Il tesoro e la perla (Matteo 13:44-46)

Quando eravate bambini che tipo di evento vi faceva fremere dalla gioia?

Quando ero piccolo una delle cose che preferivo in assoluto, una delle cose che mi riempiva più di gioia, eccitazione, aspettative era andare all’Europapark, un parco divertimento in Germania. Il giorno prima di una gita all’Europapark avevo difficoltà ad addormentarmi, mi immaginavo sulle montagne russe, pensavo a quale percorso fare per ottimizzare il tempo nel parco e così via.

Voglio farvi vedere un video, nel quale un ragazzino è pieno di gioia per un motivo…non tanto comune: https://www.youtube.com/watch?v=Q_0AWu1pZoM

Mat 13:44-46

(44)  “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo.

(45)  “Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle;

(46)  e, trovata una perla di gran valore, se n’è andato, ha venduto tutto quello che aveva, e l’ha comperata.

Nel nostro percorso sullo studio delle parabole di Gesù siamo quasi giunti alla fine delle parabole raccolte da Matteo nel capitolo 13. In queste settimane abbiamo visto come queste parabole evidenziano e descrivono diversi aspetti relativi al regno di Dio. Un concetto, quello del regno, che deve essere centrale nella nostra vita come credenti.

Nella prima parabola sul regno, quella sul seminatore, abbiamo visto come colui che crede al regno e come un buon terreno che porta frutto, il 30, 60 o 100 per cento. Il regno quindi porta frutto nella vita delle persone che ne fanno parte, perché Gesù dice che questo frutto, il grano della seconda parabola, cresce non da solo ma circondato dalla zizzania. Nonostante questa difficile convivenza tra grano e zizzania, tra mondo e regno di Dio, il credente può trovare incoraggiamento dal sapere che, così come il seme di senape e il lievito, il regno parte piccolo, circondato da enormi difficoltà, ma è destinato a crescere sempre di più.

Oggi guardiamo altre due brevissime parabole che sono, in molti aspetti, anche molto simili.

Nella prima il regno viene paragonato ad un tesoro che si trova in un campo. Questo tesoro viene scoperto da un uomo che, avendo valutato il valore del tesoro, vende tutto quello che possiede per poter comprare il campo e il suo prezioso contenuto. Nella seconda parabola un mercante un mercante, alla ricerca di perla, ne trova una che vale così tanto che anche lui vende tutto quello che ha per comperarla.

Piccola nota: secondo alcuni studiosi il mercante della seconda parabola rappresenta Gesù che sacrifica tutto per una perla preziosa, cioè l’essere umano. Si tratta di una bella lettura, ma credo che, come detto fino ad ora, queste parabole abbiano lo scopo di spiegare il concetto di regno di Dio, e quindi che la perla sia una rappresentazione del regno, e in particolare del valore incommensurabile del regno. Credo inoltre che le due parabole possano essere lette insieme, e questo ci facilita l’interpretazione che ne facciamo.

Si tratta di due parabole abbastanza lineari e alla lettura del testo aggiungo qualche commento.

Gioia, la prima cosa che voglio mettere in risalto è la gioia. Nelle due parabole la gioia è espressamente collegata solo all’uomo del campo, ma sono abbastanza sicuro che anche il mercante fosse pieno di gioia alla scoperta della perla. È come se Gesù, dopo aver parlato delle difficoltà che contraddistinguono il regno durante la sua fase terrena, ci tenga comunque a precisare che questo regno è caratterizzato anche da tanta gioia. La gioia è stato, tra l’altro, il tema del campo per ragazzi della scorsa settimana e il campo di per è un esempio di gioia del regno. Gioia che abbiamo visto sui visi dei ragazzi, gioia nel giocare insieme a loro, scherzare insieme a loro, mangiare insieme a loro, condividere insieme a loro storie e insegnamenti sulla Bibbia. In particolare con i ragazzi abbiamo studiato la storia del figlio prodigo, sottolineando la gioia che c’è nel godere non tanto di beni passeggeri come i soldi, ma piuttosto della gioia che c’è nel godere della relazione e della presenza con il Padre, un Padre pronto ad amarci sia se abbiamo sbagliato come il figlio minore ma anche se abbiamo sbagliato come il figlio maggiore. Ma anche gioia nel collaborare e conoscere meglio i nostri fratelli e le nostre sorelle americani, gioia dall’essere accumunati dalla stessa appartenenza al regno e dall’avere lo stesso obiettivo, gioia nell’aver visto la protezione e la provvidenza del Signore. Gioia nel poter incontrare i genitori a fine settimane e condividere con loro cosa ci spinge nelle nostre iniziative, ovvero l’amore di Gesù. Spesso come credenti siamo molto presi dalle difficoltà della nostra vita. Siamo così bravi a giustificare la sofferenza dell’essere umano e del credente (sia da un punto di vista teologico e teorico che da un punto di vista empirico e personale), che ci dimentichiamo della gioia della vita. Una situazione che ha descritto bene Domenico Modugno in una vecchia canzone, resa di nuovo popolare negli ultimi anni dai Negramaro.

“È vero credetemi è accaduto di notte su di un ponte guardando l’acqua scura con la dannata voglia di fare un tuffo giù. D’un tratto qualcuno alle mie spalle forse un angelo vestito da passante mi portò via dicendomi così:

Meraviglioso ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso. Meraviglioso perfino il tuo dolore potrà apparire poi meraviglioso.  Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto: ti hanno inventato il mare, tu dici non ho niente, ti sembra niente il sole! La vita, l’amore.”

Dobbiamo imparare a gioire nelle benedizioni che abbiamo nella nostra vita. Personalmente vorrei che come chiesa fossimo conosciuti come una comunità gioiosa, una comunità conscia della difficoltà della vita ma che al tempo stesso riesce a gioire per le tante benedizioni di una vita passata con il Signore.

Questa è una sfida che si rinnova tutti i giorni della nostra vita come credenti: saper gioire anche quando la vita è difficile, perché in Dio possiamo gioire anche quando la vita è difficile, perché lui non cambia, il suo amore non cambia, la sua grazia è davvero più grande dei nostri sbagli e dei nostri peccati, il suo atteggiamento è davvero come quello del Padre del figlio prodigo, disposto a correrci incontro dopo che abbiamo sperperato i suoi beni.

Una comunità che con gioia viene al culto, una comunità che si rallegra davanti ad un pasto condiviso, che si rallegra nell’aiutare il prossimo, che si rallegra a contatto con il creato, a investire il proprio tempo per la crescita del regno nella propria città e fino all’estremità della terra. Una comunità gioiosa, frutto della presenza del Signore. Una gioia santa e basata sul Signore, come accaduto per il popolo di Israele quando, alla presenza di Neemia ed Esdra, ha ascoltato la lettura della Parola di Dio.

Neh 8:8-10

(8)  Essi leggevano nel libro della legge di Dio in modo comprensibile; ne davano il senso, per far capire al popolo quello che leggevano.

(9)  Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i Leviti, che insegnavano, dissero a tutto il popolo: “Questo giorno è consacrato al SIGNORE vostro Dio; non siate tristi e non piangete!” Tutto il popolo infatti piangeva, ascoltando le parole della legge.

(10)  Poi Neemia disse loro: “Andate, mangiate cibi grassi e bevete bevande dolci, e mandate delle porzioni a quelli che non hanno preparato nulla per loro; perché questo giorno è consacrato al nostro Signore; non siate tristi; perché la gioia del SIGNORE è la vostra forza”.

Il secondo punto che viene fuori da queste due parabole è che il regno ha un grande valore. Il valore del regno non è quello che ha un seme di senape o il lievito, bensì il valore del regno è simile a quello di un grande tesoro o di una bellissima perla. Il regno è quindi simile al seme o al lievito nel suo essere piccolo e umile ma destinato a crescere, e al tempo stesso è simile al tesoro e alla perla in quanto a valore. Ovviamente il valore di questo regno è tale solo per coloro che lo riconoscono come tale.  Se l’uomo nel campo non avesse riconosciuto il valore del tesoro trovato, non sarebbe stato ricolmo di gioia, non avrebbe venduto tutto quello che aveva per acquistare il campo. E lo stesso dicasi per il mercante. Se stiamo cercando qualcosa di diverso del regno, se stiamo cercando la gioia in cose lontane dal Signore allora non potremo gustare la bellezza e il valore del regno. Così come ci dimentichiamo a volte della gioia di questo regno, altre volte ci dimentichiamo del valore del regno. Oggi possiamo intuire facilmente il senso della parabola di Gesù sulla perla, ma probabilmente non riusciamo a comprendere appieno la forza di questa similitudine. Oggi le perle rappresentano ancora qualcosa di valore, ma meno rispetto al passato. Prima del 1900 infatti, le perle erano molto più costose perché non erano ancora coltivabili (cosa che hanno iniziato a fare i giapponesi a partire dal 20 secolo) e soprattutto non era possibile riprodurre delle copie artificiali, grazie a resine e plastiche,pli abbastanza simili alle perle naturali. Dopo millenni nei quali la parla aveva rappresentato un segno di prosperità, di classe sociale nobile, di status, oggi tutti possono indossare le perle. Ai tempi di Gesù la situazione invece era decisamente diversa. Il valore delle perle viene descritto da Plinio il Vecchio, uno scrittore romano del I secolo,  che nel IX libro di Naturalis Historia scrive:

“occupano il primo posto e il posto più eminente tra tutte le cose di valore le perle: esse ci arrivano attraverso tanti mari, attraverso terre così lontane e sconfinate e solo così ardenti”.

Le ostriche sono abbastanza comuni in varie zone del mondo eppure una perla bianca era estremamente difficile da trovare, da qui il valore di questo ornamento. Quando penso a Dio, mi sento come ad una perla ai tempi di Gesù o come davanti ad una perla artificiale in un negozio di bigiotteria? Come mi sento quando penso che Dio si interessa di me, che mi cerca, che mi parla attraverso il ministero di Gesù e il lavoro dello Spirito Santo? Quando penso che mi offre per grazia la salvezza, la purificazione dei peccati, un rapporto personale e quotidiano con lui, realizzo il valore di questo regno? Io personalmente molto spesso disprezzo questa perla, come un maiale. Prendo consapevolmente delle scelte sbagliate, trascuro la lettura della Bibbia e la preghiera, non mi allontano dal male. Non credo di essere il solo a sperimentare queste difficoltà. Non credo di essere il solo a vivere questi momenti difficili. Non credo di essere il solo che non sperimenta la gioia a causa del lavoro del nemico contro la propria vita. Per questo motivo devo, e dobbiamo, riflettere su queste cose, riflettere sul valore della perla che ci è stata data, riflettere sulla sua bellezza e perfezione. I momenti difficili non si vincono restando passivi, ma impegnandoci attivamente a ricercare il Signore e non ciò che gli è contrario, impegnandoci attivamente, come dice la Bibbia, ad aborrire il male e attenendoci fermamente al bene (Rom 12:9.) Il Signore ci assicura che la perla e il tesoro valgono più di qualsiasi altra cosa, e noi dobbiamo fare nostra questa promessa, dobbiamo aggrapparci a questa promessa nei momenti più bui.

È infine l’ultimo punto: il regno comporta sacrificio. L’uomo del campo e il mercante di perle sono stati disposti a vendere tutto quello che avevano, a rinunciare a tutto pur di non perdere il tesoro che avevano trovato. Il sacrificio in questione cambia di persona in persona. In alcuni paesi entrare nel regno di Dio significa dover sacrificare la propria famiglia, o il proprio lavoro. Per alcuni vuol dire mettere a repentaglio la propria vita. Per altri può voler dire dover rinunciare a dipendenze, a costosi passatempi, a relazioni sbagliate. Mi hanno raccontato quando le prime persone si sono convertite a Isola del Gran Sasso, spesso questa decisione non veniva presa bene dai famigliari e dai compaesani, al punto che durante delle evangelizzazioni le persone lanciavano pietre contro questo nuovo gruppo di credenti.

Qualche giorno fa leggevo questa citazione di John Piper, un pastore e autore americano, il quale ha affermato che “amare Dio (che equivale a essere nel regno di Dio, ad amare il regno) vuol dire essere soddisfatti in lui più che nel proprio coniuge, più che nei figli, più che nella salute, più che nella vita.” Forse questa affermazione ti sembra eccessiva, il vaneggiare di un esaltato. Non basta credere vagamente che un Dio esiste? Non basta venire in chiesa la domenica? Se Dio è un Dio di amore allora sicuramente non chiederà alcun tipo di sacrificio da parte nostra e alla fine ci salverà sicuramente, giusto?

No, no e ancora no! Dio ha sacrificato tutto mandandoci suo Figlio. E il Figlio ha sacrificato sé stesso. Il sacrificio che il Signore ti sta chiedendo di fare può sembrarti troppo grande, ma non è niente se paragonato a quello che Dio ha fatto per noi e al tempo stesso non è niente se paragonato al valore del regno. L’uomo del campo e il mercante di perle hanno fatto le proprie considerazioni e hanno valutato che tutto quello che avevano valeva meno del tesoro e della perla. Se hai scoperto il tesoro, non fuggire da esso, ma investi tutto quello che hai per farlo tuo. Ti assicuro che sarà la scelta migliore della tua vita. La gioia che proverai sarà simile a quella del bambino del video che abbiamo visto.

Questo punto non è però rivolto solo a coloro che sono alle porte del regno ma non vi sono ancora entrati. Anzi, è una sfida per tutti noi che ci professiamo credenti. Cosa stiamo sacrificando a causa della gioia del regno dei cieli? A cosa stiamo rinunciando, cosa stiamo prioritizzando, in cosa stiamo investendo? Siamo disposti a rinunciare al nostro io, ai nostri bisogni, al nostro tempo libero per il regno di Dio? Cosa faremo questa estate per il regno di Dio? Ogni estate vengono organizzati numerosissimi campi per ragazzi, viaggi missionari, esperienze di servizio con chiese locali. Magari non puoi partire, allora perché non riflettere su come usare questa stagione per servire e aiutare questa chiesa nel compito di proclamare alla città di Lucca dell’esistenza di un Dio che desidera relazionarsi con tutti noi?

I sacrifici che facciamo per il regno ci portano a guadagnare quello che non si può perdere, come la gioia del Signore e il regno in tutto il suo valore.

Concludo citando Jim Elliot, uno famoso missionario ucciso dalla tribù che stava evangelizzando in Ecuador, che ha scritto in un suo diario questa frase “Non è uno stolto colui che dà quello che non può tenere per guadagnare quello che non può perdere.”