Isaia 53 – Il servo che soffre

I

Isaia 53 è un capitolo estremamente famoso. È forse il passo messianico dell’Antico Testamento più noto, citato più volte nel nuovo testamento, direttamente o indirettamente (Mt 8:17, Atti 8:33-34, Rm 4, 25; I Cor 15:3 ect). Presenta anche un’idea nuova per il libro di Isaia: i capitoli che abbiamo visto finora trattano temi che si ripetono, qui invece si parla di un Servo che soffre al posto degli uomini. E questa sofferenza innocente consente il perdono dei peccati. È un’idea nuova, che fa comunque riferimento all’idea di espiazione e di morte sostitutiva, ben nota nell’Antico Testamento e spiegata in Lev 16: 6-10; 20-22

 6 Aronne offrirà il proprio giovenco in sacrificio espiatorio e compirà l’espiazione per sé e per la sua casa. 7 Poi prenderà i due capri e li farà stare davanti al Signore all’ingresso della tenda del convegno 8 e getterà le sorti per vedere quale dei due debba essere del Signore e quale di Azazel. 9 Farà quindi avvicinare il capro che è toccato in sorte al Signore e l’offrirà in sacrificio espiatorio; 10 invece il capro che è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti al Signore, perché si compia il rito espiatorio su di lui e sia mandato poi ad Azazel nel deserto.

20 Quando avrà finito l’aspersione per il santuario, per la tenda del convegno e per l’altare, farà accostare il capro vivo. 21 Aronne poserà le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra di esso tutte le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto. 22 Quel capro, portandosi addosso tutte le loro iniquità in una regione solitaria, sarà lasciato andare nel deserto.

Se non è facile capire il senso pieno di questi testi in tutti i loro aspetti, emerge in modo chiaro un concetto importante per il popolo ebraico: c’è un peccato che va in qualche modo espiato, e questi sacrifici sottolineano la gravità di questo peccato e la necessità di fare qualcosa per cancellarlo, benché attraverso dei rituali. Altri testi, come quelli di profeti come Isaia, metteranno in chiaro il valore simbolico di questi rituali, spiegando che il rituale in sé non serve a niente, e che esso trasmette un’idea importante: è Dio a fare qualcosa perché questi peccati vengano perdonati. Questo è il cuore del nostro testo: qualcuno, chiamato Servo di Dio, soffre al posto degli uomini. Isaia 53 presenta dunque un’idea importante per il popolo di Israele, quella dell’espiazione del peccato, attraverso una vittima sostitutiva, nuova rispetto ai 52 capitoli precedenti, ma non nella cultura del popolo. Per chi frequenta una chiesa evangelica in genere questo passo è piuttosto conosciuto e letto in momenti importanti che ricordano nuclei fondamentali della fede cristiana.

Per leggere questo passo oggi, vorrei prendere sul serio la domanda con la quale il passo si apre, e vedere come possiamo rispondere.

Chi ha creduto alla nostra rivelazione?

A chi è stato manifestato il braccio del Signore? (Chi è il braccio del Signore?).

La domanda è stata rivolta ai contemporanei di Isaia nel VIII secolo a.C. i quali avranno cominciato ad interrogarsi sull’identità di questo messia; i contemporanei di Gesù, quelli della sua generazione, e persone come l’Eunuco con cui parla Filippo, si saranno chiesti a chi si applicasse, e i discepoli hanno avuto il compito di indicare che Gesù era quel servo. Ma la domanda si rivolge anche a noi oggi, che possiamo trovare buone ragioni per credere che quanto detto da Isaia è vero, oppure rifiutarlo… Sulle ragioni possibili del rifiuto o della fede si articolerà la nostra riflessione di oggi.

A. Ragioni per non credere: Chi ha creduto?

  1. Il passo dice chiaramente che molti non hanno creduto. Perché? Perché il servo: «non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci.» (v.2) Il servo sofferente era un uomo come gli altri, non era un eroe straordinario, non aveva un aspetto esteriore tale da attrarre. Così è stato per i contemporanei di Gesù, e per noi oggi, condizionati come siamo dalla bellezza, dalla forma estetica, dall’esteriorità, richiamo di valutare Gesù, ed i passi che parlano di lui, in modo puramente esteriore, non approfondito. Probabilmente un bel film, la lettura di un libro, lo shopping, una bella macchina attirano molti di noi, ben di più che la figura di un uomo comune. La nostra epoca è caratterizzata da una grande ignoranza e sulla persona stessa di Gesù, che spesso si conosce solo attraverso il folklore delle feste, come Natale o Pasqua, unita ad un certo relativismo per cui in fondo ogni leader spirituale è uguale agli altri. Per questo molti oggi potrebbero non interessarsi alla persona di Gesù e a quello che ha fatto per noi: non attira, sa di vecchio…
  2. E’ disprezzato dagli uomini e la maggior parte delle persone non ne ha nessuna stima. In altri termini una maggioranza delle persone non disprezza, e quindi si può seguire la maggioranza.
  3. Infine l’intera storia di un Servo che si sacrifica e che paga per gli altri come capro espiatorio può sembrare molto complicata, o poco adatta alla nostra epoca che insiste molto sulla responsabilità individuale. Molta teologia contemporanea ritiene che l’idea di sostituzione sia primitiva e sbagliata, che implichi l’esistenza di un Dio cattivo e vendicativo.

B. Ragioni per credere

Sebbene molti ad uno sguardo superficiale preferiscano dunque non credere un simile passo ha una profondità e una bellezza che colpiscono e a cui è importante dare una risposta seria.

  1. Ha pagato ciò che nessuno poteva pagare. È un dato di fatto che gli essere umani pecchino. Sbagliano, volontariamente ed involontariamente, agiscono male, con secondi fini, con interesse. Lo facciamo tutti in quanto uomini e non esistono uomini perfettamente integri. Se alcuni errori si possono riparare, magari restituendo ciò che si è rubato o scusandosi con chi si è offeso, il nostro continuare a sbagliare con quei delitti, iniquità, di cui parla Isaia è imperdonabile. Se diamo su di noi uno sguardo lucido ci rendiamo conto che non possiamo rimediare a tutto, ci vuole un aiuto esterno. Questo aiuto il servo sofferente lo presenta. Gesù si è identificato a lui ed ha veramente pagato un prezzo che non potevamo pagare. La natura gratuita di questo dono ci lascia scettici, essendo oggi la gratuità sospetta e spesso mascherata per presentare in realtà offerte costose, tuttavia il dono di Gesù consistente nel pagare con la sua vita il castigo dei nostri peccati, è veramente l’unico dono veramente gratuito. Perché nessun altro averebbe potuto pagarlo.

I passi scandiscono le fasi di questo lavoro di Dio per noi:

5 Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità;
il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.

È molto chiaro qui il valore sostitutivo: avremmo dovuto essere puniti noi, ma è stato punito lui.

10. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione… è molto chiaro il valore espiatorio, cioè ciò che rende soddisfatto un Dio perfettamente giusto e perfettamente buono che non può chiudere gli occhi sulla gravità del peccato.

11. il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. È molto chiaro il valore di giustificazione, il fatto che rende giuste delle persone ingiuste, e peccatrici indipendentemente dalla loro azione.

Questi elementi su cui si è attardata molta teologia e su cui si sono scritti numerosissimi testi, rischiano di sembrare molto teorici o lontani se non ci rendiamo conto della posta in gioco. La posta in gioco è la nostra cattiveria, il problema del male nell’esistenza umana, quel male creato responsabilmente dagli umani. Come può Dio perdonare gli uomini rimanendo giusto? Sostituendo una vittima pura, che possa espiare, soddisfare, e rendere giusti coloro che non sono più condannati davanti a lui. È ciò che altrove è chiamato salvezza per sola grazia, per il solo favore ed intervento di Dio. Per questo io credo che dobbiamo credere! Perché da soli non ci salviamo! Perché le nostre azioni sono limitate e inutili, perché non possiamo pensare di compensare il male col bene.

  1. È pericoloso snobbare l’opera di Dio. Possiamo passare accanto al sacrificio di Cristo con sufficienza, senza dargli il dovuto peso, un po’ come si passa accanto a quei crocifissi di legno che ormai dicono molto poco… Possiamo dire che tutto ciò sembra molto complesso, e fare come fa una maggior parte dicendo che alla fine ci sono cose più attraenti ed interessanti. Questo testo ci invita a pensare che allora il castigo di Dio resta su di noi, non viene spostato sulla vittima che ha portato per noi i nostri peccati. Viviamo nel peccato e rimaniamo schiavi di questo peccato, suoi dipendenti, incapaci di liberarcene. Per molti il peccato rappresenta un mondo doloroso ma affascinante, per cui sguazzarci dentro è un esperienza dolorosa ma infondo garante di brevi piaceri in cui ci si abbandona volentieri, un po’ come il vizio di fumo che rischia di produrre morte a lungo andare, ma da cui molti non riescono a sottrarsi. Il servo di cui ci parla questo passo parla di un dolore autentico, accettato passivamente e consapevolmente, che non può essere osservato con sufficienza senza che le conseguenze siano estreme. Quindi crediamo perché la punizione del non credere è tremenda.
  2. Spartire il bottino della vita (12)

Negli ultimi versetti vediamo un’immagine molto ricca che è una promessa di speranza per chi crede.
12 Perciò io gli darò in premio le moltitudini, egli dividerà il bottino con i molti.

Forse l’immagine del bottino potrebbe evocare scenari di guerra, e sembrarci in fondo poco spirituale. Ma ricordiamo passi come Efesini 6 in cui Paolo prende proprio l’immagine della guerra per far capire quanto sia forte il conflitto fra Dio e il male, paragonabile ad un combattimento. La vita e l’affermarsi del Regno di Dio è un continuo combattimento spirituale. E questo Servitore non è il capo militare di una guerra violenta, ma colui che guida chi crede in una lotta «non contro carne e sangue, ma contro autorità….» Il servitore ha preso su di sé la violenza umana per annullarne la sua forza e condividere con chi crede con lui una salvezza di pace, da condividere in comunione, in moltitudine, già a partire dalla vita presente. Accettare la morte del servitore sofferente significa vincere con lui e spartirsi il bottino della ricchezza della vita, che non è fatta di soldi, ma di pace con Dio, di comunione con altri fratelli, di condivisione, di certezza di una vita futura eternamente con Dio. Per questo credo che sia fondamentale credere!