La parabola delle 10 mine – Luca 19, 11-20

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La cosa giusta nel posto giusto! Ecco un’espressione con cui potremmo qualificare la parabola che leggiamo oggi. È una parabola che non potrebbe essere detta in altro posto che nei pressi di Gerusalemme; inoltre è una parabola appropriata a quel momento, perché ha forti riferimenti con la situazione politica di quel tempo. Infine sembra quasi necessaria in questo contesto narrativo dopo che Luca ci ha raccontato gli episodi del giovane ricco e di Zaccheo. Vediamo perché!
I luoghi
Più volte abbiamo osservato che Gesù si sta avvicinando a Gerusalemme e qui ci viene detto esplicitamente che Gesù disse questa parabola perché erano vicini a Gerusalemme. L’episodio che segue racconta infatti l’entrata di Gesù in Gerusalemme. Viene inoltre detto che i discepoli credevano che “il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro”. Gesù sa bene che avvicinarsi a Gerusalemme significa per lui andare a morire e significa anche che il suo ministero sulla terra finirà. Per i discepoli invece permane la credenza che Gerusalemme sarà un arrivo glorioso, la restaurazione del regno di Davide, in cui il messia – Gesù – caccerà via i romani che occupano Israele e farà giustizia al suo popolo. Intorno a Gerusalemme e al regno ci sono grosse aspettative da parte di entrambi e questa parabola serve a chiarificarle.
La parabola che Gesù racconta per alcuni versi è molto simile alla situazione politica vissuta dagli ebrei in quel momento con il re Archelao, figlio di Erode il Grande che dalla sua morte regna sulla Giudea. Archelao in effetti dopo essere stato acclamato re dal suo esercito partì per Roma per ottenere il titolo regale da Augusto e tornare ufficialmente. Una delegazione di 50 giudei si recò a Roma per protestare, perché era effettivamente poco amato da tutti i cittadini. È possibile che Gesù abbia voluto usare la situazione politica presente per far riflettere i suoi discepoli e dicendo che è possibile che esista un nobile che è odiato, che se ne va, che torna e che si comporta male. Tuttavia, se questa rabbia dei cittadini è giustificata nei confronti di Archelao non lo è nei confronti di qualcun altro: la storia in effetti si applica molto bene anche al rapporto tra Gesù il messia ed Israele: Gesù viene presentato al tempo di Gerusalemme da bambino, ci ripassa a 12 anni ed ora sta tornando, e normalmente dovrebbe essere riconosciuto dai suoi concittadini come un re, quindi con un titolo regale. Ma durante i tre anni che ha trascorso sulla terra molti dei sui concittadini gli si sono opposti. Perché minava il potere che questi avevano preso. Il significato di questa parabola è quindi duplice:
• da un lato c’è una dura condanna nei confronti di quegli ebrei che non volevano riconoscerlo come messia nonostante le sue opere e le sue parole. Questi si aspettavano un messia liberatore che avrebbe sconfitto i romani; la parabola dice loro non solo che il re imposto dai romani Archelao resterà in carica e che continuerà ad essere cattivo; ma anche che loro stessi saranno giudicati per non aver riconosciuto il messia.
• Dall’altro c’è un avvertimento ai discepoli fissati sull’arrivo del regno: sono convinti dell’arrivo imminente del regno perché loro invece il messia lo hanno riconosciuto. Il regno invece non arriverà nella forma che si aspettano e Gesù lancerà loro una sfida sul fatto che non bisogna concentrarsi su quando verrà il regno, ma su come aspettarlo.
Questi due insegnamenti relativi al luogo in cui ci troviamo incoraggiamo la chiesa di oggi a riflettere bene. Molti invocano il ritorno del Signore, molti lo calcolano facendo grossi errori, e creando false aspettative. Uno dei motivi per cui si deve essere prudenti è che bisogna sapere che il ritorno del messia, e il completamento del suo regno saranno anche un momento di duro giudizio che per molti non sarà piacevole. Come chiesa annunciamo la salvezza gratuita in Cristo, per sola fede e conversione. Con essa però annunciamo il giudizio in cui si incorre se non ci si abbandona nelle mani di Dio, altrimenti annunciamo un vangelo monco. Lo annunciamo nella consapevolezza di essere dei peccatori e dei mancanti, pronti quindi a farsi giudicare e confidando per questo giudizio esclusivamente nella grazia di Dio.

I servitori del re
Nel vangelo di Matteo c’è una parabola molto simile, quella dei Talenti, ma le differenze tra le due sono tali da far pensare che potrebbero essere state proprio due storie diverse con messaggi diversi. È infatti assente in Matteo la figura del re contestato che invece è presente qui. Simile però la parte relativa a questi valori assegnati ai diversi servitori. Dei dieci servitori a cui sono state date le mine – misure di peso ebraiche che avevano un controvalore in soldi – ne vengono interpellati tre. I primi due vengono premiati per aver fatto fruttare le mine, mentre il terzo viene redarguito per averla sotterrata e non averne tratto niente. Dopo la sgridata viene anche privato del poco che ha. Eviterei di perdermi nel cercare di capire cosa significhi che il primo ed il secondo servo avranno “potere sopra 10 o 5 città”; mi sembra un premio simbolico che viene menzionato per sottolineare che hanno fatto bene ad investire. La parte più lunga della parabola si attarda sul servo che ha agito male e questo credo debba interessarci. Perché questa punizione così dura?
Nuovamente dobbiamo scorgere un’accusa di Gesù contro i suoi concittadini. Chi più di Israele ha ricevuto valori, da parte di Dio? Scritture, opere potenti, liberazioni, personaggi straordinari come Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e il resto della lunga schiera dei testimoni della fede che hanno dato insegnamento ed identità al popolo? Ma cosa hanno fatto con tutto ciò? È servito loro per acclamare e riconoscere il messia? Ad alcuni di loro, come i due primi servitori, sì. Ad altri come il terzo, molto simile ai cittadini che hanno disconosciuto il re, no.
Dobbiamo chiederci cosa facciamo di tutte le ricchezze di cui, dopo 2000 anni di storia del popolo di Dio, siamo stati colmati. Pensiamo, dal semplice punto di vista materiale, alla falicità di accesso che abbiamo alla Bibbia, come libro, in formato cartaceo, elettronico, su internet, dove vogliamo! E con essa a tutti i libri che in pochissimo tempo possiamo consultare per essere arricchiti e crescere nella fede. Non sono semplice lettura ma riflessione sulla fede.
Spesso ci si preoccupa di sapere che fine farà chi non ha sentito dire niente del Vangelo. Questa parabola non ci dice niente riguardo a questo, ma sembra preoccupata di farci sapere che chi ha avuto tante opportunità e non le ha sfruttate farà un brutta fine: perché gli sarà tolto anche il poco che ha. Cosa facciamo di tutto ciò che abbiamo visto, sentito ed avuto, da parte di Dio?

I soldi
Il problema dei soldi sembra interessare Gesù in modo particolare. O forse i soldi interessano talmente tanto gli uomini che Gesù non può fare a meno di insistere su questo potente amico/nemico dell’uomo. Gli episodi visti in precedenza ci hanno detto molto sui soldi. Quello del giovane ricco insegna che chi ha come unico scopo nella vita il possesso dei beni, e non vuole staccarsene, non può entrare nel regno di Dio. L’episodio di Zaccheo ci insegna che vivere rubando ed arricchendosi non rende felici, e che la felicità sta piuttosto nel restituire quello che si è ingiustamente tolto ad altri. Questa parabola delle mine ci rivela un ultimo errore relativo al denaro: quello di ritenerlo talmente problematico e sporco da non volerlo neppure toccare, nascondendolo sotto terra e privandosi anche del buon uso che se ne può fare. I primi due servitori hanno investito, hanno fatto fruttare. C’è una responsabilità di ogni credente a fare un buon uso del denaro che andrà sia nello sforzo della ridistribuzione del denaro, come Zaccheo, sia nel gestire e nel far avanzare il regno di Dio. Finanziare missioni, missionari, chiese, opere che si occupano di glorificare Dio ed aiutare il prossimo lottando contro il male è un vero investimento per il regno di Dio.
Questa parabola, come già le precedenti, sfida il nostro portafoglio, ed il modo in cui gestiamo il denaro che Dio ci dà in concessione perché lo usiamo per il suo regno. In tutto il vangelo non c’è alcuna demonizzazione in sé del denaro, e questa parabola ce lo conferma. Fingere che non ci sia è sbagliato tanto quanto vivere per esso o rubarlo. Il denaro c’è. Il problema è se c’è per la gloria di Dio o per la gloria dell’uomo!

Conclusione
Dette queste cose Gesù può proseguire verso Gerusalemme che aveva salutato da lontano al capitolo 13, e che ora finalmente rivede per un incontro non trionfale, ma doloroso.