Il patto con Mosè

Il patto con Mosè

«Facciamo un patto!» è una di quelle espressioni che non siamo abituati ad associare al mondo della spiritualità, e forse neppure a Dio. Eppure, come già visto, l’idea di patto è una delle idee più importanti dell’Antico Testamento, ed è il tipo di relazione che Dio sceglie per rapportarsi agli uomini. O meglio, agli uomini che sono disposti ad accettare questo patto…

La settimana scorsa abbiamo studiato il patto dei patriarchi, costituito di tre sfide: ubbidire, credere, camminare alla presenza di Dio, e tre benedizioni, inclusione nel patto, conforto ed eternità del patto. Se Dio ha parlato di quel patto con i patriarchi non significa che questo sia finito nelle sue implicazioni, e vedremo oggi come quel patto viene rilanciato tra le pagine dell’Antico Testamento per presentare altri patti.

Quattrocento anni dopo quel patto Dio sente i lamenti del popolo di Israele ridotto in schiavitù dagli egiziani.

Esodo 2:24

Dio udì i loro gemiti. Dio si ricordò del suo patto con Abraamo, con Isacco e con Giacobbe.

Il libro dell’Esodo comincia con una forte connessione con la Genesi e viene ricordato subito il patto con i patriarchi che motiva tutta l’azione di Dio nei confronti del suo popolo. Il Dio che ha fatto un patto è un Dio che non scorda e che ripensando a persone vissute molto prima presta attenzione ai discendenti. Il libro dell’Esodo potrebbe essere riassunto come la prova della fedeltà di Dio al patto fatto con i patriarchi, benché vediamo che questo patto si carichi di nuovi significati. Difatti Dio chiama Mosè e gli dice le seguenti parole:

Esodo 6,6-8: Contenuto del patto e lato divino

Perciò, di’ ai figli d’Israele: “Io sono il SIGNORE; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù (LIBERATORE) e vi salverò (gaal: redimere, riacqusitar) con braccio steso (GUERRIERO) e con grandi atti di giudizio (GIUDICE) . 7 Vi prenderò come mio popolo, sarò vostro Dio e voi conoscerete che io sono il SIGNORE, il vostro Dio, (PADRE) che vi sottrae ai duri lavori impostivi dagli Egiziani. 8 Vi farò entrare nel paese che giurai di dare ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe. Io ve lo darò in possesso; io sono il SIGNORE” (PATTO CON I PATRIARCHI)».

In questo passo non viene menzionata la parola «patto», ma le formule di apertura e chiusura: «io sono il Signore», oltre alle promesse espresse ci fanno capire che si tratta proprio del contenuto di quel patto di cui Dio si è ricordato. Consideriamone gli elementi principali che ci mostrano quali sono gli impegni di Dio. Avevamo infatti visto che tutti i patti hanno delle condizioni, e qui Dio che pure è l’iniziatore del patto, pone una serie di condizioni con le quali impegna se stesso nei confronti di Israele.

1. Il Dio liberatore, salvatore, redentore.

Rispetto al tempo dei patriarchi il mondo è cambiato. I figli di Giacobbe sono diventati un popolo, ma questo popolo soffre. Il modo in cui Dio si presenta è in primo luogo quello di essere un liberatore. Un liberatore dallo strapotere di un faraone, sovrano assoluto e considerato un dio in terra che abusa liberamente del suo popolo e dei popoli soggiogati. Dio sarà quindi un liberatore, che libera dalla schiavitù. Sarà un salvatore, ed il verbo usato gaal porta proprio il senso di «riprendersi indietro, restituire qualcosa di preso abusivamente». Si tratta di termini che continueranno ad avere un’eco fortissima in altri testi dell’Antico Testamento (come nei profeti) e che caratterizzeranno sia l’esodo dall’Egitto che l’esodo da Babilonia, fino ad arrivare al Nuovo Testamento. Ne propongo fra i numerosissimi alcuni particolarmente incisivi che sono accomunati da una stessa idea legata al patto che Dio fa con il suo popolo:

  • Esodo 15,2  Il SIGNORE è la mia forza e l’oggetto del mio cantico; egli è stato la mia salvezza.

  • Ezechiele 36, 29: «salverò il mio popolo da tutte le sue iniquità»

  •  Matteo 11, 21 «Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati»

Che si tratti di una salvezza da un popolo oppressore, o dalle stesse iniquità cioè comportamenti maligni, contrari alla legge di Dio, disumani e contrari a Dio, che finiscono per rendere schiavo l’intero popolo che li pratica, Dio si presenta da sempre come SALVATORE. Colui che paga un riscatto, che riprende ciò che è suo, che riporta in libertà. Lo scopo che abbiamo nell’analizzare l’Antico Testamento è scoprire come tra quelle Scritture e Gesù, quindi tra Antico e Nuovo testamento, nonostante alcune ovvie differenze, ci sia una sostanziale continuità ed una vera e propria complementarietà. Salvare, liberare e riscattare sono tratti essenziali di quel Dio che si rivela come JHWH, e che diventano parte di Gesù, entrando persino nella radice del suo nome. Non sto ad elencare i passi del nuovo testamento che parlano di «salvezza» perché credo siano fin troppo conosciuti, ma mi preme far notare come questa salvezza affondi le sue radici nell’Antico Testamento che ci presenta un Dio che da sempre salva.

Se si parla di Egitto, di esilio, di peccati, forse è chiaro da cosa Dio salvi. Ma da cosa ci salva Dio oggi? Ci salva dalle stesse cose di quel tempo lontano, che si ripresentano in diverse forme, sempre ugualmente schiavizzanti. Molti cittadini di paesi in cui vigono regimi dittatoriali hanno trovato nella libertà interiore nel conoscere Dio più grande di quella degli ebrei liberati dall’Egitto. Molte persone prigioniere di una vita vuota, schiava di paura per il domani, di dipendenze, di mancanza di senso, di incapacità di rompere legami distruttivi, hanno trovato liberazione, salvezza in Cristo. Quel Gesù Cristo nel cui nome è presente l’idea di salvezza del Dio dell’Antico Testamento.

Ho voluto fare un rapido giro su internet per vedere quali tipi di liberazione vengono fuori digitando: «Liberato da Cristo»: depressione, droga, colpa, satana, paura… C’è ancora molto bisogno oggi del Dio che libera, che salva ogni uomo pronto a lasciarsi vincere dalla depressione, dal non senso, dalla paura e da qualunque forma di vita che non sia la vita piena e vera che Dio ha previsto per ognuno di noi. C’è anche chi ha bisogno di essere liberato dall’idea che non ci sia bisogno di essere liberati… Perché siamo tutti schiavi di qualcosa, se non lo siamo di Dio, fosse anche della nostra autosufficienza. Ti senti salvato e libero? È una delle condizioni per poter dire di conoscere Dio!

2. Il Dio guerriero vittorioso

Altro elemento proprio del Dio che si presenta in questo passo è quello di essere un Dio guerriero. L’immagine stona con i tempi moderni e dopo secoli di guerre di religione, di abusi di potere da parte di religiosi, di stati che impugnano la religione per strumentalizzare le masse e di chiese che si avvalgono del braccio armato dello stato per imporre il loro credo, tutto vorremmo meno che sentire dire che Dio è un guerriero… Eppure questa metafora è chiara e presente nei testi e non possiamo baipassarla né trascurare le implicazioni che questa ha fin nel Nuovo Testamento.

Nel passo appena letto viene detto:

  • Esodo 6, 7con braccio steso (GUERRIERO) e con grandi atti di giudizio (GIUDICE)

  • Esodo 15, 3-4: Questi è il mio Dio, io lo glorificherò, è il Dio di mio padre, io lo esalterò. Il SIGNORE è un guerriero.

Come spiegare questa immagine che mal si adatta all’idea di Dio che abbiamo ai nostri tempi. Per capirla dobbiamo di nuovo tuffarci nella mentalità del tempo, in cui un faraone oppressore, dittatore e sovrano assoluto spadroneggiava sulla vita dei sui sudditi. Il Signore sceglie di salvare un popolo di schiavi e lo fa con azioni di punizione e di giudizio, intervenendo con violenza: farà morire i primogeniti degli egiziani e affonderà l’esercito del faraone nel mar rosso. Nel resto dell’Antico Testamento questo elemento non viene eliminato e Dio continua ad essere a volte un guerriero per Israele, e spesso anche contro, nella misura in cui si allontana. Questo aspetto finisce e sparisce nel nuovo testamento? No, nel modo più assoluto. Facendo un salto veloce fino al Nuovo Testamento il linguaggio della guerra non passa e rimane: Gesù sulla croce «ha scacciato fuori il principe di questo mondo» (Gv 12, 31); «Come può uno entrare nella casa dell’uomo forte e rubargli la sua roba, se prima non lega l’uomo forte? Allora soltanto gli saccheggerà la casa» (Mt 12, 29). «ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce» (Col 2, 15). Sono solo alcuni esempi tra i tanti di espressioni forti, guerriere che ci parlano di una guerra spirituale che va avanti e che ha radici nell’antico testamento che ci racconta che c’è una guerra tra Dio e satana, e che questa guerra la vince Dio. Sulla croce Cristo riprende tutta la simbologia della guerra e fa ricadere su di sé il peccato degli uomini, la loro violenza, la loro incapacità di vivere nella pace. E non bisogna pensare che questa immagine, del Dio guerriero appunto, cessi: perché il Dio che giudica e che giudicherà il mondo è un Dio che punirà, che non lascerà il male impunito come se non fosse grave. Rispetto all’idea di un Dio non buono, ma buonista, che è solo amore e non giustizia e che lascerebbe impuniti i crimini che noi uomini abbiamo colpevolmente commesso, l’immagine del Dio guerriero ha ancora molto da dire e da insegnare: Dio giudicherà il mondo, e le ingiustizie di chi ha vissuto indipendentemente dalla legge di Dio e dalla sua rivelazione in Cristo non saranno lasciate impunite: c’è un tempo per ravvedersi, ed è il tempo presente in cui viviamo. Se non vogliamo schierarci dalla parte del Dio salvatore e liberatore, finiremo nelle mani del Dio guerriero non in nostra difesa, ma come avversario… è un tema dell’Antico Testamento che si protrae nel nuovo e con l’Apocalisse trova il suo apice, libro non certo «Pacifico»…

3. Il Dio che dà la terra

Nell’ultima parte del passo che abbiamo letto si legge: «Vi farò entrare nel paese che giurai di dare ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe. Io ve lo darò in possesso; io sono il SIGNORE». La promessa fatta ai patriarchi viene ripresa questa idea è ribadita alcuni capitoli dopo sempre nell’esodo.

Esodo 34:10

Il SIGNORE rispose: «Ecco, io faccio un patto: farò davanti a tutto il tuo popolo meraviglie, quali non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del SIGNORE, perché tremendo è quello che io sto per fare per mezzo di te. 11 Osserva quello che oggi ti comando: Ecco, io scaccerò davanti a te gli Amorei, i Cananei, gli Ittiti, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei »

C’è senza dubbio una promessa della terra, quindi una terra promessa. Il Signore non si limita a punire gli egiziani per i loro abusi contro gli ebrei ed altri popoli, ma punisce anche una serie di popoli che commettono azioni esecrabili, come sacrifici umani, cannibalismo, passaggio dei figli attraverso il fuoco, conseguenza dell’idolatria, e anche in questo caso anticipa un giudizio. Dopo 40 anni di cammino nel deserto il Signore promette una terra vera e propria, che sarebbe dovuta diventare esemplare. Questa promessa non scompare in tutto il nuovo testamento e viene ripresa nelle promesse di ritorno dall’esilio babilonese.

È ancora attuale nel Nuovo Testamento ed oggi? Anche per questa direi che ci sono attualizzazioni di diverso tipo: in primo luogo, Gesù non ha smesso di parlare di un concetto che è almeno inizialmente territoriale. Il regno di Dio, o regno dei cieli. Ci ha in seguito insegnato che non arriva in modo da attirare gli sguardi ed è già giunto (Luca 17, 20), e che non è fatto di carne e sangue (1 Cor 15, 50), che è già presente e tuttavia deve ancora realizzarsi pienamente, ma comunque sia questo Regno di Dio diventa il segno chiaro della presenza di Dio sulla terra, attraverso il suo Spirito nei cuori dei credenti, attraverso l’azione della chiesa, e non è altro che l’affermarsi del vangelo. Se la terra promessa serviva a preparare questa idea di un luogo in cui si potesse godere in modo speciale la benedizione di Dio, oggi questa idea è ripresa dall’idea di entrare in un regno dello Spirito che fa avvertire la benedizione di Dio in modo speciale. Gesù ci ricorda che i mansueti erediteranno la terra (Matteo 5), e ci invita a cercare prima di ogni altra cosa il Regno di Dio (Mt 6, 33).

Cosa cerchiamo noi? Il patto che Dio strinse con Mosè ci presenta il Signore della promessa che ancora oggi dà territorio spirituale: ci fa essere cittadini di un regno che trasforma la nostra visione della terra. Non credo che nessuno di noi abbia fame di terra e sogni di essere un re di territori sterminati. Abbiamo imparato ad essere forse più sobri, ma immagino che ognuno di noi non disdegni l’idea di una qualche proprietà, magari di una bella villa con un po’ di terreno da coltivare ed in cui vivere. Senza escludere questo Dio ci invita a qualcosa di più grande: ci invita ad essere ambasciatori di un regno divino, ci invita a solcare la terra per portare la buona notizia del Regno: il regno è la possibilità di conoscere Dio attraverso Gesù, di avere una vita salva, vittoriosa e al servizio della terra. Vivere nel Regno di Dio significa sapere fino in fondo che ogni cosa che facciamo, in casa, nel lavoro, nelle relazioni con i vicini, nel quartiere in cui siamo, nel condominio, nella strada è per ricercare la sua gloria, per far presente a tutti che il Regno di Dio è qui, e che invita ogni uomo ad entrarvi.

Non voglio dire che il nuovo patto di cui Gesù è l’autore non abbia grandi elementi di novità su cui a suo tempo rifletteremo. Ma oggi abbiamo visto quanti elementi del patto con Mosè sono ancora ben vivi e presenti e come essi si siano sviluppati e rinnovati.