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 18 Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: 19 «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

 

  1. Viaggiare verso Gerusalemme: pregiudizi e perdono.

Il primo incontro che ci viene descritto di Gesù con i samaritani non mette questi in buona luce: lo rifiutano perché andava verso Gerusalemme. Andare verso Gerusalemme significava dirigersi verso la città santa e quindi sottolineare la propria identità giudaica. Proprio questa identità rendeva i samaritani diversi dai giudei che, benché fuoriusciti dallo stesso popolo, e benché facessero riferimento in buona parte agli stessi scritti sacri, La Torah – i primi cinque libri della Bibbia – si ritenevano diversi per motivi storici. Da questo un reciproco odio ed una non frequentazione. I samaritani non ricevono Gesù ed i suoi, ed i discepoli reagiscono con una violenza esagerata che abbiamo già commentato qualche mese fa, degna degli attuali terroristi.

Rispetto a questo Gesù risponde prima con il rimprovero di chi fomenta questo odio, come i discepoli, poi con una parabola in cui l’unica persona che sa essere prossimo di un altro è un samaritano, ed ora mostrando che l’unica persona capace di gratitudine è un samaritano.

La tentazione di etichettare le persone in base alla loro religione, nazionalità, stato sociale o provenienza geografica è ancora oggi più che mai viva, e più presente tra di noi di quanto possiamo credere. Solo in questa settimana ho incontrato due persone che mi hanno intristito: uno, proprietario di un negozio in cui ho affisso un manifesto di un concerto gospel, mi ha detto che i profughi andrebbero uccisi tutti. Gli ho risposto che ci stavano già pensando coloro che li fanno scappare dai loro paesi, ma l’odio che nutriva e la convinzione di essere un povero italiano vittima di chissà quali prevaricazioni dei profughi (che in quanto tali sono chiusi nei campi profughi, quindi non si capisce che male possano fare) non gli permetteva di capire. Un altro invece è un tale a cui volevo vendere la mia macchina, che mi ha detto che preferiva me ad un marocchino con cui avevo parlato poco prima. Era mio interesse commerciale dirgli che era proprio così e che io ero il miglior venditore, ma ho preferito dirgli che la nazionalità non conta. Invano…

Come credenti dobbiamo prendere seriamente in considerazione la lotta contro i pregiudizi, i luoghi comuni, le frasi scontate che su gruppi interi di persone, che lentamente e di nascosto alimentano le separazioni, il razzismo, le divisioni. In questo non c’è nessun buonismo, nessuna ingenuità e nessuna mancanza di realismo. Perché Gesù è stato il primo a vedere l’inospitalità e la cattiveria dei samaritani. Ma anche il primo a vietare ai suoi discepoli di generalizzare una nazionalità, un’etnia, una religione leggermente diversa. Vorrei che chi oggi crede di essere cristiano si vietasse frasi come: “Io non sono razzista, ma…”…

 

  1. Viaggiare verso i sacerdoti: salvati nel corpo!

Bello il grido con cui queste persone invocano Gesù! In quel grido semplice riconoscono più implicite ed esplicite: lo chiamano per nome, percependo la possibilità di suo accesso diretto e familiare; lo chiamano maestro, riconoscendogli una certa autorità; invocano la sua pietà, convinti che avrebbe potuto cambiare la loro vita. La predisposizione di tutti e 10 è buona.

Gesù per una volta cambia metodo di guarigione, ed invece che toccarli o proclamare la loro liberazione li invita a presentarsi ai sacerdoti, atto previsto dalla legge (Levitico 14) per chi veniva guarito dalla lebbra, in modo che il sacerdote potesse proclamare l’avvenuta guarigione – una sorta di certificato medico che permette di tornare a scuola. Ora ci vuole molta fede per andare dai sacerdoti senza ancora essere stati guariti. Il fatto che tutti e 10 siano partiti senza dubitare che qualcosa sarebbe realmente successo li mette di nuovo sullo stesso piano: credono, vogliono salvezza dalla loro malattia, e difatti la ottengono. Tutti e dieci miracolosamente mentre vanno dai sacerdoti sono guariti. Sono salvati dalla loro malattia. Il problema è che sono salvati solo da quella. Idealmente non si dovrebbe credere perché si ottiene qualcosa, ed una fede ideale dovrebbe essere motivata dalla pura gioia di conoscere Dio. Tuttavia siamo esseri umani, con bisogni, necessità, e problemi rispetto a cui Dio non è cieco ed è felice di poter intervenire nella nostra vita per risolverli. Nove dei lebbrosi dai sacerdoti ci sono andati, perché questo permetteva loro di rientrare nella normalità della vita. Non ridiventeranno lebbrosi e parte del loro problema è risolto.

Il problema si pone quando tutta la fede funziona come una medicina, una guarigione o un metodo per stare bene interiormente o esteriormente. La soluzione del problema può essere un inizio, ma guai alla fede che si ferma alla risoluzione di un problema. Ne incontrerà altri e da questi verrà sommersa.

E’ il dramma di molta predicazione evangelica che ha cercato di dare solo risposte immediate, guarigioni miracolose e soluzioni facili. Il cammino della fede che Gesù fa verso Gerusalemme è un cammino pieno di dolori, non di guarigioni. È anche il dramma di molta religiosità che si accontenta di essere a posto davanti ai sacerdoti, quindi formalmente inserita in una serie di riti e formule che fanno star bene. Ma non è la fede che Gesù chiede.

È anche l’errore tipico di molti di noi che dopo aver pregato a lungo per qualcosa, una volta avuto risposte, o risultati, saltano di gioia dimenticandosi di ringraziare l’autore della risposta…

 

  1. Viaggiare verso Gesù: salvati per la gratitudine eterna!

Gesù viaggia verso Gerusalemme. I lebbrosi viaggiano verso i sacerdoti. Solo uno comincia a viaggiare verso Gesù. Questo viaggio ci rivela un altro senso del verbo salvare. Certamente i 9 lebbrosi sono stati salvati dalla malattia, ma solo uno è stato salvato da una vita che va al di là della pura guarigione. Il samaritano, che partiva sfavorito, che non aveva forse avuto le stesse benedizioni degli israeliti e gli stessi annunci, non sente più il bisogno di andare a fare vedere ai sacerdoti che è formalmente a posto e che può circolare nella società. Ha incontrato il salvatore del suo corpo, ma anche della sua anima ed ora prova qualcosa di ancora più grande del benessere nel fisico: prova la gioia della vita eterna! Ora è pronto a viaggiare anche lui verso Gerusalemme, perché sa che in questo viaggio è insieme a Gesù. Forse si riammalerà nel fisico, forse soffrirà, ma ha la sua gioia in queste grida di lode a Dio.

Ieri sera, parlando di musica gospel, si notava come il gospel sia nato in un contesto di gente che nonostante le sofferenze trova modo di cantare. Si potrebbe notare che spesso nelle società occidentali opulente chi sta meglio non sente nessun bisogno di essere riconoscente verso qualcuno o qualcosa per come sta. Lo ritiene un proprio merito, o un frutto del destino, del caso, della storia… Questo samaritano guarito, proveniente da un villaggio sfavorito, rispetto agli altri 9 israeliti, è un richiamo alla gratitudine noi tutti. Un richiamo a rivalutare tutte le benedizioni che abbiamo ricevuto nella nostra vita, che nessun male potrà offuscare. Ma soprattutto un invito a riconoscere che l’unica vera gioia è nel Dio che non solo guarisce il corpo, ma che trasforma la vita facendola diventare un cammino di gratitudine, verso la Gerusalemme celeste nell’incontro di Dio.