Il servitore ingrato – Matteo 18, 15-

15 «Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello; 16 ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni. 17 Se rifiuta d’ascoltarli, dillo alla chiesa; e, se rifiuta d’ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18 Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo.
19 E in verità vi dico anche: se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. 20 Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
21 Allora Pietro si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?» 22 E Gesù a lui: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
23 Perciò il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. 24 Avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti. 25 E poiché quello non aveva i mezzi per pagare, il suo signore comandò che fosse venduto lui con la moglie e i figli e tutto quanto aveva, e che il debito fosse pagato. 26 Perciò il servo, gettatosi a terra, gli si prostrò davanti, dicendo: “Abbi pazienza con me e ti pagherò tutto”. 27 Il signore di quel servo, mosso a compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28 Ma quel servo, uscito, trovò uno dei suoi conservi che gli doveva cento denari; e, afferratolo, lo strangolava, dicendo: “Paga quello che devi!” 29 Perciò il conservo, gettatosi a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me, e ti pagherò”. 30 Ma l’altro non volle; anzi andò e lo fece imprigionare, finché avesse pagato il debito. 31 I suoi conservi, veduto il fatto, ne furono molto rattristati e andarono a riferire al loro signore tutto l’accaduto. 32 Allora il suo signore lo chiamò a sé e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; 33 non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?” 34 E il suo signore, adirato, lo diede in mano degli aguzzini fino a quando non avesse pagato tutto quello che gli doveva. 35 Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello».

La parabola che leggiamo oggi serve ad illustrare un concetto fondamentale del regno, prima espresso sotto forma di comandamento e poi ripreso con la parabola. Il concetto di cui si parla è il perdono, e ciò che motiva l’importanza del perdono è l’importanza assoluta nel regno delle relazioni umane. Nel regno di Dio le persone non sono oggetti né mezzi per ottenere qualcosa, ma fini con cui si intrattengono relazioni. Sono così importanti che pur di rappacificarsi, di perfezionarle e renderle buone bisogna andare a cercare chi ci ha offesi e convincerlo. Non si tratta solo di chiedere scusa se abbiamo sbagliato, ma di andare a cercare il ristabilimento di una relazione con chi ha peccato contro di noi. Avendo un’infinita disponibilità a perdonare – anche se letteralmente perdonare 490 volte non sarebbe un cattivo traguardo… Il ristabilimento della relazione è così importante perché le relazioni qui sulla terra , continueranno anche in cielo: ciò che leghiamo qui, le relazioni buone o cattive che intessiamo tra di noi, continueranno eternamente. Non solo: Dio è presente nel momento in cui si lavora su relazioni rovinate, per cui è necessario perdonarsi: quel «Laddove 2 o 3 sono riuniti», spesso citato per giustificare un culto con poche persone, o l’esistenza in vita di una chiesa poco numerosa, riguarda in realtà il contesto delle relazioni tra le persone di chiesa che si adoperano per una convivenza adeguata al regno dei cieli. Dio è presente, perché questa convivenza è importante! Veniamo dunque alla parabola.

  1. Le condizioni del perdono: la richiesta.

Prima cosa importante: il perdono va richiesto. È vero che Gesù ordina che si vada a cercare chi ha peccato contro di noi, chiamando anche testimoni pur di convincerlo. Ma il perdono da parte di chi ha sbagliato deve essere richiesto. Generalmente le persone non sono mai perfettamente convinte dei loro errori e nei conflitti c’è sempre una parte di torto e di ragione dalle due parti, ecco perché Gesù parla di «convincere». C’è un lavoro da fare su noi stessi, un confronto con l’altro che servirà ad entrambi. Già questo semplice fatto mi pare importante, visto che spesso le persone si offendono ed evitano di confrontarsi, coltivando rancore e risentimento per conto proprio. Una volta cercato il chiarimento, chi ha capito di aver sbagliato deve chiedere perdono. Se non c’è questa richiesta non c’è perdono viene meno anche l’obbligo di perdonare.

Mi ha sempre colpito la preghiera di Rosaria Costa, moglie in un agente della scorta del giudice Falcone, ucciso dalla mafia, che durante il funerale del marito e di Falcone intervenne con queste parole:

«Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani – Vito mio – battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato – lo Stato… – chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso».«[…] chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio… di cambiare… loro non cambiano

Ci sono credenti che davanti a parabole o passi simili a questi vanno in crisi, perché immaginano una situazione tragica come questa, di una ragazza di 22 anni con una figlia che ha visto il marito ucciso dalla mafia e si sente incapace di perdonare. Io credo che sia pienamente comprensibile, e questa parabola ci ricorda che il perdono va richiesto, chi ha peccato, si deve mettere in ginocchio. Questo ci porta ad un secondo aspetto.

  1. La grandezza del perdono. La disponibilità infinita a perdonare

Gesù non parla della gravità dei fatti da perdonare. Non fa una sorta di gerarchia fra peccati più o meno gravi, alcuni perdonabili altri no, alcuni veniali ed altri capitali. Gesù non punta tanto sull’oggetto del perdono, sul merito, sulla cosa da perdonare, ma sulla disponibilità a perdonare all’infinito quando il perdono viene richiesto. Questo perché l’essere umano e la sua vita non sono mai «finite». Le relazioni sono sempre aperte, c’è sempre una possibilità di cambiamento, le persone non sono già adesso chiuse per l’eternità. Fanno delle scelte sbagliate, molto spesso rivedibili, ma mai definitive – fintanto che sono in vita. Ciò che fanno ha conseguenze eterne, certo, da parte di chi deve concedere il perdono ci deve essere un’infinita disponibilità a perdonare.

Cito un altro fatto di attualità, meno noto, che mi ha colpito. Lessi un articolo di un signore italiano, emigrato in Germania, aggredito da due nazi skin. Questo signore, benché sia rimasto invalido, ha detto che voleva perdonare questi ragazzi perché avevano bisogno di fiducia. Mi colpi molto, e lo detti a leggere ad un mio alunno che benché molto giovani seguiva un movimento di estrema destra della nostra città. Non so che effetto abbia avuto su di lui, ma posso solo auspicare che come credenti, come cittadini del regno riusciamo ad imitare l’esempio di questo compatriota.

  1. Il motivo del perdono.

Fin qui questa parabola ci ha posti una posizione di potenziale favore: quel «se tuo fratello ha peccato» iniziale ci fa pensare a noi come dispensatori del perdono ed ai nostri fratelli come necessitosi di perdono. In realtà la parabola ci mette davanti ad una notizia che trovandosi nel vangelo è una «buona notizia», ma che di primo acchito ci può sembrare una «»brutta notizia… Il motivo per cui siamo in dovere di perdonare, laddove il perdono venga richiesto, è che quel suddito del re rappresenta ognuno di noi, perché tutti abbiamo avuto, abbiamo ancora ed avremo sempre, un grosso debito. Davanti a Dio non abbiamo crediti, ma solo debiti. Qualcuno potrà dire: «La mia vita è stata terrbile, non ho avuto niente, solo sofferenze, delusioni e frustrazioni. Non ho chiesto di venire al mondo, e quindi non sento di avere debiti». Altri invece forse saranno d’accordo, perché penseranno di aver ricevuto tanto: case, una bella famiglia, un bel lavoro, e quindi forse si sentono in debito. Ma non è questo il motivo del debito. Il motivo del debito è che Gesù, indipendentemente dalla nostra volontà, ci ha amati ed ha dato la sua vita per noi, proprio per mettere fine alle nostre sofferenze provocate sì dalle vicissitudini della vita, ma anche dalle nostre risposte a queste. Se la cattiva notizia è che abbiamo un debito, la buona notizia è che questo debito con Dio Gesù lo ha pagato morendo sulla croce, aprendo per noi la via al Padre, e la libertà di un rapporto diretto e pieno con Dio.

Se Dio ha perdonato il nostro debito, se ci riconosciamo in quel servitore, allora la motivazione morale, psicologica e teologica per perdonare la troviamo qui, nel perdono infinito di fronte ai nostri continui errori che il Dio dell’infinita bontà ha offerto, pagando con la vita di suo figlio sulla croce.

Forse non ci rendiamo conto di quanto ampia sia l’applicazione di questa verità. Ho citato l’esempio eclatante della vedova dell’agente Schifani, ma questo sebbene utile a capire un aspetto può essere fuorviante. Ci fa pensare al perdono solo per fatti, appunto, eclatanti, come il perdono di un omicidio. Il contesto quotidiano e ordinario di questa parabola, quella della contrazione di un debito di denaro, ci fa capire quanto frequente e ordinaria sia la necessità di perdonare, e quanto essa si debba applicare ai contesti più ordinari: quanto volte devo perdonare mia moglie che mi risponde in modo nervoso? 490! Quante volte devo perdonare mio figlio che non obbedisce? 490! Quante volte devo cercare la conciliazione e il perdono con il mio collega di lavoro che fa il contrario di quello che vorrei? 490! Quante volte nel vicinato – le liti tra vicini sono tra le prime cause di cronaca nera – devo ritornare a ricercare la riconciliazione? 490! Perché? Perchè più di 490 volte Dio mi ha perdonato e mi perdonerà.

  1. La formazione del perdono.

A conclusione di tutto ciò vorrei fare un’osservazione sull’ultima parte, quella su coloro che non perdonano. Il servitore che non perdona non viene abbandonato, ucciso, o mandato via, ma costretto a pagare. Questo non penso significhi che si finisce di scontare le pene dell’inferno un giorno, ma piuttosto che se non si perdona, si soffre. Si vive male… Si vive tormentati da aguzzini che vivono in logiche di vendetta e non di perdono.

La preghiera che rivolgiamo al padre è quella di capire bene chi è quel re che è pronto a perdonare. Che per noi Dio sia la fonte del perdono di cui abbiamo bisogno, come anche il modello a cui riferirci per perdonare chi ci ha offesi.