Credere o non credere. Luca 23,50 – 24

Gesù è morto. È un fatto innegabile che ha gettato nello smarrimento i discepoli e che in vangeli sottolineano dando dei dettagli molto precisi: si dice l’ora, si raccontano le reazioni, e soprattutto si precisa che il corpo di Gesù fu deposto in una tomba da una persona nota ed identificabile: Giuseppe di Arimatea, che non è un discepolo, ma che pur essendo parte del sinedrio era stato contrario all’uccisione di Gesù. Questa attenzione ai nomi di testimoni della morte di Gesù, non facenti parte del gruppo dei discepoli contribuisce a dare un peso storico ai fatti accaduti, quasi a dire che chi volesse verificare la veridicità delle cose raccontate nel vangelo può interrogare direttamente delle persone che sono state nominate: Simone di Cirene, Giuseppe di Arimatea.

Ci fa capire che la preoccupazione di Luca, nello scrivere il suo vangelo, chiaramente espressa all’inizio nel prologo, viene ribadita alla fine: “perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (Luca 1,4).

La fede cristiana poggia su fatti che vengono presentati come storici, come facenti pienamente parte della storia e non del mito. È importantissimo premettere questo quando si racconta un episodio come quello della resurrezione, che è ovviamente un fatto fuori dal comune e che facilmente viene fatto scivolare nella categoria del mito anziché in quella della storia. Questo Giuseppe che depone il corpo in un momento ed in un luogo identificabili inserisce il tutto nella cornice nella storia, che è appunto quella in cui ci siamo posti durante tutta la lettura del vangelo di Luca. A queste premesse seguono le testimonianze della resurrezione.

 

  1. La fede delle donne, prime testimoni

Le prime testimoni della resurrezione furono senza dubbio le donne. Rivestono un ruolo assolutamente prioritario in uno degli atti più importanti della storia del cristianesimo: sono le prime a vedere la tomba vuota, a ricevere la rivelazione degli angeli sulla resurrezione, e infine ad annunciare questa resurrezione agli apostoli. Se tentiamo conto del fatto che ogni predicazione cristiana non può non avere come base il fatto che Gesù è morto e poi è risorto, possiamo dire che le prime predicatrici della storia, in senso cristiano, che hanno annunciato questa resurrezione, sono state proprio le donne. Hanno fede nelle parole degli angeli che riportano alla loro mente le parole dette da Gesù: Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, 7 dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno. Non hanno ancora visto Gesù risorto, ma hanno avuto fede nelle sue parole ricordate dagli angeli.

I discepoli al contrario non hanno fede in quello che dicono le donne, le prendono per delle invasate. Ma non avendo fede nelle donne non hanno fede neppure in quello che aveva detto Gesù…

Il modo di porsi rispetto ad un fatto come quello della resurrezione da parte delle donne  e da parte dei discepoli e molto simile al modo in cui ci poniamo oggi rispetto a questo stesso evento: alcuni ascoltano una testimonianza che racconta di vite cambiate , “risorte”, passate dalla morte alla vita grazie alla fede in un uomo che è risuscitato; altri ridono di questo fatto, giudicandolo impossibile.

La fede viene dall’udire! (Rm 9, 17) e se non si ha un minimo di fede in quello che dicono gli altri non si arriva a Dio. Paradossalmente Pietro che è il primo testimone del Cristo, che lo riconosce come figlio del Dio vivente, non è anche il primo testimone della resurrezione: va a vedere la tomba, e non accetta la testimonianza delle donne. Pietro cerca il vivente tra i morti, come molti fanno oggi.

Molta della delusione rispetto alla fede che si trova ancora oggi, in modo particolare nel nostro mondo post-cristiano, è proprio dovuta a questo cercare il vivente tra i morti. Si cerca la fede in strutture vecchie che non la contengono, in chiese che hanno tradito il messaggio di Gesù lasciandolo morto ed appeso ad una croce, in dottrine umane che non vivificano nessuno… Non cerchiamo il vivente tra i morti, perché il vivente è fonte di vita e di resurrezione anche oggi e chi lo incontra risorge! Il vivente si cerca tra i vivi e nelle parole che i vivi riportano rispetto a quello che hanno capito del vivente. La fede che viene dall’udire presuppone un po’ di fiducia negli altri, in quello che hanno vissuto e capito.

 

  1. L’incredulità dei discepoli sulla via di Emmaus

Luca, nel raccontare i fatti della resurrezione rispetto agli altri vangeli inserisce questo episodio dei discepoli sulla via di Emmaus. Storia meravigliosa che meriterebbe una trattazione a sé, ma mi limito qui a rilevarne uno dei tanti aspetti: nel riportare a Gesù i fatti accaduti a Gerusalemme ci offrono un magnifico resoconto delle narrazioni relative alla morte di Gesù nate immediatamente dopo la sua morte: sono fatti che hanno sconvolto la vita dei discepoli, ed infatti ne stanno parlando (vv. 13-15). Gesù è riconosciuto come profeta potente,  i responsabili della sua morte sono i  capi dei sacerdoti e i magistrati. Ci si aspettava liberazione grazie a lui, MA dopo tre giorni non è ancora successo niente. Certo le donne hanno raccontato la loro visione, ma prevale la perplessità, perché lui non è ancora stato visto.

Se ci atteniamo alle parole di Gesù capiamo bene di che tipo di incredulità si tratta: “Insensati e lenti di cuore a credere alle cose che i profeti hanno dette”. I discepoli non hanno creduto alle parole delle donne, che invece hanno riportato le parole di Gesù. Questi due discepoli non hanno capito le scritture e non riescono a vedere Gesù che pure hanno davanti a loro. Luca ci dice che i loro occhi erano impediti (v.16) e che non riuscivano a riconoscerlo. Questo passo in modo illuminante ci mostra come la fede o la non fede, il credere o il non credere dipendono dai nostri presupposti, da quello che crediamo ancora prima di vedere dei fatti. I due discepoli hanno visto Gesù morire. Non riescono ad andare al di là di questo. Il fatto di averlo visto morire non permette loro di credere alle Scritture che dicevano che sarebbe risorto il terzo giorno. E quando hanno davanti a loro una persona che è Gesù stesso non riescono a riconoscerlo come tale. Avranno pensato che somigliava  a Gesù, che era un sosia, un gemello, ma non Gesù stesso. Non è chiaro come questo sia stato possibile, ma il racconto ci parla proprio di questo.

Ci appare dunque chiara una cosa: non si credono mai delle cose in modo neutro, puro, astratto dalla realtà in cui queste accadono: abbiamo sempre una serie di idee, di credenze, di concetti che possiamo definire pre-concetti che determinano la nostra comprensione della realtà in cui viviamo. Quando si parla di fede, di conoscere Dio, tutte le idee che ci siamo fatti su di lui di condizionano: e le esperienze vissute, come quella di aver visto Gesù morire, condizionano a loro volta l’interpretazione di ciò che si crede. In parole più semplici: i discepoli si erano fatti l’idea – sbagliata – che Gesù non sarebbe morto e che li avrebbe liberati; ma la sua morte fa crollare l’idea sbagliata, e con essa crolla la fede in lui. Questa serie di errori è ciò che Luca descrive con l’espressione: “i loro occhi erano impediti”, e che Gesù apostrofa come “insensatezza, lentezza a credere”. Da notare che nei discepoli ha luogo un conflitto: mentre Gesù parla con loro sentono il cuore ardere, perché lo spirito che lo anima è chiaramente percepibile, eppure gli occhi non riescono a vederlo. C’è una lotta tra ciò che si vede, che appare e la verità che è dietro ciò che appare che accompagna il processo di riconoscimento di Gesù da parte dei due discepoli.

Annunciare il vangelo oggi è una sfida difficile perché nei venti secoli di storia del cristianesimo che ci separano da quei fatti di errori, sovrastrutture, dottrine, idee su Gesù, sulla fede ce ne sono state miriadi, ed il filtro posto davanti al Gesù che annunciamo è estremamente spesso. I cristiani oggi annunciano un Gesù che si colloca in mezzo ad una rete fittissima di preconcetti, di idee distorte su di lui che hanno offuscato la sua immagine. C’è una sola via per rompere questa cortina che impedisce di vedere: tornare alle Scritture, come Gesù incoraggia i discepoli a fare. Nel momento in cui spezzano il pane con Gesù ecco che i loro occhi furono aperti e lo riconobbero! La richiesta di restare con loro viene esaudita, in modo più profondo di quanto non credono. Infatti Gesù resta fisicamente con loro solo per pochi istanti, e quando riconoscono scompare. È restato con loro o no? Riconoscere il Gesù risorto significa averlo nel cuore in modo permanente, avere la certezza della sua esistenza in un modo tale che il cuore arde e che la nostra vita diventa plasmata da questo Gesù, che non importa che sia fisicamente presente. I due discepoli gustano in anticipo quella condizione in cui siamo noi oggi, consistente nel non vivere fisicamente con Gesù, ma nel poter vivere con quella certezza nel cuore della sua presenza per cui anche non vendendolo ne costatiamo tutta la potenza nella nostra vita.

 

  1. L’incredulità dei discepoli ed i loro fantasmi

Il passo che segue, e che riporta i due discepoli in mezzo al gruppo degli altri discepoli conferma quanto appena detto: Gesù compare in mezzo ai discepoli augurando la pace, ma sono talmente sconvolti e atterriti che non lo riconoscono, pensano che sia un fantasma. Era già successo quando Gesù si era avvicinato ai discepoli camminando sulle acque. C’è qualcosa di strano e di divertente in questi episodi. Il mondo occidentale, fortemente condizionato dal razionalismo, ha lentamente partorito l’idea che Dio sia il frutto di un’idea umana, di una suggestione, una forma di che porta a credere in seguito a paure che gli uomini tenterebbero di calmare con Dio. Qui capita che davanti alla verità, alla vera presenza del risorto la paura e l’autosuggestione invece che rinforzare la fede la mettono in dubbio! La suggestione, la paura, qui non portano a credere un qualcosa che non si vede, ma ad escludere che quello che è evidente davanti ai loro occhi, Gesù risorto, sia vero…

Non ci sono solo i nostri presupposti sulla realtà che ci offuscano gli occhi, ci sono anche una serie di paure, di tensioni presenti nel nostro animo che impediscono alla verità della fede di manifestarsi come tale. È un fatto estremamente illuminante che mette a nudo l’animo umano e la sua capacità falsificatrice del reale. La paura anziché spingere a rifugiarsi in Dio porta a credere in realtà inesistenti, come i fantasmi…

Gesù dissipa questi fantasmi con due elementi estremamente semplici: la concretezza del pane che mangia e, nuovamente, le parole della Scrittura. Dopodiché “apre la mente dei discepoli” perché capiscano.

È cruciale capire che anche oggi quando si annuncia il vangelo questo si scontra con una serie di profonde paure e tensioni presenti nell’animo umano, con un mondo che la psicologia e la psicanalisi hanno cominciato ad investigare, ma che rimane ancora molto oscuro e che produce i suoi fantasmi che rendono la mente incapace di vedere il Cristo. È un prerequisito che dobbiamo avere presente nell’annunciare il vangelo.

 

Conclusione

Tutto ciò avviene in un momento cruciale, cioè appena prima che Gesù dia ai discepoli un grande mandato, quello di andare a predicare il perdono dei peccati cominciando da Gerusalemme.

Ciò che hanno vissuto i discepoli in questo ultimo capitolo del vangelo è proprio quello che si rivivrà ogni volta che in vangelo verrà predicato.

Il vangelo si scontrerà contro un’incredulità diffusa, che va dalle parole degli altri uomini, a quelle della Scrittura, fino alla presenza stessa di Gesù che dopo la sua ascensione in cielo non sarà più una presenza fisica, ma sarà una presenza spirituale. Nessuno incontrerà Gesù come i discepoli ma tanti continueranno ad incontrare nella loro vita il Gesù risorto che apre la mente e trasforma la vita attraverso il perdono dei peccati. In questo passo conclusivo abbiamo una specie di schema del cammino della fede, che va dall’incredulità e dal dubbio all’apertura degli occhi e delle menti da parte dello Spirito. Il popolo dei discepoli di Gesù nei secoli hanno continuato a fare questo presentando e tramandando la testimonianza del Cristo risorto. Noi vogliamo inserirci nel solco tracciato da loro e seguire con loro quel Dio che non vediamo, ma che ha aperto i nostri occhi e le nostre menti sull’essenza della vita.