Chi è il figlio dell’uomo?

Il figlio delluomo Luca 18, 31-40

Il problema Figlio dell’Uomo

 

Nel corso del vangelo di Luca abbiamo più volte incontrato l’espressione Figlio dell’Uomo. Interessante che qui Gesù non dice “io”, ma parla di sé in terza persona definendosi Figlio dell’Uomo. Ci siamo passati sopra senza dargli molta importanza, e benché questo passo non sia più significativo di altri per l’uso dell’espressione, penso sia giunto il momento, nel breve passo che analizziamo oggi di affrontarne il senso; ha dato del filo da torcere a molti teologi, molti linguisti ed esperti di Nuovo ed Antico Testamento. Potrebbe sembrare di poco rilievo eppure ha alcune caratteristiche che sorprendono: innanzi tutto la troviamo solo nei Vangeli, e mai nel resto del Nuovo Testamento, fatta eccezione per Stefano che la usa in Atti 7, 56. Inoltre è usata solo da Gesù per designare se stesso, mai da altri per riferirsi a lui, che usano invece figlio di Dio o altri titoli. È un’espressione che i contemporanei di Gesù non capivano immediatamente come testimonia la domanda: “Chi è questo figlio dell’uomo (Gv 12, 34) benché dai testi che circolavano a quel tempo sappiamo che era un’espressione che circolava, in particolare nella letteratura apocalittica.

Possiamo anche aggiungere qualche dato numerico: l’espressione appare 69 volte nei sinottici: 30 volte in Matteo, 14 volte in Marco, 25 in Luca. è significativo che quando quest’espressione viene usata non è a caso, ma interviene rispetto a 3 grossi temi:

  • La posizione del Figlio dell’Uomo sulla terra (autorità, perdonare peccati ecc. )
  • Sofferenze, morte, resurrezione (come il nostro testo)
  • Il ritorno glorioso ed il giudizio.

Gli studiosi del Nuovo testamento si sono posti diverse domande rispetto a questa espressione ed è impossibile riportare tutto ciò che è stato detto nello spazio di una breve riflessione domenicale. Evocherò quindi molto brevemente i problemi sollevati per poi trarre qualche insegnamento. Innanzi tutti alcuni teologi hanno pensato che l’espressione, usata in aramaico, fosse una specie di sinonimo del pronome “io”, oppure di un “io” un po’ allargato che indicasse una comunità, negandone quindi ogni valore di titolo. Ma molti hanno risposto che i contesti precisi in cui Gesù usa questo termine (i tre temi menzionati), e la ricorrenza di questa espressione in altri testi fa pensare a qualcosa di ben più forte del semplice dire: “io”.

Ci sono state molte interpretazioni che hanno visto nell’espressione un modo per indicare tutto il popolo di Israele, oppure la comunità dei santi salvata, ma anche qui, le diverse occorrenze, ed i testi che trattano di Figlio dell’Uomo nell’Antico Testamento escludono un’interpretazione collettiva. L’interpretazione che sembra più probabile è che questo passo faccia riferimento proprio al messia, a colui che doveva venire per redimere il popolo e che in effetti ha le caratteristiche indicate nei tre temi. Detto tutto ciò per gli scopi della nostra riflessione cercheremo di rispondere a tre domande:

  1. Da dove viene l’espressione
  2. Perché Gesù l’ha scelta
  3. L’umanità del Figlio dell’Uomo

 

  1. Da dove viene: Daniele 7

Anche in altre parti dell’Antico Testamento compare l’espressione Figlio dell’Uomo, come nei salmi che dicono che “il figlio dell’uomo è come l’erba che passa” o “cos’è il figlio dell’uomo che tu ne tenga conto (Salmo8), ma qui è ovvio che le espressioni non sono messianiche, e si riferiscono semplicemente all’uomo.

Come è noto a chiunque abbia qualche familiarità con l’Antico Testamento anche il Libro di Daniele ha suscitato numerosissime interpretazioni diverse e in questa sede non ne riporto alcuna. Mi limito a situare questo passo centrale di tutto il libro in cui Daniele, dopo avere sentito che si susseguiranno dei regni violenti ne verrà uno, in cui un figlio d’uomo riceverà POTERE, GLORIA e REGNO e questo regno sarà eterno. Lo riportiamo di seguito:

 

 

 

11 Continuai a guardare a causa delle parole superbe che quel corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare sul fuoco. 12 Alle altre bestie fu tolto il potere e fu loro concesso di prolungare la vita fino a un termine stabilito di tempo. 13 Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, 14 che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto. 15 Io, Daniele, mi sentii venir meno le forze, tanto le visioni della mia mente mi avevano turbato.

 

Non è difficile individuare in questo essere “come un figlio di uomo” che riceve autorità dalle mani di un vegliardo un riferimento chiaro al Figlio che riceve dalle mani del Padre e che istaura un regno eterno che non finirà mai. L’origini ed il senso dell’espressioni sono dunque chiari: Gesù, ogni volta che parla di Figlio dell’uomo, fa riferimento a Daniele 7,13.

 

  1. Perché allora Gesù sceglie proprio questa espressione per designarsi?

In tutti i circoli rabbinici ed apocalittici di quel tempo Daniele 7,13 veniva interpretato messianicamente, anche se non si usava per forza l’espressione Figlio dell’Uomo, salvo che in alcuni testi come Enoch. Avrebbe potuto usare Figlio di Davide – titolo che quasi tutti i bisognosi usano per chiamarlo, come il cieco che incontrerà a breve – o Messia, altro titolo riservatogli a chi lo riconosce come tale ma mai da Gesù stesso. Invece non usa mai questi due titoli per designarsi, e si designa solo con Figlio dell’Uomo, che gli altri non usano mai, se non per fare domande. Perché? Il motivo è che questi due termini sono già pesantemente inflazionati dall’uso fattone, e comportano aspettative non necessariamente corrette e conformi con quel che prevedevano le profezie. Gesù sceglie quindi un termine ancora vergine che gli consenta di presentarsi come messia ma in modo un po’ velato, forse in modo tale che siano più le sue opere a parlare che non i suoi titoli.

Un piccolo inciso applicativo. Mi pare un fatto degno di nota che colui che era veramente il Figlio di Dio sceglie una designazione molto umile, perché dirsi Figlio di Dio, Messia o ancora figlio di Davide significa invocare riferimenti altisonanti, mentre figlio dell’uomo fa semplicemente riferimento all’uomo. Credo possiamo ampiamente prendere esempio da questa umiltà quando ci presentiamo come cristiani, come figli di Dio per l’appunto, lasciando che le opere parlino e che i titoli vengano dati dagli altri.

Rimane un problema. Il Figlio d’uomo del passo di Daniele non è un messia sofferente. Soffre Daniele, non lui. Gesù però nel passo che leggiamo dice che dovranno essere compiute riguardo al Figlio dell’uomo tutte le cose scritte dai profeti. Come spiegare? Ancora una volta osserviamo il modo in cui Gesù adopera le Scritture e le idee presenti al suo tempo. La figura del messia era infatti legata anche all’idea del Servitore sofferente di Isaia, di cui sono effettivamente scritte queste cose. Usando questa formula ed attribuendogli queste profezie Gesù arricchisce il senso del Figlio dell’uomo nella sua interpretazione messianica, facendo capire che certo succederà quanto previsto da Daniele: cioè che il figlio dell’uomo riceverà potere gloria e regno, ma questo non avverrà secondo le aspettative belliche e nazionalistiche che alcuni in Israele immaginavano: questo potere gloria e regno passeranno per la sofferenza.

Ricordiamocelo quando ci capita di soffrire. Non che la sofferenza abbia in sé qualche valore, come certa teologia cattolica lascia intendere. La salvezza che Dio ci offre è sofferenza per lui, ma per noi è puro dono gratuito e la nostra sofferenza personale non aggiungerà niente alla sofferenza del messia. Tuttavia, pensare alla sofferenza del messia nei momenti sofferenti della mia vita mi fa pensare alla sua inevitabile solidarietà con chi soffre, ed alla sua capacità di capire e confortare chi soffre con una vittoria finale di un regno eterno.

 

  1. Il figlio dell’uomo e la vera umanità.

C’è un ultimo motivo che va sottolineato quando si riflette sul titolo figlio dell’uomo. Gesù designandosi tale rivela il suo lato più specificamente umano. Lo fa per indicare che il divino è entrato nell’umano e che quella è la sua destinazione naturale. Se si è rotta l’armonia tra l’uomo e Dio è stato perché l’uomo ha tradito la divinità scegliendo la propria autonomia, e di essere solo Figlio dell’Uomo. Se invece Gesù rivela che Figlio di Dio, Figlio di Davide, Figlio dell’uomo sono titoli che si possono attribuire alla stessa persona sta ad indicare che Dio è veramente sceso in lui che è e rimane pienamente uomo. In quest’espressione c’è allora il succo di tutto il vangelo: Dio si è fatto uomo per aiutarci a diventare uomini, figli uomini, in cui Dio non disdegna di abitare. Dio invita allora chiunque legge a diventare ciò che realmente Dio avrebbe voluto che fosse ognuno di noi: un Figlio dell’uomo, pienamente uomo in grado di ricevere in sé Dio, l’altissimo, che non rifiuta l’umano, ma non può accettarlo senza che il messia muoia per il perdono dei peccati di ogni uomo.

 Conclusione

Non capirono niente

I discepoli sono smarriti, e Luca ripete 3 volte che non capirono niente. Posso immaginarlo, perché nonostante le rivelazioni successive mi ci è voluto parecchio a capire tutto questo, e sicuramente la mia comprensione resta parziale. L’abbondanza di interpretazioni diverse è un segno della difficoltà del compito. Mi conforta sapere che i discepoli benché non abbiano capito niente sono andati avanti.

 

Non mi colpisce neppure che il breve passo successivo riguarda un cieco che viene guarito e che quindi vede! Vede in modo miracoloso, usa il titolo di figlio di Davide e capisce chi sia Gesù. Che il signore illumini i nostri occhi spiritualmente ciechi per capire tutto quello che riguarda il figlio dell’uomo. AMEN