Colossesi 4: 3-6 – Quelli di fuori

3 Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene: 4 che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo.
5 Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione. 6 Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno

Nella nostra società c’è un termine che è di gran moda: inclusività! È una di quelle parole passe-partout che hanno sempre un effetto positivo su chi ascolta. Sentire Paolo che parla di “quelli di fuori”, termine che indirettamente evoca quelli che sono “dentro”, potrebbe spaventare. Ma spaventa solo se si pensa al dentro e al fuori come due compartimenti stagni tra cui non c’è passaggio. In verità la chiesa ha da secoli l’ambizione di essere un luogo di massima inclusività, perché l’invito a farne parte è rivolto a tutti. Tuttavia i confini tra il dentro e il fuori, tra un mondo esterno e una chiesa che si propone come esempio di nuova umanità sono ben chiari. Queste poche parole di Paolo istruiscono chi è in chiesa su come vivere il rapporto con chi non è in chiesa, e potrebbe facilmente entrarci.

  1. Parlare a Dio di chi è fuori (3-4)

La porta. Nel precedente verso Paolo ha incoraggiato i Colossesi ad una preghiera costante, attenta e fatta di ringraziamento. Rimanendo nel quadro di questa preghiera Paolo chiede di pregare per lui. Prospetta l’immagine di una porta, e ci si dovrebbe aspettare che, trattandosi di una persona che scrive dalla prigione, avanzi come prima richiesta di pregare perché si possa aprire la porta della prigione. La richiesta di Paolo invece non cerca la sua liberazione fisica, ma la liberazione spirituale del mondo circostante. Incoraggia a pregare perché Dio apra una porta per il vangelo. È un’immagine molto ricca che ha diverse implicazioni.

  • La prima è che l’autore dell’evangelizzazione non siamo noi con i nostri sforzi e le nostre campagne, i nostri metodi più o meno validi, ma Dio stesso che stabilisce di “aprire” una porta, dando efficacia alla predicazione dei credenti. Non scordiamoci di pregare ogni giorno per quelle persone che vorremmo avvicinare al Signore, né per quelle nazioni di cui sappiamo qualcosa attraverso notizie di missioni. È il Signore stesso che ci chiede uno sforzo di attenzione verso chi è di fuori e che ci chiede di parlargli di chi è fuori.
  • Come parlare. La seconda è che chi è di fuori è come avvolto da qualche tipo di recinzione, di muro, di barriera, attraverso il quale è necessario creare una breccia, sfondare una porta! C’è una necessità assoluta di annunciare il mistero di Cristo e di manifestarlo altrimenti rimane un mistero, un qualcosa di incomprensibile. Paolo, il grande teologo, autore di numerosi monumenti dottrinali che passiamo il tempo a studiare nelle chiese, chiede soccorso ai Colossesi perché ha bisogno di presentare il mistero di Cristo come deve. Non gli basta che Dio gli apra una porta, si sente incapace, con le sole sue forze, di annunciare il vangelo in un modo corretto. In un modo adeguato e tale per cui il muro che circonda chi ascolta crolli veramente, e perché la porta dei cuori sia spalancata e il vangelo arrivi correttamente.
    La preoccupazione di annunciare un vangelo coerente, chiaro, trasparente, non misterioso è ancora viva per noi, e questo appello che Paolo rivolge ai colossesi ci fa capire che il responsabile dell’evangelizzazione non è solo l’araldo, la persona che v ad annunciare, il missionario, l’evangelista o il predicatore, ma la comunità che prega, intercede e partecipa a distanza. Rivolge ad ognuno di noi una chiamata importante rispetto alla preghiera per l’evangelizzazione.
  1. Parlare di Dio a chi è fuori (5-6)

 Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione. 6 Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno

L’esistenza di un dentro e di un fuori non trasforma la chiesa cristiana in una setta o in un circolo chiuso. Al contrario, la pone come un faro o come un luogo appetibile in cui chi vuole essere incluso troverò riposo e ospitalità. Ma il rapporto con chi è fuori è oggetto di attenzione particolare, e questo è normale, perché spesso quando si incontrano persone che non sopportano Dio, o che hanno in odio qualsiasi cosa abbia a che vedere con la fede, è perché hanno visto pessime testimonianze da parte di chi dovrebbe rappresentare Dio. È una grande responsabilità presentare Dio al di fuori, e anche questo necessità di preghiera. In particolare è una responsabilità che verte su tre aspetti:

  • Saggezza. Il comportamento con chi è fuori non può essere dettato da odio, da prese di posizione fanatiche, da condanna continua o, al contrario, da accettazione acritica di tutto. Saggezza in questo senso significa equilibrio, capacità di non ferire, ma di denunciare, o capacità di simpatizzare, di accogliere senza giudicare. Ma anche di prendere posizioni ferme rispetto a comportamenti e atteggiamenti sbagliati.
  • Senso dell’opportunità. Capita di progettare o sognare campagne evangelistiche, percorsi di sostegno e cura, viaggi missionari, quando poi scopriamo pensandoci bene che nel mondo del lavoro, tra i nostri vicini e tra le nostre amicizie abbiamo molteplici opportunità di aiutare, di annunciare e di rendere esplicito il vangelo. Approfittare delle occasioni non significa forzare le situazioni ed essere opportunisti, ma avere sempre l’intelligenza pronta per poter vedere i tanti modi in cui si può presentare il vangelo.
  • Saper rispondere. La relazione con quelli di fuori è contraddistinta anche da un modo di parlare che prevede la grazia, quindi non il giudizio, ma la perfetta comprensione di chi si trova nella stessa situazione in cui ci trovavamo prima di essere convertiti, unito alla capacità di rispondere. Alcune traduzioni dicono: condito col sale, quindi con un certo sapore. La disciplina dell’apologetica si sforza appunto di cercare una serie di risposte da dare alle sfide poste dal mondo, ed è opportuno che ognuno di noi vi rifletta. Non tutti diventeranno teologi, ma l’invito a riflettere a pregare per saper rispondere è rivolto a tutti.

Abbiamo aperto con l’immagine della porta, che Paolo chiede a Dio di aprire per poter portare il vangelo. Vorrei pregare che ogni giorno possiamo trovare diverse porte da aprire, e che queste porte diventino un accesso alla chiesa, che consente di essere quella società ideale, inclusiva, in cui si vive il vangelo della verità che ci ricorda che senza Gesù e il suo sacrificio per noi non siamo niente, e che quelle porte si sono aperte grazie a lui.