Di cosa siamo pieni (2)

Colossesi 2:16-23

Cristo o religione? Colossesi 2:16-23

Una caratteristica di tutte le religioni è quella di voler organizzare la vita dei fedeli. Due aspetti fondamentali della vita delle persone sono il cibo e il tempo. In ogni religione ci sono quindi dei calendari specifici che ricordano fatti importanti della narrazione sul mondo presentata da quella religione e scandiscono la giornata, la settimana o l’anno.

Forse nelle nostre società industriali o cittadine si nota di meno, ma chi non ha provato in campagna a sentire le ore della giornata scandite dalla campana di un campanile, che suona anche di notte nel silenzio? Chi ha provato a viaggiare in un paese arabo ha sicuramente sentito urlare un muazzin: “Alla hu akbar” grido che richiama i fedeli 5 volte al giorno alle preghiere quotidiane. Chi è stato in Africa invece ha sicuramente sentito dei tam tam anche di notte, che preparano funerali e altri rituali legati alle religioni. In Italia, che non è un paese laico, in fondo le feste durante l’anno sono legate alla liturgia cattolica e le feste religiose oltrepassano abbondantemente quelle civiche (25 aprile e 1 maggio contro Ognissanti, Immacolata concezione, Natale, Pasqua, Ferragosto – e non abbiamo la Pentecoste… – più varie feste patronali per ogni città. Aggiungiamo il calendario dei santi che ne festeggiano uno al giorno e vediamo come il nostro tempo, benché moderno, è ancora organizzato dalla religione.

Altro aspetto tipico di tutte le religioni è quello di voler organizzare il mangiare. Se andiamo a leggere le varie regole e prescrizioni troviamo una serie di tabù alimentari che vietano di mangiare certi animali considerati impuri (come il maiale nell’ebraismo e islam), oppure animali macellati in un modo particolare, come il cibo kosher, o ancora i divieti di mangiare grasso durante la quaresima, di mangiare invece l’agnello a Pasqua ecc.

Possono sembrare cose secondarie, ma in realtà spesso diventano motivo di grande opposizione: ricordiamoci che molto della rottura della chiesa primitiva tra credenti provenienti dal mondo giudaico e provenienti dal mondo ellenico erano legate alla macellazione degli animali o dal mangiare carne sacrificata agli idoli. Cose secondarie, che portano spaccature. Si potrebbe ricordare la storia del poeta francese protestante Clément Marot, che finì in prigione per aver mangiato grasso di venerdì santo, e per venire all’attualità si può pensare a tutti i problemi che pongono i cibi con o senza maiale nelle mense scolastiche, sugli aerei ecc. Che lo si voglia o no si dà molta importanza al modo di mangiare e al tempo in cui vanno o non vanno fatte le cose e le religioni su questo hanno una grossa influenza. Che c’è di male? Paolo risponde con questo testo.

  1. Le pratiche religiose sono ombra ( Cristo è il corpo)

16 Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, a noviluni, a sabati, 17 che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire; ma il corpo è di Cristo. 

Indubbiamente l’Antico Testamento prevedeva prescrizioni sia relativamente al tempo che relativamente ai cibi. È quindi probabile che i “visitatori” dei colossesi, responsabili delle nuove dottrine che minacciavano la chiesa, si siano riferiti a espliciti passi biblici. Ricorderete che abbiamo detto che si trattava di dottrine miste di giudaismo e filosofia greca sincreticamente mescolate.

Paolo quindi affronta il problema prendendo in considerazione un principio teologico fondamentale: L’Antico Testamento ha una funzione profetica rispetto ai fatti che sarebbero accaduti nel nuovo testamento. È un’ombra! Il sabato riposo forzato è un anticipazione del vero riposo sabbatico in Cristo. Il mangiare o meno certi cibi, aveva la funzione di separare il popolo di Israele. Molte feste, come la Pasqua, anticipavano il vero agnello da sacrificare. Ma il messia ora è arrivato. Cristo è il corpo, o la sostanza! Cioè ciò che l’ombra poteva solo anticipare.

Precedentemente Paolo ha parlato di pienezza e di Cristo come colui in cui abita corporalmente tutta la pienezza della deità. Sta quindi continuando sulla scia di ciò che riempie veramente chi crede, che dà conoscenza profonda della vita, e va da sé che ciò che riempie non è l’ombra, ma la sostanza.

Indubbiamente anche i rituali hanno la loro capacità di riempire, e non ci stupiamo di osservare che molti ebrei abbiano avuto difficoltà ad abbandonarli. Anche noi possiamo essere influenzati dalle pratiche anche religiose che abbiamo imparato dalla nostra cultura. Alcuni scelgono di astenersene e quindi non celebrano il Natale o la Pasqua, perché sono feste…Altri invece se sono soli a Natale si sentono tristi. Ma non deve essere così, se abbiamo Cristo! Esistono paesi in cui tagliare il prato di domenica è molto mal visto perché è il giorno del riposo. Io credo che in un caso e nell’altro sia importante ricordare alle persone che celebrano qualche festa, o che si astengono da qualche cibo, che “Il corpo è di Cristo!”

Se non abbiamo capito che Cristo è venuto per noi, che ci ha giustificati inchiodando il documento a noi ostile sulla croce, prendendo su sé la nostra condanna, e riempiendoci di una nuova vita, che senso ha celebrare le feste? Al contrario, se abbiamo capito che la sostanza di queste ombre è Cristo, possiamo celebrare, oppure no, e niente cambia alla sostanza che abbiamo.

  1. Le pratiche sono vane e gonfiano (Cristo è umiltà)

Nessuno vi derubi a suo piacere del vostro premio, con un pretesto di umiltà e di culto degli angeli, affidandosi alle proprie visioni, gonfio di vanità nella sua mente carnale, 

Bisogna però ammettere che le pratiche religiose hanno un fascino. Ricordo di un anno in cui avevo una classe in cui due ragazze mussulmane praticavano il ramadan. Io ero piuttosto colpito dal fatto che la maggior parte degli alunni della classe sembrava che non potesse vivere senza bere ogni due minuti, senza mangiare qualcosa a ricreazione, senza masticare un chewing gum magari anche senza fumare o prendere qualche antidolorifico, mentre queste due ragazze senza lamentarsi, seguivano la lezione tranquille benché non avessero merende da consumare e non avrebbero poi mangiato niente fino a sera. Le ho più volte elogiate davanti alla classe, dicendo che loro almeno avevano resistenza. Non voglio togliere niente al merito di queste ragazze, ma mi rendo conto che l’osservanza scrupolosa di qualche divieto alimentare, o il rispetto delle gerarchie angeliche di cui era ghiotto lo gnosticismo, potevano affascinare. Quel che Paolo osserva è che non c’è vera umiltà in queste pratiche, ma solo vuoto che però gonfia, cioè inorgoglisce. E questo orgoglio non può che venire da una mente che è ancora carnale preoccupata di seguire dottrine di uomini. L’orgoglio è proprio questo: il gonfiarsi di cose vane, cioè vuote. Quindi è un gonfiarsi di niente.

Tra le tante cose che vogliamo annunciare quando annunciamo il vangelo, una delle più importanti è proprio quella che oppone fede a religione. La vera fede dà il premio della salvezza, e ci libera dalle pratiche asfittiche che la religione offre. Ma quando diciamo che Cristo è il premio, non dobbiamo pensare ai premi che si vincono dopo una gara. Cristo è il premio gratuito, il regalo che si riceve senza aver meritato niente, senza sforzi di pratiche alimentari o relative a feste speciali. Paradossalmente potrei dire che Cristo è come il premio di consolazione che si dà a chi non ha vinto niente. Chi si è reso conto che da solo non può vincere niente, riceve un vero premio, che non è un contentino ma il migliore dei premi.

Anche noi abbiamo una pratica legata al tempo, come quella di venire in chiesa ogni domenica e alla riunione ogni mercoledì. Dobbiamo imparare a viverle sempre come un premio che ci à dato per staccarci dalle routine e contemplare Cristo, che non deve mai essere abitudine, ma sempre contributo alla pienezza della fede per la gloria di Dio. Annunciare il vangelo ai nostri figli significa far capire loro non che si deve andare in chiesa ma perché si deve andare in chiesa, ad esempio.

  1. Le pratiche imprigionano e bloccano la crescita (Cristo è il capo e fa crescere)

19 senza attenersi al Capo, da cui tutto il corpo, ben fornito e congiunto insieme mediante le giunture e i legamenti, progredisce nella crescita voluta da Dio.

Un ultimo aspetto di queste pratiche presenta un gran pericolo agli occhi di Paolo. L’opposizione tra fede e religione probabilmente vale per chi non è ancora entrato nella fede e pratica acriticamente una religione. Ma è perfettamente possibile che per avendo la fede si permetta che un certo formalismo si sostituisca alla pienezza. È molto facile scivolare nell’abitudine e nella routine quando si decide di pregare prima dei pasti, di leggere un certo numero di pagine della Bibbia ogni giorno, quando si va in chiesa ogni domenica. Quando si perde di vista il Capo, cioè la relazione con Gesù da cui tutto dipende, il collegamento continuo con il cervello che deve motivare e animare ogni pratica, la pratica stessa diventa automatica. E alla lunga ci allontana dal Capo, che è Cristo. I neurologi hanno scoperto che le azioni che facciamo automaticamente non vengono elaborate nella corteccia celebrale ma nel cervelletto, quindi si allontanano dal capo… Lo stesso avviene nella fede. E questo blocca la crescita, non permette che il meraviglioso corpo di Cristo, la chiesa, cresca in modo organico. Perché se l’attenzione di chi crede si sposta dal corpo ai riti, non ci sarà più spazio e tempo per contemplare e lasciarsi riempire da Cristo, ma una serie di pratiche si interporrano bloccando questo rapporto.

Nel libro dell’apocalisse c’è una meravigliosa immagine per descrivere la chiesa, quella del vestito bianco, intessuto dalle opere buone dei credenti. È un vestito adatto al ruolo di sposa che risulta dalle buone pratiche che sono il frutto della fede, o dello Spirito. Perciò delle chiese che vivono la fede nell’amore, e nella speranza fino alla fine, facendo attenzione che la relazione con il capo sia al centro del loro operare, preparano questo vestito. Immaginiamo un altro, come ad esempio l’armatura che volevano dare a Davide per affrontare Goliat. Era pesante e dura, gli impediva di muoversi e lui preferì farne a meno. Ecco, le pratiche religiose sono proprio come quell’armatura. Bloccano la crescita della chiesa, bloccano il credente e finiscono per presentare una sposa che anziché un bel vestito ha un armatura sclerotizzata.

Paolo conclude con una domanda, che noi facciamo nostra. Perché facilmente ci lasciamo imporre altro, quando abbiamo tutto? Noi vogliamo ancora oggi riprometterci di credere che in Cristo abbiamo veramente tutto.