Matteo 1: 1-17 La genealogia

Chi di voi è in grado di stabilire una lunga genealogia della sua famiglia, risalendo ai bisnonni e trisavoli dei proprio genitori? Si potrebbe fare un esperimento e vedere, ma dubito che saremmo in grado di salire oltre la terza o la quarta generazione… In questo potremmo sentirci pienamente in linea con quanto dice l’apostolo Paolo all’inizio della sua lettera a Timoteo, visto che gli raccomanda di non perdere tempo in “favole e genealogie senza fine che suscitano discussioni, invece di promuovere l’opera di Dio che è fondata sulla fede” (I Tim 1:4), idea che ribadisce alla fine dell’epistola a Tito: “Quanto alle genealogie…. evitale!”(Tito 3:9).

Tuttavia ci si potrebbe chiedere come mai allora Matteo decide di cominciare il suo vangelo proprio con una genealogia di Gesù Cristo – cosa che fa solo Luca tra gli altri evangelisti. Prima di rispondere possiamo tranquillamente dire che effettivamente queste stesse genealogie che troviamo nei vangeli pongono qualche problema. Quella di Luca e quella di Matteo sono infatti diverse tra di loro, e questa di Matteo comporta delle omissioni di re, crea dei gruppi di 14 che non sono sempre facili da giustificare, oltre al fatto che l’ultimo gruppo ne ha solo 13. Possiamo immaginare facilmente che qualcuno dietro a simili genealogie, sia queste che altre, possa perdere un sacco di tempo e sollevare delle liti che risultano poco utili per la fede. Ma una volta detto questo rimane il fatto che Matteo inizia il vangelo con una genealogia. Perché? L’intenzione di Matteo è molto chiara: vuole chiarire bene quali siano le origini di Gesù (proprio come la Genesia inizia spiegando le origini del cielo e della terra), e anticipare alcune delle caratteristiche che Gesù ha quasi esse fossero iscritte nel DNA della sua stirpe. Non si tratta di una ricostruzione storica fedele a tutti i fatti, ma di una genealogia teologica che mette in evidenza certi aspetti della storia che ha portato a Gesù. Vediamo dunque quali sono i motivi per cui Matteo comincia proprio con una genealogia e perché se esiste un uso perverso delle genealogia che Paolo condanna, ne esiste anche uno sano che Matteo pratica.

  1. Inserito nella storia di Israele.

I tre periodi che la scansione temporale di Matteo mette in evidenza sono tre fasi storiche determinanti per il popolo di Israele: il tempo dei patriarchi, il tempo della monarchia, il periodo esiliaco e post esiliaco presi insieme. Inserire Gesù in questa storia significa mostrare come egli sia la tappa finale e fondamentale della storia della salvezza. Parlare di Abramo significa parlare di colui che Dio ha chiamato facendogli una promessa di un popolo numerosissimo come le stelle del cielo; parlare della monarchia significa parlare di coloro che hanno beneficiato della realizzazione di questa promessa, vivendo nella terra promessa. Parlare dell’esilio significa parlare di un evento traumatico, della perdita della terra, del tempio, della punizione che il popolo riceve per la sua infedeltà. Menzionare tutto questo nel passato di Gesù significa dire che è pienamente un figlio del popolo di Israele, i cui antenati hanno recepito da Dio una promessa che ora conoscerà una nuova realizzazione. Ma soprattutto significa inserire Gesù in una cornice storia e non mitologica. Le persone indicate non sono divinità di un qualche panteon pagano, né essere semi-divini, ma persone in carne e ossa che hanno caratterizzato la storia di Israele di cui la memoria di quel popolo ha tenuto traccia. Gesù si iscrive quindi proprio nella storia, nella concretezza, nelle vicende felici e avverse che il popolo ha conosciuto e viene a dare una chiave di svolta.

Se vogliamo permetterci una piccola speculazione sui numeri, potremmo osservare un dato: nei primi due gruppi ci sono effettivamente 14 persone, ma nell’ultimo ce ne sono solo 13. Perché? Sembra quasi che rispetto alla simmetria dei primi due gruppi, l’ultimo, in fondo a cui viene Gesù, comporti una rottura: sembra quasi che Matteo, senza dire niente, voglia trasmetterci l’idea che Gesù viene a rompere la regolarità di questa storia in cui ognuno genera un’altra persona quasi meccanicamente e biologicamente, per sostituire questa generazione con delle nuove nascite dallo Spirito. Finora c’è stata questa storia: ora Gesù, crea qualcosa di nuovo: la nuova vita!

  1. Davide. La regalità

Salta agli occhi il fatto che Davide, dal primo versetto viene messo in valore. Gesù è figlio di Davide e di Abramo, e poi seguono dettagli. Perché? Non solo Gesù è pienamente inserito nella storia del suo popolo, ma incarna certe caratteristiche di quella storia. Davide è il re per eccellenza, che dà inizio al periodo monarchico – tenendo conto del fallimento di Saul. Dire che Gesù è il figlio di Davide significa dire che è il re dei Giudei, iscrizione che ritroveremo alla fine del vangelo sulla croce, con piena legittimità. Lungo il vangelo scopriremo che Gesù porterà una svolta anche nella concezione della monarchia, ma in questa fase iniziale dobbiamo semplicemente capire cosa viene anticipato, senza “spoilerare”… Esattamente come noi che andiamo a votare nelle democrazie moderni abbiamo delle grosse aspettative rispetto alle persone che eleggiamo, sperando che riescano a governare bene, il popolo di Israele aveva delle aspettative rispetto alla possibilità di restaurare il regno di Israele che era soggiogato dai romani. Se Gesù si presenta come l’erede del re Davide significa che è in grado di proiettare delle aspettative importanti di pace, di prosperità, di ridistribuzione della ricchezza, e che è in grado di realizzarle. Nella lettura dei capitoli successivi vedremo come questo si realizza, ma a questo stadio limitiamoci a chiederci: Gesù è capace ancora di creare in me delle aspettative? Mi aspetto da lui tanto quanto mi ha promesso? Sono rassegnato nei suoi confronti, sono dubbioso, oppure il nome di Re evoca in me uno scenario glorioso, che mi rende consapevole di essere davanti al grande Re che governerà bene la mia vita?

  1. Abramo, la fede.

Come detto, è messa in rilievo anche la figura di Abramo. Abramo è padre della promessa, e questo lo inquadra come il padre della fede. Una fede che gli ha fatto credere che Dio gli avrebbe dato una discendenza numerosissima. E una fede che una volta ricevuto il primogenito di una progenie numerosissima è stato disposto a sacrificarlo. Non perché fosse incosciente o non lo amasse, ma perché la sua fede in Dio era totale e sapeva che in qualche modo Dio avrebbe salvato Isacco dal sacrificio che Dio stesso chiedeva. Evocare Abramo significa evocare quindi l’uomo dalla fede totale. La fede di Gesù sarà ancora più totale, e sarà disposto non a sacrificare suo figlio, ma a sacrificare se stesso non rifiutando il calice che era previsto per lui. Anche qui non vogliamo anticipare ciò che già sappiamo, ma cerchiamo di cogliere fino in fondo il significato di questi personaggi importanti della genealogia di Gesù.

Ci accingiamo a leggere un vangelo, che abbiamo letto probabilmente già mille volte. Anche gli ebrei hanno sentito mille volte le storie di Abramo. Eppure con la lettura di questo vangelo vanno a riscoprire ancora chi è Abramo e che c’è qualcuno di più grande i Abramo. Preghiamo che anche per noi questa nuova lettura del vangelo di Matteo sia qualcosa che ci permetta di rafforzare e approfondire la nostra fede.

  1. Le donne. Dissolutezza ed estraneità.

Questa genealogia rispetto ad altre in voga nella letteratura giudaica di quel tempo ha una particolarità: cita alcune donne. Si tratta di donne dalle caratteristiche miste, non necessariamente modelli, e tutte straniere: Tamar, Raab, Rut, La moglie di Uria (Betsheba).

Tamar è una cananea, a cui il suocero Giuda non dà ciò che le spettava, cioè il figlio minore in marito essendo morto Er il primogenito di Giuda. Quindi lei si traveste da prostituta e ottiene un figlio da Giuda. Incesto! Ma Giuda le dà ragione, perché sa di averle fatto un torto (Genesi 38). Il meno che si possa dire è che viene evocata una storia un po’ equivoca.

Raab per motivi di cronologia non può essere la prostituta che ha ospitato le spie a Gerico, tuttavia quando viene evocata nell’immaginario giudaico la mente va proprio a lei. Una prostituta straniera, cananea che dimostra di avere fede.

Ruth è un modello di fede, è colei che sceglie di servire il Dio di sua suocera Naomi, ma è anche lei di origine una straniera.

Infine Betsabea, probabilmente ittita come suo marito, che evoca il peggior peccato della vita del re Davide, e penso che nessuno vorrebbe corredare la sua genealogia di un fatto così grave.

Credo che il messaggio sia molto chiaro: la genealogia di Gesù iscrive il figlio di Dio in un contesto chiaramente ebraico, ma questo non chiude le frontiere alle altre popolazioni. Nella stessa genealogia di Gesù prima del suo arrivo sono chiari i segni di una presenza straniera. In messaggio del vangelo non è destinato ai soli ebrei sebbene tra i vangeli quello di Matteo sia quello che fa maggiormente riferimento a categorie di pensiero ebraiche. È un messaggio aperto a tutti i popoli che ha una portata universale.

Inoltre questa genealogia regale non è fatta di persone brave, fedeli e raccomandabili. A parte queste donne in parte innocenti e comunque implicate in storie poco gloriose, abbiamo diversi personaggi che non hanno brillato per moralità, come lo stesso Giuda, Davide. Il Signore Gesù viene con un corpo di peccato, come erede di tutte queste persone imperfette e peccatrici. Non ne è il discendente fisico ma la genealogia simbolica della sua famiglia conta molto.

Il contesto storico e familiare dell’origine di Gesù è ora pronto, è il biglietto da visita che lo presenta. Ora si potrà ora parlare della sua nascita fisica.