L’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Luca 19, 28-44

Quando una persona importante giunge in un posto in cui è atteso ci possono essere diversi modi di accoglierlo, dal più festoso al più freddo. Ugualmente chi arriva può farlo in modo sobrio e sommesso, oppure in modo sfarzoso e fatto in modo da attirare gli sguardi. Il passo di oggi ci racconta del modo in cui Gesù è arrivato a Gerusalemme, arrivo che da tempo aspettavamo come lettori del vangelo di Luca grazie alle tante volte in cui il narratore ha precisato che Gesù stava camminando verso Gerusalemme. Più in particolare il passo di oggi è strettamente collegato a quello letto qualche mese fa al capitolo 13 di cui citiamo l’essenziale:

Luca 13

31 In quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere». 32 Egli rispose: «Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. 33 Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.

34 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! 35 Ecco, la vostra casa vi viene lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

Nel commentare questo passo avevamo detto che Gerusalemme diventa il simbolo di tutta l’umanità che rifiuta Dio e lo respinge, nonostante Egli cerchi di raccogliere i suoi figli, di avvicinarsi a lei, mandando profeti che vengono lapidati e uccisi. Il passo di oggi è quello del tempo in cui la città rivede Gesù, e lo accoglie dicendo benedetto colui che viene nel nome del Signore. Nel giro di poco tempo – forse solo tre giorni forse di più – Gesù è passato dall’essere rifiutato e a rischio di morte a causa di Erode, ad avere invece un’accoglienza per certi versi trionfale. L’avversione delle autorità rimarrà, ma da quanto leggiamo in questo passo le folle sono conquistate. Come mai? Cercherò di rispondere a questa semplice domande focalizzandomi negli elementi che sono in questo testo e valutando ciò che essi implicano.

  1. Gesù ha autorità

Una prima risposta è che nel corso di questo periodo Gesù ha acquisito autorità agli occhi del popolo. Molti sono diventati suoi discepoli e molti simpatizzano per lui. Questa autorità è venuta dal suo insegnamento capace di dissetare e curare il cuore di ogni uomo e dalle opere che hanno sempre accompagnato questo insegnamento. È molto interessante osservare che in questo passo Luca consacra molte parole a descrivere come è stato scelto il puledro. I discepoli andandolo a prendere hanno semplicemente detto: “Il Signore ne ha bisogno!”. È strano. Se qualcuno venisse a casa mia e chiedesse prendesse senza dire niente la mia bicicletta dicendo che ne ha bisogno, non sono sicuro che gliela darei, a meno che io non lo conosca. Ma questa semplice frase: “Il Signore ne ha bisogno” suona come un appello ad un’autorità ultima che non si può contestare. Non “un Signore”, uno qualunque, ma “Il Signore”. Probabilmente i proprietari del puledro hanno capito che si sta facendo riferimento a Dio, e che se Dio ha bisogno di qualcosa che appartiene loro non si possono sottrarre dall’appello che viene loro rivolto. Da semplici simpatizzanti o anche avversari si diventa discepoli quando si scopre l’autorità del Signore. Che Cristo non è solo profeta, messia, guaritore: è anche e prima di tutto Signore!

Questa trasformazione è allora quella che conosce chiunque si avvicini al Signore Gesù Cristo, o meglio chiunque a cui Gesù si avvicina. Gesù si avvicinato a Gerusalemme ed ai suoi abitanti. Possiamo prenderli come simbolo dell’intera umanità. Ci possono essere sentimenti di simpatia, di approvazione oppure, come in questo caso, di rifiuto, di aggressione. Tutto cambia quando si capisce che il Signore sta chiamando e che se ha bisogno di qualcosa di nostro, del nostro cuore, della nostra vita, non si può dire di no. I proprietari del puledro non contestano, perché hanno capito tutto. Gesù è il Signore! Molti abitanti di Gerusalemme in questo lasso di tempo hanno capito: sta arrivando il Re dei re! Tu cosa scegli? Vuoi che Gesù diventi il tuo Signore? Chi ha come questi discepoli il compito di andare ad annunciare che Gesù ha bisogno di noi, sappia che parlerà con un’autorità che scende dal cielo, con una forza non sua, ma che viene dallo spirito stesso di Dio.

  1. L’accoglienza di mantelli.

Non c’è solo autorità nella richiesta di andare a cercare un mulo per fare entrare il Signore. C’è anche un riferimento ben preciso che sono in grado di comprendere coloro che sono esperti di scritture. Il mezzo che si sceglie per recarsi in un posto trasmette sempre un significato supplementare. Il sindaco Marino appena eletto ci teneva a mostrare che usava la bicicletta che oggi è simbolo di ecologia, semplicità e forse di sportività… Quando a Lucca vedo i genitori degli alunni delle scuole del centro che entrano in una città piatta e medievale con dei macchinoni costruiti per arrampicare sulle montagne ho difficoltà a non credere che ci sia una qualche ostentazione di ricchezza, ed un’implicita ammissione di pigrizia… Quando Gesù decide di entrare a Gerusalemme a bordo di un ciuco, dice chiaramente a chi conosce le scritture che sta realizzando la profezia enunciata in Zaccaria 9,9: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.” Forse la folla potrebbe anche non capire – ma ha capito – ma le autorità religiose non sono scusabili: se la prima volta hanno rifiutato Gesù permettendo che Erode lo minacciasse di morte, ora sanno chi hanno davanti: il messia che verrà a bordo di un asina. Il fatto di per sé potrebbe anche non dire niente, perché chiunque potrebbe montare su un puledro per presentarsi a Gerusalemme, ma l’insegnamento e le opere potenti hanno preparato questo ingresso simbolico. Il messia è arrivato.

D’altro canto è molto bello vedere come reagiscono i discepoli. Dispiegano mantelli sul puledro e per terra. L’umiltà del mezzo di trasporto si coordina con l’umiltà dei mezzi di accoglienza. A Gesù non interessano ricchezze e fasto, ma interessa di vedere una folla che dà tutto quello che ha per vestirsi, il proprio mantello. Non tappeti rossi, ma mantelli vestiti da persone, necessari per coprirsi. Siamo pronti a spogliarci di quello che abbiamo per deporlo ai piedi del re Gesù, ed accoglierlo trionfalmente nella nostra vita? Non ci viene chiesta grandezza, ma ciò di cui disponiamo per glorificare.

  1. La gloria di Dio, le lacrime di Gesù.

Mano a mano che leggiamo viene spontaneo chiedersi se l’ingresso di Gesù in Gerusalemme sia trionfale o meno. Abbiamo detto che per i discepoli lo è, perché hanno realmente capito chi sia “colui che viene nel nome del Signore”. È il re, cioè il messia ed è il Signore. Nondimeno buona parte della città, la parte forte, la parte che conta, la componente religiosa incarnata dai farisei e dalle autorità della città vorrebbero fermare la lode che si innalza al cielo. Gesù stesso, se prima dice che le pietre parlerebbero, non pare felice. Il suo lamento è molto simile a quello della sua prima venuta, narrato nel capitolo 13 in cui si rammarica per la cecità spirituale della città, e della gran sofferenza che essa dovrà sopportare. Sono parole che molto probabilmente profetizzano la presa di Gerusalemme da parte dei romani nel 70 d. C. e la grossa disgrazia per il popolo ebraico provocata da questa guerra. Lo stesso evento è per alcuni un momento di glorificazione per altri una sciagura, proprio come Gesù è la pietra angolare che può essere un fondamento o un inciampo.

La necessaria glorificazione e le lacrime di Gesù ci riportano alla paradossale situazione del nostro tempo: tutto ciò che Dio fa ed ha fatto per noi ci porta ad un’inevitabile gioia e ad un impulso alla lode per ringraziare di quanto Dio ci ha dato. Questo però si accompagna sempre a lacrime, magari solo interiori, per lo sguardo che non possiamo togliere dalla sofferenza che nel mondo avanza. Prima di mangiare ringraziamo contenti per quello che abbiamo, ma non possiamo non pensar a chi muore di fame… Non smetteremo mai di rallegrarci per la grande gloria che ha portato nella nostra vita l’essere entrati nella Gerusalemme celeste. Non ci scorderemo mai tuttavia di rammaricarci per chi non è ancora entrato, e per quanta sofferenza esista ancora. Quello che però farà prevalere una gioia finale è che sappiamo che Gesù ha vinto. Che il futuro di chi crede assicura un mondo in cui Gesù è veramente il re dei re del mondo, e che il suo ingresso nella Gerusalemme terrena prelude a quello nella Gerusalemme celeste dove la sofferenza scomparirà e la pace e gloria saranno uniche a regnare nei luoghi altissimi. Questa è la prospettiva in cui glorifichiamo senza scordare la sofferenza.