La conversione, le conversioni

Testi: Marco 1, 16-20 e Marco 2, 1-16

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 Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17 Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini». 18 E subito, lasciate le reti, lo seguirono. 19 Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. 20 Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.

Marco 2, 1-16.

1 Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2 e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola.
3 Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. 4 Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. 5 Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».
6 Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: 7 «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?».
8 Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? 9 Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? 10 Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, 11 ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua». 12 Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
13 Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. 14 Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi».
Egli, alzatosi, lo seguì.
15 Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. 16 Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?». 17 Avendo udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori».

Questo messaggio è il primo dell’anno 2017. Ora, il passaggio da un anno all’altro è un fatto del tutto relativo, e l’organizzazione temporale potrebbe cambiare cambiando calendario. Ma per chi condivide un certo calendario, come noi in occidente quello che conta gli anni a partire dalla nascita di Gesù, il passaggio da un anno all’altro ha un valore simbolico. Lo prendiamo come tale, e come spunto per parlare di un qualcosa di veramente nuovo: quel fenomeno che nella Bibbia prende il nome di «conversione». È un termine chiave della storia delle chiese evangeliche, e continua ad esserlo, e come ogni termine che è molto in uso, il rischio dell’abuso è sempre alle porte. Per altro, alcuni studiosi notano che nel mondo della teologia una volta si parlava moltissimo di conversione, mentre nell’ultimo secolo si è parlato molto di più di giustificazione, aspetto inscindibile dalla conversione. Crediamo allora che parlarne anche in modo teologicamente ragionato sia una priorità per la chiesa. Infine, trattandosi della prima tappa del cammino della fede, è importantissimo darle tutta la centralità che essa occupa: buone basi poste all’inizio dell’anno nei cuori di chi si converte e di chi vive la chiesa, contribuiranno a costruire una chiesa ben fondata, che cercherà di evitare false conversioni o conversioni superficiali.

1. La chiamata alla conversione riguarda tutti. Pescatori, malati, ed espliciti peccatori.

Vorrei leggere questi passi non nella loro unicità, ma cercando cosa li rende comuni. Abbiamo qui tre storie, storie di persone che vengono chiamate da Gesù. Sono storie molto diverse tra di loro, che riguardano persone con vissuti diversi. Un gruppo di pescatori di cui sappiamo poco, se non che occupano una posizione piuttosto bassa nella scala sociale, che non sono degli specialisti della religione, ma hanno sicuramente delle conoscenze su di questa, come ogni membro del popolo ebraico. Il secondo è un disperato. Paralitico in una società che per i disabili ha ben meno strutture ed ausili della nostra. Ha tutte le carte in regole per essere oggetto della compassione di tutti, di Gesù in primo luogo, e dei quattro che l’accompagnano.Infine abbiamo un vero e proprio farabutto. Levi è uno che raccoglie le tasse per conto dei romani occupanti, un traditore del popolo, e che probabilmente, traeva un interesse dall’attività che svolgeva.

Potremmo avere sentimenti vari rispetto ad ognuno di questi personaggi e molti punti di vista per analizzarli. Potremmo considerarli tutti vittime di una società soggiogata da un’altra, visto che i romani li occupano, come ultimi appartenenti ad una delle province del mondo che cercano di vivere come possono, alcuni onestamente altri di espedienti, come fortunati o sfortunati in base alle loro condizioni fisiche. Ma quando li osserviamo davanti a Gesù le nostre analisi non hanno più senso. Sono persone. Sono esseri umani creati da un unico Dio che in modo speciale e personale li chiama. La nostra cultura ed educazione ci spinge a fare una serie di differenze, spesso anche opportune per valutare i diversi casi umani: ci sono persone che hanno avuto molte opportunità, che sono nate in paesi ricchi, in famiglie ordinate, che hanno studiato, hanno avuto beni materiali, opportunità di studiare, acculturarsi, scoprire belle cose della vita… Ma in queste stesse società alcuni vivono sotto la soglia della povertà, alcuni come quel paralitico, hanno enormi problemi insiti nel loro stesso corpo, alcuni hanno famiglie sfasciate e percorsi di vita disastrosi… Eppure tutti hanno profondamente bisogno di Dio. Quelli che stanno bene, come quelli che stanno male. Pensiamo spesso che chi sta male goda di una specie di favore, che lo rende automaticamente vicino a Dio, che in quanto povero, oppresso o malato sia già oggetto della grazia divina. Tuttavia quando valutiamo la posizione di ogni uomo davanti a Dio troviamo che la risposta è univoca: ogni uomo, a prescindere dalla sua classe sociale, dalla sua educazione, dall’essere nato in una famiglia cristiana o meno, dalla sua salute ha un profondo bisogno di Dio e deve fare un passo verso Dio. Nessuno nasce avendo già Dio nel cuore e nessuno nasce credente. Si può nascere sentendo parlare di Dio, si può ricevere informazioni su di lui, ma tutti senza distinzione hanno la responsabilità di rispondere ad una chiamata personale e diretta da parte di Dio.

Per alcuni che hanno avuto un passato disastrato, di sofferenza, o di grave difetto morale, è abbastanza chiaro cosa significhi un giorno cambiare rotta, ricevere una chiamata. Ma per molte persone nate in famiglie in cui la fede è stata predicata sin dalla più tenera infanzia può essere difficile capire quando arriva questo specifico momento di conversione… Eppure anche lì, si sceglie, si sceglie di perseverare, di continuare a rimanere nel solco in cui si è stati cresciuti facendolo proprio, ed in effetti parlando con chi è nato in una famiglia credente ci si rende conto che chi si è convertito può non sapere quando, ma è convinto di essere stato chiamato e di voler restare in quella via. È anche questa una conversione rispetto alla naturale inclinazione umana.

In sintesi, e indipendentemente dalle esperienze personali, questi semplici testi ci portano ad affermare un principio che troviamo meglio esplicitato nell’epistola ai Romani: «Che dire dunque? Noi siamo forse superiori? No affatto! Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sottoposti al peccato » (Rm 3,9). Tutti hanno quindi bisogno di convertirsi.

2. In tutti e tre i casi c’è un cambiamento.

Sarebbe bello esaminare tutti i casi di conversione nella Bibbia, per vedere quali punti li accomunano, ma oggi volutamente mi limito a questi due testi. Se siamo d’accordo che un cambiamento è necessario dovremmo capire in cosa consiste questo cambiamento. I due testi danno tre risposte diverse, che hanno sempre un elemento comune. I discepoli che vengono chiamati mentre pescano sembrano fare qualcosa di molto semplice, cioè lasciare e seguire. Eppure in questo lasciare e seguire c’è un’enormità di cose. Significa lasciare un mestiere, una casa, forse anche una famiglia almeno temporaneamente, e seguire Gesù in un cammino faticoso e difficile, per altro rischioso come quello di diventare «pescatori di uomini». Questo comporta un cambiamento radicale delle scelte, delle abitudini, dello stile di vita.

Nel caso di Levi è abbastanza ovvio ciò che lascia: lascia una vita in cui rubava, frodava, ad una vita in cui segue Gesù, cessando di fare estorsioni e crimini. Per molti di noi la conversione è questo: lasciare che questa parola pronunciata da Gesù: «seguimi!» trasformi la vita in modo da poter lasciare qualcosa, quindi in questo caso dei peccati.

Nel caso del paralitico il cambiamento è più evidente, perché prima non camminava ed ora cammina. Ma questo non è l’elemento fondamentale della sua conversione! Il punto fondamentale è la dichiarazione di perdono che Gesù gli rivolge: i tuoi peccati ti sono perdonati! Non solo puoi camminare, ma puoi sentire pace con Dio, puoi sentirti a posto davanti a lui. La società in cui viveva calcava la mano sulla sua condizione di malato, collegandola a sue eventuali responsabilità, fattore che ha sicuramente aumentato la sofferenza di quell’uomo. Gesù non gli dice: siccome sei malato non sei un peccatore, ma più realisticamente: i tuoi peccati ti sono perdonati. E se ti senti particolarmente in colpa per un pregiudizio culturale che attribuisce a chi è malato colpe punitive particolari, sentiti libero, perché ora sei perdonato. In una parola: il paralitico lascia una vita paralizzata, in cui non si muove né come corpo né come spirito, ad una vita libera in cui può andare avanti leggero. Anche questo è un lasciarsi alle spalle qualcosa.

Oggi noi siamo proprio come queste categorie di persone chiamate da Gesù, ed i ognuno di noi c’è qualcosa che cambia. Per alcuni si tratterà di una guarigione da una malattia, o da un peso psicologico schiacciante da cui ci sentiamo liberati, come nel caso del paralitico. Per altri si tratterà di cessare una vita di furbizie, concretizzata in un mestiere disonesto, come quello del cambiavalute, che potrebbe essere oggi il ladro, lo spacciatore o lo sfruttatore. Per altri ancora, come i discepoli che forse avevano una vita regolare, fatta di lavoro, famiglia e fatica, e sicuramente non esente dal peccato, si tratterà di cambiare principio di riferimento: hanno lasciato una vita che aveva come guida altro (e dentro questo altro ci metto tutto: religioni, ideologie, mode, sogni, impulsi, comportamenti) e che ora ha come guida il maestro. Per tornare a chi è sempre stato in una famiglia che gli ha insegnato la fede, significherà lasciare una semplice conoscenza della fede, perché questa sia vita, e continuare a farlo. Convertirsi allora significa seguire Gesù come maestro, cambiando direzione. Nessuno di noi andava già nella direzione di Gesù, e per questo seguirlo è sempre una «conversione», una svolta un camminare dietro di lui che ogni uomo è chiamato a fare, se vuole che la sua vita non finisca nel niente, ma continui nell’eternità.

Anche coloro che si sono convertiti tra di noi, e che da tanti anni sono diventati credenti, possono chiedersi oggi: cosa mi ricordo di avere «lasciato» e come ho seguito? E ancora: ho lasciato tutto? Ho smesso di commettere quei peccati che la Bibbia indica come tali e che non sono più un’abitudine per me? È una domanda fondamentale che orienta la nostra vita cristiana e ci deve costringere eventualmente a riordinarla, perché la conversione dopo il momento iniziale va avanti, altrimenti non è una conversione ma un aborto…

3. La voce di Dio.

In ognuna di queste conversioni notiamo che il momento in cui Gesù parla è determinante. La semplice parola: «seguimi!» fa smuovere i discepoli e Levi, e l’ordine «Alzati e cammina», dato ad uno che non si è mai alzato e non ha mai camminato bastano per determinare dei cambiamenti. Io non andrei dietro chiunque mi dice: «seguimi!», e se avessi l’ernia al disco non mi metterei a trasportare pesi perché qualcuno me lo dice. Per farlo devo riconoscere un’autorità in chi mi parla.

Quanto scatta il miracolo della conversione succede che chi si converte avverte che le parole, gli ordini, o i consigli che gli sono rivolti non vengono da uomini ma da Dio stesso. I discepoli hanno seguito perché hanno sentito chiaramente qualcosa di divino nelle parole di Gesù, e così Levi. Il paralitico ha sentito che poteva fidarsi di quelle parole più delle gambe di cui non poteva fidarsi, e così i 4 che lo hanno accompagnato.

Chi di noi si è convertito ha percepito la provenienza divina delle parole di Gesù. Possono essere state le lettura delle Scritture stesse, possono essere state le parole di un amico che le riportavano, o ancora sogni… Il punto è che un messaggio con un significato chiaro di provenienza divina ci ha colpiti. Io ricordo di essere stato colpito dalle parole di Gesù che diceva: «Io sono la via, la verità, la vita». (Gv14,6). Non le capivo a pieno, e non mi convertii la prima volta che le lessi; ma questo cominciarono a scavare in me, perché la loro origine divina era chiara.

Alcuni di noi hanno forse riconosciuto che sono state rivolte loro parole che vengono da Dio. Hanno percepito la sua voce, attraverso le Scritture o le parole ascoltate in chiesa: che aspettate a fare la grande svolta? È il momento di dire sì a colui che chiama e che va seguito per una vita trasformata, che trova la forza di dire di no al peccato, che trova la forza di camminare con gambe malate, che trova la forza di cambiare stili di vita per entrare in una vita nuova.

S.M.