La parabola del fico sterile – Luca 13, 6-9

 

 

 

Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna; andò a cercarvi del frutto e non ne trovò. 7 Disse dunque al vignaiolo: “Ecco, sono ormai tre anni che vengo a cercare frutto da questo fico, e non ne trovo; taglialo; perché sta lì a sfruttare il terreno?” 8 Ma l’altro gli rispose: “Signore, lascialo ancora quest’anno; gli zapperò intorno e gli metterò del concime. 9 Forse darà frutto in avvenire; se no, lo taglierai”».

Introduzione

Nel nostro linguaggio il termine «fico» indica un ragazzo gagliardo ed estroverso, ammirato da tutti. Vorrei chiedervi se vi sentite dei «fichi» e concludere, che dopo la lettura della parabola dovremmo tutti sentirci tali. Prima di questo però, ricordiamoci che nel linguaggio evangelico il fico è spesso usato come metafora di Israele. Notiamo anche che questa parabola viene detta in un momento in cui Gesù ha appena ricordato che chi subisce (vv. -1-5) delle disgrazie non è punito da Dio, e non è più peccatore di altri: ricorda che siamo tutti ugualmente peccatori indipendentemente da ciò che ci capita e dobbiamo ravvederci. Che rapporto c’è tra questa riflessione e la nostra parabola?

1. Contro una credenza popolare: chi soffre se lo merita

Erano in molti in Israele – ed anche oggi – a credere che chi soffre è sicuramente in parte o del tutto responsabile della sua sofferenza. Se questo è letto in una cornice teologica viene fuori che a chi capitano disgrazie – crolli di torri, vittime di violenza altrui, attentati terroristici, incidenti di auto, terremoti – è oggetto di una punizione divina. Ricordo che dopo l’attentato alle torri gemelle molti predicatori americani fecero mea culpa per lo stato peccaminoso in cui l’America si trovava. La parabola esprime lo stesso concetto con l’idea che il tale che ha un campo è Dio, e che quando non trova frutto decide di estirpare le piante sterili che consumano inutilmente il terreno. Credo che sia una tentazione tipica di ogni tempo e luogo quella di voler spiegare il male con delle causalità immediate: è un discorso efficace perché responsabilizza chi è vittima del male e lo porta a fare esami di coscienza – quando non lo getta in disperati sensi di colpa…

è un ragionamento tanto diffuso e affascinante quanto poco biblico. Certamente Dio può punire chi fa il male, ma non ci sono nessi di causa-effetto necessari tra disgrazie e punizioni divine. Inoltre, l’immagine del Dio poliziotto pronto a punire di continuo non corrisponde bene al Dio che sin dall’Antico Testamento invia profeti, a riprendere, soccorrere e liberare il suo popolo.

Gli amici di Giobbe ieri, e molti credenti oggi cascano facilmente in questa trappola, consistente nel trovare necessari collegamenti tra ciò che si vede nell’esterno della vita delle persone e il loro Spirito. Credo che questa parabola ci spinga in primo luogo ad allontanare simili ragionamenti.

2. Una credenza suggerita da Gesù: chi soffre non se lo merita più di altri.

Una prima risposta di Gesù, data nel commentare gli episodi della disgrazia del crollo di una torre e della violenza di Pilato consiste non nel dire che nessuno ha colpa di niente e che la colpa è sempre di altri (Pilato in questo caso, o i costruttori della torre), ma che tutti siamo peccatori e che tutti faremo quella fine… Il messaggio di Gesù è duplice: saggiamente inquietante per un verso e pieno di speranza dall’altro.

Inquietante. Israele ha in quel momento l’opportunità di incontrare il messia e di riconoscerlo come tale, ravvedendosi. Il periodo di tre anni, corrisponde per altro proprio agli anni che Gesù ha trascorso sulla terra, e può essere un’indicazione di tempo precisa per quella generazione. Non riconoscerlo come messia è inquietante! E lo è anche per ogni uomo oggi: se non abbiamo capito che dobbiamo tutti ravvederci, cioè fermarci, ristabilire un rapporto con il Dio che ci ha creato ed amato, tornando a lui e confessando il nostro stato di mancanza nei suoi confronti, non ci aspetta altro che una fine simile a quella delle vittime del crollo e di Pilato. O, secondo la parabola, non ci aspetta altro che essere sradicati e bruciati… Che significa dare frutto? Dare frutto significa produrre una vita secondo la volontà di Dio. E questa vita non viene da sola, naturalmente. Deve essere piantata da Dio in noi. Convertirsi, ravvedersi significa questo: lasciare che Dio pianti in noi un seme che porta una vita che segue la sua volontà. Significa anche che da un momento all’altro la nostra vita potrebbe finire, e se non c’è questo frutto finisce male…

Applicazione: considerazioni su come molti sprecano la vita, vivendola in modo autoreferenziale e vuoto. Mi spaventa il vuoto prodotto dal consumismo, dalla tecnologia, dall’accontentarsi di una vita superficiale.

Speranza. Il messaggio di Gesù tuttavia è anche pieno di speranza, perché quel «se non vi ravvedete» indica che se invece ci ravvediamo la prospettiva è ben diversa.

3. Gesù il vignaiolo.

La vera speranza è illustrata dal personaggio del vignaiolo: l’immagine descrive molto bene il lavoro che Gesù ha fatto per Israele: zappare, concimare, aspettare. Per tre anni Gesù ha zappato e concimato. Ha parlato, operato miracoli, guarito persone, insegnato a folle, sfamato: sono operazioni consistenti nel concedere favori, grazie specifiche alle persone che lo hanno seguito, che hanno avuto nei cuori delle persone lo stesso effetto che la zappatura o la concimatura hanno sulle piante. Sono 2000 anni che Gesù aspetta. Ognuno di noi deve sapere che se pensa che la sua vita si vuota, priva di senso, triste o difficile, Gesù sta zappando e concimando intorno a lui. Gesù sta aspettando che quella persona porti il frutto che Dio si aspetta, abbandonandosi nelle sue mani.

Gesù si rivolge anche a chi da anni si è convertito. Ci chiama a sentirci dei fichi nelle sue mani, ma anche dei viticoltori. Ci chiama ad avere pazienza con chi ci è intorno, continuando a zappare: zappare significa dissodare terreni, aiutare le persone a sciogliere dubbi intorno a Dio, a rimuovere quegli ostacoli che si ergono come barriere tra Dio e le persone. Dissodare la terra dura costituita dalla tradizione e le false credenze su Dio. Concimare, aggiungendo alla vita degli altri una sostanza che fa pensare a Dio, che odora di spirito e che aiuta a crescere nella fede, con consigli, letture, parole sagge.

Conclusione

Mi viene da dire che dopo la lettura di questa parabola, mi sento molto «fico»! E non solo! Ho voglia di fare sì che si sentano «fichi» anche quelli che mi stanno intorno. Fichi piantati dal Signore e viticoltori nella vigna di Dio