Matteo 13, 47-51 La rete

47 «Il regno dei cieli è anche simile a una rete che, gettata in mare, ha raccolto ogni genere di pesci; 

48 quando è piena, i pescatori la traggono a riva, poi si mettono a sedere e raccolgono il buono in vasi, e buttano via quello che non vale nulla. 

49 Così avverrà alla fine dell’età presente. Verranno gli angeli, e separeranno i malvagi dai giusti 50 e li getteranno nella fornace ardente. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti.

51 Avete capito tutte queste cose?» Essi risposero: «Sì».

Questa parabola è molto simile a quella delle zizzanie. Entrambe parlano di un giudizio finale e la spiegazione che Gesù ne dà è pressoché uguale. Tuttavia possiamo cogliere una piccola differenza di accento. La parabola delle zizzanie parla della compresenza del male e del bene nell’età presente, mentre la parabola della rete coglie il momento finale.

1. La rete è un tempo. C’è una fine

Un proverbio ricorda che l’unica cosa di cui siamo certi è la morte… Per quanto ovvio, fa riflettere il fatto che nell’esperienza di ogni uomo c’è l’idea di una fine. Nonostante ciò, ognuno di noi generalmente non agisce pensando che un giorno tutto finirà, a meno che non sia molto anziano. Benché innumerevoli fatti e sciagure intorno a noi ci ricordino di continuo che una fine c’è, è normale evitare di pensarci. Certamente esistono persone ossessionate dall’idea della morte, ma in linea generale la quotidianità è vissuta come qualcosa che pensiamo che continui. È significativo quindi che una parabola come questa ci ricordi che prima o poi c’è una fine delle cose.

Ma qui bisogna essere più precisi: questa parabola non parla della vita biologica di ognuno di noi che prima o poi finisce. La sua ambizione è più ampia, e parla di una fine di tutte le cose, di un momento in cui finisce l’età presente e ne comincia una nuova. Questa idea nella nostra società viene accettata male, come tutto ciò che chiama in causa la trascendenza, Dio o altre categorie, ma l’idea di una fine possibile in varie forme non tramonta: durante la guerra fredda milioni di persone hanno vissuto in preda alla paura di una catastrofe nucleare, non del tutto sparita con i duelli tra Trump e Kim-Jong Un, oggi molti hanno paura di una catastrofe ecologica, altri di guerre tra civiltà…

Questa parabola rispetto a queste paure ha un doppio effetto:

C’è di peggio. da un lato ci ricorda che c’è di peggio che queste catastrofi. Perché fare la fine di ciò che viene buttato via, in una fornace ardente, è peggio che pensare ad un semplice trapasso, magari naturale, di cui spesso diciamo: «Ha smesso di soffrire…». Se per un attimo ci fermiamo a pensare che se la morte è certa, cosa ci sia dopo è assolutamente incerto, e che non lo sapremo su basi scientifiche. Le parole di un maestro autorevole come Gesù impongono una riflessione. Impongono di pensare la vita presente come qualcosa che finisce, rispetto a cui è necessario prendere posizione, proprio perché poi continuerà in una nuova era.

C’è di meglio. Se dopo la morte esiste una vita migliore, una vita che durerà eternamente ma nella gioia, nella presenza del Signore allora la morte fisica o le catastrofi di cui sopra mi preoccupano fino ad un certo punto. Finora questa parabola ci prospetta degli scenari possibili. Andiamo più avanti

2. Esiste un giudizio

Anche l’elemento del giudizio ha un valore duplice. Per chi ha la coscienza sporca e sa di fare il male questo giudizio spaventa. O meglio: spaventava… Per anni molta predicazione ha sbandierato l’inferno, il giudizio, la pena eterna come un deterrente per il male, non so bene con quali risultati. Oggi non penso che questa idea spaventi più tante persone che hanno smesso di credere, e per quanto ricordare che Dio giudicherà il mondo sia opportuno, magari anche con questa semplice parabola, temo che pochi ascolterebbero. Noi ce la leggiamo qui, in una chiesa. Che senso ha per noi? Per me ha il grande senso della garanzia che il male non vincerà e che ci sarà una giustizia finale. Chiunque creda è scandalizzato come chi non crede da molto male gratuito commesso dagli uomini e dall’impunità che spesso ne segue. L’attualità oggi ci parla di continuo di scafisti che senza scrupoli lasciano morire centinaia di persone in mezzo al mare; io mi indigno per la grave propaganda anti-immigrati che tende a criminalizzare gli ultimi anelli di una catena orribile del male, e che vede in qualche centinaia di richiedenti asilo un’emergenza. E ci indigniamo per i pedofili impuniti, per gli attentatori, per i commercianti di armi, per i trafficanti di esseri umani, e chiudo la lista per mancanza di tempo.

A me personalmente sapere che l’età presente finirà e che come in una rete quei pesci che credevano vigliaccamente di fuggire saranno presi e puniti per ciò che hanno fatto, mi rassicura. Non è giustizialismo né cattiveria, ma sana indignazione contro un male che dilaga e che come uomini possiamo solo limitare, ma Dio può punire.

3. Malvagi e giusti.

I termini malvagi e giusti che definiscono le due categorie che saranno salvate in ceste o gettati via ci portano ancora un grandino avanti. Cosa significa malvagi e giusti? Nel linguaggio comune sembrano semplicemente i buoni e i cattivi. I linguaggio biblico è più profondo e non accetta un’idea vaga di bene o di male, visto che ogni individuo non è mai perfettamente buono né cattivo. Prima ho fatto una lista di categorie di malvagità a cui sono personalmente sensibile, ma chi mi garantisce che io finirò nella cesta e che non sarò buttato via? Gesù parla di «giusto» e questo termine ha un senso ben chiaro per le persone a cui parla Gesù: «giusto» è colui che Dio dichiara tale, che in una sorta di processo cosmico riceve un verdetto di innocenza davanti a Dio. Se Gesù stesso ha detto: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» (Gv 8), chi può dirsi «giusto»? C’è un solo modo per essere giusti davanti a Dio: riconoscere che lui stesso rende giusti coloro che invocano il suo perdono. Per poter essere considerati giusti bisogna prima riconoscere il nostro stato di naturale malvagità. Bisogna ammettere che non abbiamo tenuto conto del fattore Dio nella nostra vita, né ricercato il suo volto. Bisogna accettare che in nostri sforzi non ci rendono migliori di quuei cattivi sopraindicati, e che la multa per i nostri sbagli è stata pagata da Gesù morendo sulla croce. Questa è la giustizia di Dio. La croce su cui muore un innocente è la giustizia del Signore.

Qual è la nostra scelta? Il signore ci offre queste ceste di salvezza, in cui alloggiare comodamente, purché siamo pronti ad abbracciare quella croce di giustizia che ci renda giusti malgrado la nostra naturale malvagità. Perché quanti di noi possano vantarsi di non essere scafisti, pedofili, razzisti, criminali o ladri, Gesù ha detto: chi è senza peccato? Non illudiamoci di una vaga giustizia che possa derivare da ciò che facciamo, ma abbandoniamoci nell’unico mezzo di giustizia possibile al mondo: l’amore di Dio che dà suo figlio a morire per noi!

4. Coda. La fornace ardente

Le immagini punitive suscitano sempre dibattito. Ci si chiede se questa fornace arda perennemente oppure solo un momento, ci si domanda cosa significhi esattamente… C’è chi come Sartre dice che non c’è bisogno di fornaci perché «l’inferno sono gli altri» (Sartre, La porta chiusa – Le huis clos) e che l’inferno è già qui dove troviamo di peggio che la fornace. Convinto che lo scetticismo epocale in cui ci muoviamo ci ha resi impermeabili a queste immagini minacciose, mi limito ad osservare che sono immagini di sofferenza e che indipendentemente dal come, la vita fuori da Dio è una vita trista. Che sia ora sulla terra, che sia perennemente la vita senza Dio è fatta di dolore, ed io in quel dolore non ci vorrei restare.

Gesù ha concluso chiedendo ai discepoli se avevano capito. Risposero di sì. Questa domanda viene rivolta a chiunque legga questa parabola. Avete capito queste cose?