Matteo 7: 1-6 Non giudicare

Matteo 7:1-6 – Non giudicare

1 «Non giudicate, affinché non siate giudicati; 2 perché con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi. 3 Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? 4 O, come potrai tu dire a tuo fratello: “Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza”, mentre la trave è nell’occhio tuo? 5 Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello.
6 Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le pestino con le zampe e rivolti contro di voi non vi sbranino.

Giudicare tra i due sensi di “giudicare”.

Se il comandamento dato da Gesù in Matteo 7:1-2 e ripetuto in Luca 6:37, che ordina di non giudicare” pone dei problemi di interpretazione, è probabilmente perché dietro al termine giudicare (ed ovviamente a tutti i suoi derivati quali “giudizio”, “giudice” etc.) giacciono due sensi diversi, ed uno solo dei due rientra nella proibizione enunciata da Gesù.

Il gruppo di vocaboli legati all’attività del giudicare è decisamente voluminoso nelle pagine della Bibbia, e questo non stupisce se si pensa che l’intera concezione biblica del mondo, poggia sulla prospettiva futura di un giudizio universale, e della presenza permanente di un giudice vigile quale è il Signore onnisciente ed onnipresente.

Prima di esaminare il senso del termine nella Bibbia vediamo di chiarificarne il significato nell’uso corrente.

Il giudizio può essere di tipo logico, ed allora consiste nell’attribuzione di un oggetto ad una certa categoria; oppure di tipo giuridico o morale e consiste nel applicare un certo caso ad una regola o legge. Il giudice che condanna una persona per un certo reato emette un giudizio che consiste nel far rientrare quel dato reato (caso) nell’ambito di una azione che la legge prescrive (regola). Così sotto la regola generale “non uccidere” rientrano i vari casi di omicidio che si possono presentare. Tolstoj sulla base di questo passo del vangelo sosteneva che i tribunali umani non dovrebbero esistere, tuttavia mi pare difficile andargli dietro e capire come si potrebbe amministrare la giustizia senza tribunali…

Quando noi giudichiamo la realtà e le persone facciamo un’operazione simile: se diciamo che il tale è uno stupido, stiamo applicando la categoria della stupidità ad una data persona; se diciamo che una data azione è sbagliata, stiamo attribuendo quella data azione ad una categoria che racchiude degli atti ritenuti sbagliati e quindi immorali, nella nostra concezione della realtà. In altri termini giudicare significa classificare la realtà e le persone; discernere e cercare di capire chi siano le persone e le cose che abbiamo davanti; attribuire i casi che si presentano davanti a noi alle categorie che strutturano la nostra mente, siano esse di tipo logico, cognitivo, o morale.

Se queste definizioni dell’azione di giudicare sono giuste risulta evidente che sarebbe assolutamente impossibile vivere senza giudicare di niente perché ciò significherebbe vivere senza capire cosa è giusto e cosa è sbagliato, e quindi vivere senza morale; significherebbe inoltre trattare tutti assolutamente nello stesso modo, cosa giusta in senso lato, ma impraticabile quando si tratta di attribuire responsabilità importanti, o ancora capire su chi si può fare affidamento e su chi no. Cionondimeno giudicare è sempre un rischio perché data la finitezza della nostra conoscenza i nostri giudizi non sono mai né perfetti né assoluti; e perciò possiamo discernere in modo completamente sbagliato e creare più disordine (o falsità) che ordine e verità. Il comandamento di Gesù, per altro ribadito da altri autori biblici in forme diverse, invita alla prudenza. Lo sforzo nostro consisterà nel definire quali siano i giudizi che siamo autorizzati e chiamati a formulare e quali invece sono interdetti. Nostro malgrado siamo chiamati noi stessi a giudicare tra i due sensi del termine giudicare!

1. Il giusto giudizio.

1.2. Il giudizio nell’Antico Testamento.

– Lev 19:15 “Non farete ingiustizia nel giudicare; non userai parzialità col povero né presterai onore alla persona del potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia.”

– Deut 1:16-17 “Ascoltate le dispute tra i vostri fratelli e giudicate con giustizia tra un uomo e il suo fratello o il forestiero che sta con lui; nei vostri giudizi non avrete riguardi personali; darete ascolto al piccolo e al grande; non temerete alcun uomo perché il giudizio appartiene a Dio”:

– Deut 16:18 “Costituirai dei magistrati nelle porte per ogni tribù, in tutte le città che l’Eterno il tuo Dio ti dà; ed essi giudicheranno il popolo con giuste sentenze.”

– L’intero libro dei giudici.

– La richiesta di Samuele a Dio in I Re 3:9. “Concedi dunque al tuo servo un cuore intelligente perché possa amministrare la giustizia per il tuo popolo e discernere il bene dal male.”.

Senza l’attività del giudice non può esistere giustizia in un paese. In questo caso Dio ordina dunque di giudicare perché si possa discernere il bene dal male e permettere la vita civica e la convivenza. Quest’attività necessaria di giudizio non viene affatto abolita nel nuovo patto, e tanto la chiesa quanto il singolo credente sono invitati a giudicare. Sulla base di alcuni testi possiamo individuare determinate forme di giudizio che la parola di Dio permette ed incoraggia.

1.2. Il giudizio, “cosa” più importante della legge.

In Matt 23:23 Gesù ricorda ai farisei che il giudizio, accanto alla misericordia e la fede, fa parte della cose più importanti della legge. I Farisei peccano perché applicano la legge in maniera completamente falsata: danno importanza a decime di minor valore, vietano il bene durante il sabato, sono ossessionati da norme sulla purezza degli alimenti e scordano il cuore della legge: l’amore, la fede e il buon giudizio, cioè la saggezza la capacità di saper vedere bene la differenza tra male e bene.

1.3. Il giudizio come gestione della chiesa.

La chiesa è chiamata a gestire le dispute tra i fratelli. In I Cor 6:1-6 Paolo riprende i Corinzi proprio per la loro mancanza di discernimento ed incapacità di giudicare e quindi di regolare conflitti individuando torti e ragioni e quindi responsabilità ed errori che permettano di perdonare e riconoscere gli sbagli. Si tratta di un’attività complicata e delicata che va dalla correzione alla confessione. (Vedi anche Mat 18.)

1.4. Il giudizio dei messaggi.

I Cor 14:29. “Parlino due o tre profeti e gli altri giudichino“. Coloro che ascoltano delle profezie o meglio delle predicazioni, cioè delle parole da parte di Dio, sono invitati all’attenzione e al discernimento. La predicazione non deve mai essere presa come assoluto indiscutibile, ma come parola umana che il Signore può trasformare in divina nei cuori di chi ascolta. In quanto tale può essere sbagliata ed è dovere di chi ascolta giudicare ciò che viene detto, tenendo presente il necessario spirito costruttivo.

1.5. Distinguere cani e porci da persone normali.

Sembra strano che Gesù si esprima così, eppure proprio lui qui dice che ci sono persone che sono cani e porci e non bisogna dare loro delle perle… Potrebbe forse trattarsi di aguzzini che tengono persone in prigione o sotto tortura, oppure di squilibrati che potrebbero disporre della nostra vita, per cui è inutile cercare di annunciare loro il vangelo. Sta di fatto che bisogna saper discernere chi sia cane e porco.

2. “Non giudicare”.

Se quindi giudicare è in buona parte doveroso e attività responsabile, bisogna capire in che senso Gesù ci vieta categoricamente di giudicare. Non è un caso infatti che nel passo di oggi ben 5 versi riguardano il giudicare, mentre uno solo, il v. 6 riguarda il dover giudicare distinguendo cani da porci.

2.1. I giudizi superficiali.

Un senso possibile del non giudicare, riguarda quei giudizi affrettati e veloci con cui etichettiamo le persone. Prima di farsi un opinione su qualcuno e quindi classificarlo, bisogna conoscerlo veramente bene altrimenti è meglio tacere e non dare giudizi. Le nostre parole sono pesanti e possono orientare le persone in modo decisivo nei confronti di coloro che abbiamo giudicato. E’ ovvio che se una persona è nota come ladro, posso raccomandare a coloro che lo frequentano di essere prudenti: ma devo essere certo delle sue colpe e comunque moderato nelle accuse.

– In questa categoria rientrano senza dubbio anche i cosiddetti pregiudizi: giudicare le persone dall’aspetto, dal vestito, dalla classe sociale, dalla nazionalità, dall’etnia o ancora dalla religione sono errori gravi degni di bigotti o benpensanti più che di credenti. Leggere Giac 2:1-4. Direi che il pregiudizio o il riguardo personale sta proprio all’opposto del giudizio intelligente. Questo richiede tempo riflessione, pazienza amore, conoscenza; il pregiudizio invece si limita ad attribuire un’etichetta e non richiede nessuno sforzo; è tanto usato e comodo, perché consente di farsi delle opinioni senza pensarci troppo, col difetto però che sono false e approssimative.

3.2. Il giudizio censorio

Oltre al pregiudizio il comandamento di Gesù prende di mira un altro tipo di giudizi che noi uomini siamo portati a formulare. Quei giudizi censori che consistono nel attaccare i difetti degli altri, nel abbassarli con in fondo il fine ultimo di innalzare noi stessi. Una bella favola antica, rimessa in versi dal novellista francese del XVII secolo Jean de la Fontaine, racconta che gli animali chiamati da Giove per vedere se avessero voluto cambiare qualcosa nella loro natura, si dicono tutti soddisfatti di loro stessi, ma hanno da ridire sugli altri animali. Conclusione, abbiamo tutti una bisaccia appesa dietro le spalle con i difetti nostri, ed una davanti con quelli degli altri. Favoletta simpatica, e profondamente vera.

Giudicare gli altri è molto piacevole, ci permette di vedere noi stessi un po’ meglio di quanto non siamo, o quanto meno in buona compagnia…

Gesù ci dà ben due consigli:

  1. Occhio a cosa abbiamo nei nostri occhi. Se sentiamo tanto bisogno di giudicare gli altri, probabilmente è perché abbiamo delle travi, di cui il bisogno di giudicare è una spia.
  2. Occhio a giudicare! (è proprio il caso di dire occhio!) Il parametro usato per giudicarci, sarà lo stesso con cui giudichiamo. Ma questo allora si trasforma in una domanda: come vogliamo essere giudicati? Smettere di giudicare, significa avere capito il giudizio di Dio che nei nostri confronti è stato misericordioso. Non perché lo meritassimo, ma perché ha fatto pagare a qualcun altro le nostre colpe. Questo ha permesso di renderci conto che abbiamo travi negli occhi e che qualcuno le può togliere. Possiamo allora guardare gli altri con i nostri occhi, o con quelli di Dio, che non giudica, ma ama.
  1. Togliere le pagliuzze.

Per togliere la trave dal nostro occhi abbiamo bisogno che Gesù intervenga nella nostra vita e ce la tolga lui stesso. Spesso questa operazione di togliere pagliuzze viene minimizzata, perché l’insegnamento sembra vertere sulle travi nei nostri occhi.

L’anno scorso essendomi ferito ad un occhio nel quale era rimasto un pezzo di legno, una specie di pagliuzza, ho capito quanto è importante trovare qualcuno che ti levi pagliuzze dagli occhi. Levare pagliuzze dagli occhi degli altri senza considerarle travi significa essere fratelli capaci di curare gli altri, amandoli. Non facendo pesare i difetti, ma camminando insieme per correggerli.

4. Conclusione.

Come in ogni problema etico ci si trova davanti a due versanti di una stessa azione dei quali uno è raccomandato e doveroso, l’altro sbagliato e peccaminoso. Così chi si astiene completamente dal giudicare passerà per un vigliacco o un irresponsabile; chi invece passerà il suo tempo a lanciare giudizi sugli altri passerà per un ipocrita ed un accusatore. La ricerca dell’equilibrio tra giudizi sbagliati e opinioni responsabile starà nella nostra capacità di osservare, di ricercare e di capire gli altri.

Il criterio migliore per sfuggire dall’errore di giudicare è comunque a mio avviso quello di interrogarsi sulle motivazioni reali dei propri giudizi: chiedersi continuamente: il giudizio che sto dando è motivato dall’esclusivo desiderio di aiutare la persona in questione, per la quale sono ripieno d’amore, o deriva da qualche rabbia che ho contro di lui? O ancora dalla mia necessità di giudicare che pulisce la mia coscienza? Le risposte sincere a queste domande ci indicheranno quando giudicare e quando tacere.