Matteo 5, 5. Gli assetati di giustizia

6 Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.

Proseguiamo il discorso sulle beatitudini, cercando di ricordare per sommi capi a chi è rivolto questo discorso e cosa significa essere beati:
Il discorso sul monte è rivolto ai discepoli e rappresenta l’ideale del discepolo a cui tendere, nonché il test per vedere se stiamo realmente crescendo o lo specchio per capire a che punto siamo nella vita cristiana
Beato significa felice, contento, appagato: chi vive secondo la nuova legge del regno prova una grande felicità che non è stupida euforia o contentezza provvisoria, ma condizione perenne di gioia.

  1. Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati. (6)

Affamati e assetati. È il primo aspetto su cui mi vorrei soffermare. L’immagine che prende Gesù è quella di due istinti primordiali senza i quali anche il più banale animale non sopravviverebbe: l’istinto a introdurre cibo e acqua nel corpo per avere l’energia necessaria. Ad un livello superficiale ognuno di noi ha provato cosa sia la fame. Ogni giorno arrivata una certa ora proviamo un certo languorino, un vuoto nello stomaco che ci fa venire voglia di mangiare. Dico superficiale perché ho letto su un libro che chi come noi fa parte di una società che non ha in genere problemi di cibo non sa distinguere tra “fame” e “appetito”: spesso l’appetito è solo un bisogno indotto di mangiare di continuo anche se il corpo potrebbe andare avanti molte altre ore senza ingerire niente, ma chi mangia a ore fisse ormai è programmato in un certo modo e se non mangia ha un vuoto. La fame invece è più seria: il segnale che dà al corpo è che se non si mangia si muore.
Di cosa siamo affamati? Che si tratti di fame o di appetito siamo tutti abituati a provare questo senso di bisogno di mangiare qualcosa. Ci si potrebbe chiedere di cosa siamo affamati. Spesso siamo abituati a dire: ho fame di gelato! Ho fame di cioccolata! Quindi ci rendiamo conto che oltre alla fame e all’appetito esiste la pura golosità, il desiderio non tanto di riempire la pancia ma di provare una sensazione gustativa piacevole al palato. Una volta declinato questo bisogno di ingerire cibo in fame (livello profondo), appetito (livello superficiale), gola (livello estetico), possiamo costatare che questo bisogno di ingerire cibo sembra un’ossessione anche in società come la nostra che non hanno propriamente problemi di sofferenza di fame, e basta guardare cosa si posta continuamente la gente sui social: foto di quello che hanno mangiato o preparato da mangiare. Possiamo dire esattamente le stesse cose per quello che riguarda la sete – pare che con tre giorni senza bene si possa morire – che sorpassata la soglia dell’acqua passa alle bibite, alla birra al vino ecc.
Gesù non sceglie quindi questa immagine a caso, la sceglie perché sa bene che si fame e sete sono non solo dei bisogni basilari per ogni essere vivente, anche non umano, ma oltre che bisogni sono piaceri, componenti della cultura e fonti di grande interesse. Sono quindi un perfetto punto di partenza per fare un test e capire se questo stesso interesse lo nutriamo per una cosa più grande, come la giustizia di Dio.

  1. Definire la giustizia. Affamati e assetati di giustizia.
    Il messaggio di Gesù rispetto a queste immagini è molto chiaro: la stessa fame, vera o presunta che sia, e la stessa sete che sono naturali e talvolta indotte ma comunque pressanti, si devono avere per la giustizia. Questa va definita.
    Nella mentalità ebraica esiste l’idea di una giustizia amministrativa, quella del trattare equamente parti uguali, ma esiste anche quella di una giustizia morale, la Tzedeqa, che indica il rispetto delle esigenze della legge di Dio. Il giusto è colui che brama di un desiderio simile a quello della fame, dell’appetito o della gola, obbedire a quei comandamenti che esprimono la volontà di Dio. Per quanto l’Antico Testamento consti di un’amplissima collezione di leggi di vario tipo, possiamo prendere il decalogo di Mosè, i dieci comandamenti, come riassunto ed espressione della volontà di Dio.
    Fame e sete di giustizia, significa avere fame di:
    adorare Dio,
    di lottare contro gli idoli
    di non nominare invano il nome di Dio
    trovare un giorno da consacrare interamente a Dio per celebrare il riposo della grazia
    Questa concezione “alta” di giustizia non esclude certo quella giustizia umana che è più comune alle nostre orecchie: la giustizia civile, il rispetto delle leggi civili. Infatti la seconda parte dei comandamenti è costituita da leggi finalizzate a proteggere il rapporto con il prossimo e la giustizia: rispettare i genitori, non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non mentire, non desiderare le cose altrui non sono altro che pilastri su cui costruire un’etica che protegge i rapporti con gli altri.
    Questa è dunque la giustizia di cui si parla qui: una giustizia non solo civica e non solo divina, ma una giustizia che riguarda il desiderio di adempiere in tutto la legge di Dio. Sottolineo ancora la fame: non si tratta di un’imposizione, di una minaccia o di un ricatto: è un bisogno! Se abbiamo incontrato Dio, se ci siamo convertiti mettendo la nostra via nelle sue mani la soddisfazione della sua giustizia diventa un bisogno impellente, una fame che ci fa stare male se non la soddisfiamo.

Fame, appetito, gola?
Torno alla domanda posta sopra. Di cosa abbiamo fame? Ho la sensazione che spesso questo senso di fame per la giustizia di Dio si sia affievolito. L’abitudine a frequentare i social su cui ci indigniamo per poi pensare che con un click di like o di condivisione abbiamo esaurito la nostra fame di giustizia, ha trasformato in noi la fame per la giustizia di Dio in semplice appetito, o ancor peggio sfizio di gola. Sappiamo che la giustizia di Dio è una buona cosa e quindi ne assaporiamo qualche pezzo, ne mangiamo un pochino.
Purtroppo l’immagine della fame non è bella, è dura. Io confesso di non avere mai avuto veramente fame, perché anche se qualche volta ho fatto dei digiuni, il paese in cui vivo mi garantisce di avere sempre da mangiare. Ma chi ha fame, fino a morire di fame, sta male. Soffre. Gesù ci dice che saranno felici coloro che soffriranno la fame perché vogliono vedere la giustizia di Dio realizzata sulla terra.
Mi vengono allora delle domande:
Quanta fame ho della giustizia di Dio? Ho fame o solo appetito? La fame è facile da misurare, ogni giorno a una certa ora cerchiamo di mangiare. Ma ogni giorno c’è un momento in cui cerchiamo Dio e la sua giustizia? Abbiamo fame di adorare? Di portare ad altri la parola di Dio? Di pregare? Abbiamo fame di quella comunità in cui cerchiamo di vivere la giustizia di Dio? Invitiamo amici a cena da noi o fuori, e ugualmente siamo invitati. Ma invitiamo questi amici a mangiare la parola di Dio?
Ci ossessiona il problema della fame del mondo e rabbrividiamo quando vediamo dei corpi denutriti. Ma ci fa male o no pensare all’aridità spirituale del mondo in cui viviamo? Pensare che si possa morire senza avere certezze, senza sapere di poter andare nelle braccia del padre. Certo, ognuno di noi ha ovviamente costruito delle barriere, dei modi per non restare sconvolto, perché altrimenti passeremo il tempo a piangere e disperarci. Ma prima della disperazione la fame dovrebbe indurre un’attenzione, una preoccupazione, pari a quella che ci fa muovere ogni giorno per “guadagnarci il pane”. Lo stesso lo facciamo per la giustizia di Dio?

  1. Disturbi alimentari e giustizia di Dio
    Una caratteristica della nostra epoca sono i disturbi alimentari e chi come me lavora nella scuola o è comunque in contatto con dei giovani ha sicuramente avuto la possibilità di conoscere qualche persona affetta da questi problemi. La nota anoressia consiste nel rifiuto del cibo per paura di ingrassare, e può portare al deperimento. Mi pare che questa malattia descriva perfettamente la nostra epoca. Viviamo esattamente in un mondo che soffre di anoressia di giustizia di Dio. È un mondo che chiede giustizia, che vuole vedere giustizia, nei tribunali, nei ministeri! Tutta l’Italia si è rallegrata quando ha sentito la settimana scorsa la sentenza di ergastolo nei confronti di quei delinquenti, i fratelli Bianchi, che hanno ammazzato il povero Willy Monteiro Duarte intervenuto per aiutare un amico. Ma se a questa stessa fame di giustizia aggiungiamo “di Dio”, l’interesse scema. C’è anche chi è convinto che possa fare male, che la giustizia di Dio sia causa di molti mali, di fanatismi, integralismi, persecuzioni e soprusi. Purtroppo le responsabilità della falsa religione hanno inciso profondamente nella nostra società, ed è molto difficile restaurare un’immagine positiva della “giustizia di Dio”.
    Ma esiste anche la bulimia. È quella di cui sono affette alcune persone che in qualche modo fanno il pieno di esperienze spirituali, che nel contesto di un campo, di un convegno o di un momento che passano per conto loro si riempiono di giustizia di Dio, macinando pagine di Bibbia, libri sulla fede e simili, ma quando devono vivere il quotidiano della fede, fatto di culti, incontri di chiesa, vita quotidiana a scuola o nel lavoro, non riescono ad applicare quello di cui si sono abbuffati.
    Come il nutrizionista si pone il problema: come faccio a fare un piano alimentare per un anoressico? Così noi dobbiamo porci il problema: come intervenire in una società anoressica spiritualmente? La nostra società è capace di inventare dal punto di vista alimentare una serie di bisogni assolutamente falsi: i famosi troiai che accattivano i gusti dei bambini, ma anche tutta quella serie di barrette, energetici integratori, energizzanti e simili che spesso sono delle mere porcherie assolutamente inutili. Ai credenti spetta il compito di far riscoprire la necessità ben più semplice del pane, dell’acqua, della pasta… Cioè di quel semplice cibo spirituale che è la giustizia di Dio. La giustizia di Dio va presentata come bella, accattivante, appetitosa! Certo che dobbiamo partire da noi stessi chiedendoci se è tale per noi o meno.
    Credo che i 10 comandamenti da cui siamo partiti siano una buona partenza, perché per qualche motivo piacciono.
    Credo che anche questo magnifico sermone sul monte sia un bel punto di partenza, perché fa parte di quei grandi discorsi che la cultura di cui facciamo parte, pur non capendone quasi niente, approva.

Conclusione
La mia preghiera è la seguente. Siamo in piena estate. Sicuramente molti di noi faranno delle gradevoli cene con amici, magari dopo una giornata di mare, sentendo un certo appetito. Oppure altri mentre prendono il sole sulla spiaggia sentiranno un caldo allucinante e saranno presi da una grande sete. La mia preghiera è che ogni volta che quest’estate avremo fame o sete penseremo a questo passo che ci interroga: ho anche fame e sete della giustizia di Dio? Questo sermone ci ricorda che il cristianesimo non è un fare, ma un essere. Quindi se la fame non c’è dobbiamo pensare a cosa siamo davanti a Dio, non a metterci ossessivamente a fare tutto quello che sentiamo di non aver fatto. Dal nostro essere davanti a Dio verrà anche il fare.